Esseri Umani

Ego

Che cos’è l’ego?

L’ego è l’ego. È zazen… come dire: «Conosci te stesso». Dico sempre: bisogna comprendere l’ego… e alla fine, l’ego non esiste, l’ego non ha sostanza. Dove pensi di trovarla, questa sostanza? Nel naso? Nel cervello? Nell’ombelico? Nella testa? Difficile dirlo. Nella mente? Ma cos’è la mente? È diventato un problema, il problema più grande della psicologia, della filosofia e della religione.

Ho spiegato che non abbiamo noumeno, nessuna sostanza permanente. L’ego cambia a ogni secondo che passa; l’ego di ieri, l’ego di oggi… non sono lo stesso. Anche il nostro corpo cambia, così come le nostre cellule. Quando fai il bagno, per esempio, tutte le cellule morte della pelle vengono lavate via. Il nostro cervello, la nostra mente cambiano: quella di un adulto non è la stessa di quando era bambino.

Dunque, dove esiste l’ego? È uno con il cosmo. Non è soltanto corpo o mente — è Dio, è Buddha, è la forza cosmica fondamentale.

Trovare l’eternità non è egoismo; è verità, vero noumeno. Questa è la vera religione che dobbiamo creare.

La nostra vita è connessa alla potenza cosmica ed è in relazione di interdipendenza con tutte le altre esistenze. Non possiamo vivere da soli, dipendiamo dalla natura, dall’aria, dall’acqua. Perciò non dobbiamo diventare egoisti… Questo è il grande satori.

È inutile essere egoisti, perché ogni ego è in relazione di interdipendenza con il mondo e con tutte le cose. Non c’è alcun bisogno di trattenere qualcosa solo per sé.

Questo è molto importante.

Nei suoi Saggi, Montaigne scrisse che tutti guardavano verso l’esterno, ma lui voleva guardare dentro. È necessario volgere lo sguardo verso l’interiorità, anche se la maggior parte delle persone guarda solo fuori. Oggi più che mai dobbiamo guardare dentro noi stessi. Guardare un oggetto è facile; guardare il soggetto, molto meno.

Hai detto che dobbiamo avere un ego e allo stesso tempo andare oltre l’ego. Cosa significa?

Sembra una contraddizione. Ma avere un ego forte non è la stessa cosa che avere un ego egocentrico.

Devi avere fiducia in te stesso. Devi trovare il tuo vero ego e, allo stesso tempo, lasciarlo andare. Se continui a praticare zazen, il tuo vero ego diventerà forte e troverai te stesso. Non sei intercambiabile con un altro corpo. Non sei fatto solo di organi e capelli. Hai una tua originalità. Ma per trovarla, devi abbandonare l’ego, lasciare andare tutto, affinché resti soltanto il vero ego.

Ogni persona ha un karma, porta con sé fango e polvere. Ma quando tutto questo viene spazzato via, puoi ritrovare la tua vera originalità.

Essere diversi dagli altri significa anche essere soli. È possibile, attraverso lo zazen, imparare a stare da soli, ad accettare la solitudine?

Se continui a praticare zazen, le tue caratteristiche cambiano. Il tuo volto triste si trasforma completamente, in modo inconscio, naturale e automatico. È la Via che ti trasforma, che ti riporta a una condizione normale.

Non dovresti cercare di sfuggire alla solitudine diventando troppo “diplomatico” o dipendendo dagli altri. La solitudine è una cosa buona. Lo Zen è solitudine. Diventare intimi con se stessi durante lo zazen significa essere completamente soli e, allo stesso tempo, essere con gli altri, con il cosmo.

Che cos’è l’individualità?

Individualità ed ego forte sono due cose diverse. Tornare alla propria originalità è molto importante: tu e io non siamo la stessa cosa. Tu sei solo tu. Devi trovare il tuo vero “tu”. Attraverso lo zazen puoi porre fine al tuo karma negativo.

Oggi l’educazione tende a uniformare tutti; è diventata educazione di massa. Persino i genitori spesso non riescono a vedere le individualità profonde dei propri figli.

Attraverso lo zazen si può realizzare la propria individualità e rafforzarla. Il dovere di una persona religiosa è insegnare questo agli altri. Oggi si educa solo l’intelletto, non l’individuo nella sua interezza.

Dici che quando pratichiamo lo zazen siamo Buddha o Dio, e affermi anche che dobbiamo abbandonare l’ego. Come si conciliano le due cose?

Se abbandoni l’ego, diventi Dio o Buddha! Quando lasci andare tutto, quando ti sei spogliato di tutto, quando hai terminato con la tua coscienza personale, allora sei Dio o Buddha… quando tutto il resto è finito. Non c’è nulla di contraddittorio in questo.

Ma se ti dici: «Ora ho abbandonato tutto e sono Dio», se pensi di essere Dio, allora non lo sei affatto. È questo che conta, ed è qui che tutti si sbagliano. Non possiamo certificare di essere Dio. Se dico: «Ho il satori», allora sono semplicemente pazzo.

Un pazzo dice sempre: «Non sono affatto pazzo, sono perfettamente normale». Se invece dicesse: «Forse non sto del tutto bene. Forse sto sbagliando qualcosa», allora non sarebbe poi così pazzo, e potrebbe guarire. Ma se dice di essere Dio o Buddha, allora la sua follia è incurabile. Quando tutto è finito, tutto è stato lasciato andare, allora si diventa Dio o Buddha.

Per chi osserva una postura di zazen, quella postura è già Buddha o Dio. L’autenticità è inconscia.

È una buona domanda, e tutti si sbagliano su questo punto.

Ecco perché ripeto sempre che, quando si pratica zazen, non c’è bisogno di dirsi: «Devo diventare così o cosà». Inconsciamente, naturalmente, automaticamente, lo si diventa. Questa è l’essenza dello Zen Sōtō1.

Mushotoku… senza alcuno scopo, senza alcun oggetto: semplicemente concentrarsi sulla postura dello zazen.

Hai scritto che quando pratichiamo lo zazen siamo nella nostra bara. Ma anche se sappiamo di non esistere, sentiamo comunque di esistere!

Certo. Non siamo morti! Se non sentissi la tua esistenza, saresti completamente morto. Quello che ho detto è che bisogna praticare zazen come se si stesse entrando nella propria bara. È un’immagine, un’illustrazione.

Perché la morte è sempre un problema centrale per le religioni? Perché le persone sono egocentriche, e l’ego è importante. Se riesci a risolvere la questione della morte, allora abbandoni completamente l’ego. Una persona che non ha paura della morte non è un egoista. Perciò dico che bisogna praticare zazen “nella bara”. Il vero zazen è lasciar andare l’ego. L’ego non esiste. Non c’è nessun noumeno. Questo è satori.

Cos’è l’ego? Orecchie, naso, cuore, cervello? È separato dal resto? Tutti sono egocentrici, ma in realtà siamo “vissuti” dall’ordine cosmico. Non puoi fermare il battito del tuo cuore; è impossibile. Non vuoi pensare, ma i pensieri sorgono lo stesso. Viviamo grazie all’interdipendenza, grazie alla forza dell’interdipendenza. La sostanza non esiste. Perciò è possibile lasciarla andare.

Se capisci questo, se lasci andare l’ego, allora puoi essere completamente felice. Ma finché rimani attaccato a te stesso, non puoi esserlo. Gli egoisti si ammalano, non sono liberi. Ma se diventano meno egoisti, possono essere felici. Tutte le religioni autentiche lo insegnano.

Nel Cristianesimo, Gesù si è sacrificato per gli altri, e per questo vive ancora. Le religioni ci insegnano ad abbandonare l’ego per aiutare, per servire gli altri — ed è proprio questa la cosa più difficile da fare per un essere umano. La nostra civiltà moderna non potrebbe essere più egocentrica. E le persone sono infelici. Abbandonare l’ego è difficile, ma è necessario, per poter influenzare gli altri.

Durante lo zazen, quando si ha paura di abbandonare il proprio ego, qual è l’atteggiamento giusto da adottare?

Non è necessario pensarci. Continua semplicemente a praticare; è questo ciò che conta. La forma del tuo viso appare riflessa nello specchio; ti rifletti, puoi vedere e comprendere la tua mente, puoi conoscere il tuo vero ego.

Non capisco il simbolo dello specchio nell’Hokyo Zanmai2: “Il riflesso, l’immagine, sono io, ma io non sono il riflesso”.

Durante lo zazen l’ego-soggetto può osservare l’ego-oggetto, e viceversa. Possiamo renderci conto di non essere poi così meravigliosi, a volte siamo persino peggiori degli altri, perché nello zazen profondo i nostri veri desideri vengono rivelati e possiamo vederli pienamente.

Abbiamo sempre due ego, ma ciò non significa avere una doppia personalità.

L’ego oggettivo è lo spirito buono. È lo spirito di Dio, lo spirito del Buddha, colui che osserva. Possiamo guardarci nel profondo, svegliarci e riflettere. In quel momento diventiamo puri, e possiamo diventare ancora più puri.

Nella vita quotidiana non possiamo essere davvero puri. Ma con il tempo, grazie all’esperienza acquisita nella pratica dello zazen, la nostra vita si purifica, anche se è resa molto impura dal fatto che abbiamo troppi desideri. Nella vita di tutti i giorni non possiamo essere completamente puri a causa del nostro karma. Ogni persona ha il proprio karma. Per una purezza perfetta, la bara è la soluzione migliore! È per questo che la religione è necessaria per chi è ancora in vita.

Se abbiamo conosciuto la vita religiosa, la vita in connessione, allora l’ego oggettivo potrà organizzare un buon ego soggettivo, e la mente diventerà fresca e libera.

Il Maestro Dogen disse: “Io non sono gli altri”.

Questa è una grande storia e un famoso koan.

Io non sono gli altri. Sono io che devo agire. Se non pratico, non posso comprendere.

La citazione proviene dalla celebre storia dei funghi:

Il Maestro Dogen era andato in Cina per cercare la vera saggezza, per comprendere lo Zen. Studiò molte cose, ma non capiva davvero. All’epoca, il Buddhismo e lo Zen erano molto diffusi in Cina, e Dogen si spostava da un tempio all’altro. Tuttavia, non era soddisfatto dell’insegnamento ricevuto e decise di tornare in Giappone. Un giorno giunse a un altro tempio. Era estate, faceva molto caldo. In quel tempio c’era un vecchio monaco, che stava lavorando: stava essiccando dei funghi. Pur essendo molto anziano e fragile, stava stendendo i funghi al sole.

Il Maestro Dogen lo vide e gli chiese: «Perché stai lavorando? Sei un monaco anziano, un superiore del tempio. Dovresti lasciare questo lavoro ai giovani. Non è necessario che tu lo faccia. Inoltre oggi fa molto caldo. Fallo un altro giorno». All’epoca, Dogen era ancora giovane.

La risposta del vecchio monaco fu molto interessante ed è diventata celebre nella storia dello Zen Soto.

Fu un satori per Dogen.

Il monaco gli disse: «Sei venuto dal Giappone, sei giovane, intelligente, comprendi il Buddhismo, ma non cogli l’essenza dello Zen. Se non lo faccio io, se non lavoro qui e ora, chi potrà capirlo? Io non sono te, io non sono gli altri. Gli altri non sono me. Gli altri non possono fare questa esperienza al posto mio. Se non lavoro, se non vivo questa esperienza qui e ora, non posso comprendere. Se un giovane monaco mi aiutasse, e io stessi a guardarlo, non avrei l’esperienza di essiccare questi funghi. Se dicessi: “Fai questo, fai quello. Mettili qui o lì”, non vivrei l’esperienza. Non potrei comprendere l’atto che accade qui e ora.»

“Io non sono gli altri e gli altri non sono me”. Dogen ne fu scosso, e in quel momento capì. Era sì molto intelligente, ma si disse: “Farò bene a restare un po’ di più qui in Cina”. Aveva studiato nei libri, aveva ragionato con il cervello, aveva passato tutto il tempo a pensare — ma in quell’istante comprese: “Se non faccio esperienza, non posso comprendere il vero Zen. Lo Zen non si coglie col cervello”.

Il vecchio monaco e Dogen si capirono profondamente. Ma Dogen insistette: «Perché proprio oggi stai essiccando quei funghi? Fallo un altro giorno». E il vecchio monaco rispose: «Il qui e ora è molto importante. Questi funghi non si possono essiccare un altro giorno. Se perdiamo questo momento non sarà più possibile: potrebbe piovere, potrebbe non esserci abbastanza sole. Serve una giornata calda per essiccare i funghi, e oggi è il giorno giusto. Ora vai, devo lavorare! Se vuoi trovare il vero Zen, vai a trovare il mio maestro nel dojo3». Così Dogen andò dal maestro del vecchio monaco per imparare da lui. Alla fine comprese il vero Zen, che fino ad allora gli era sfuggito.

Dogen trascorse un anno in quel tempio, poi ricevette il kesa della trasmissione. In seguito tornò in Giappone. Ma il principio fondante della sua filosofia rimase sempre: “Qui e ora. Gli altri non sono me, io non sono gli altri. Se non pratico, non posso comprendere. Se qualcun altro fa qualcosa, io non posso farne esperienza.” Questo è il primo punto.

Il secondo è “shikantaza4 — solo zazen.” I koan non sono necessari, pensare non è necessario: solo zazen. Cartesio disse: “Penso, quindi sono”. Io dico: “Non penso, ecco perché esisto”.

Se crei le tue categorie, se pensi troppo, limiti la tua coscienza. Ma la coscienza è profonda quanto il cosmo. È connessa al cosmo. Se non pensi, la tua coscienza diventa eterna, cosmica. Questo è estremamente importante. Se pensi durante lo zazen, non puoi raggiungere la coscienza cosmica perché ti stai limitando. Non puoi raggiungere l’illimitato.

Quando non pensi razionalmente, puoi pensare inconsciamente. Se non penso, esisto; non penso, quindi sono.

Ma esistiamo, che pensiamo o no. Entrambe le cose sono importanti. Quale viene prima?

Se non pensiamo, esistiamo eternamente, perché allora la coscienza è sconfinata, eterna. Si estende fino a Dio, Buddha, il cosmo, la verità.

Una volta che l’ego è scomparso non c’è più dualità. Non appena esistono “io” e “gli altri”, quella è dualità. Quando non c’è più un me, non ci sono più nemmeno gli altri; c’è interdipendenza. Questo è il non-pensiero.

Non dovresti limitare il tuo pensiero con parole e frasi. Quando crei le tue categorie, le parole non si adattano. Gli occidentali usano sempre il loro vocabolario per creare categorie, e a volte ciò che ottengono sono contraddizioni. Nel linguaggio, ci sono sempre due cose.

Se dico: “Cos’è quello?”, l’unica risposta è: “Quello è quello”. Se dico: “Cos’è quello?” e tu rispondi: “È un kyosaku5“, sarebbe altrettanto corretto dire: “È un pezzo di legno”. Anche “È quercia” andrebbe bene.

Le discussioni Zen sono sempre così. Un monaco dice: “La fiamma si muove”. Il successivo dice: “No, non è la fiamma, è l’aria che si muove”. Il terzo, più acuto degli altri due, dice: “No, non è né la fiamma né il vento, è la tua mente che si muove”. E alla fine il quarto dice: “Non è né il vento, né la fiamma, né la tua mente”.

Devi capire perché gli altri non sono te. Se non riesco a farlo, non posso spiegarlo. Io non sono gli altri. Io sono ciò che sono. Sono me stesso. Non è necessario seguire gli altri.

Ci sono molti significati. “Io sono me stesso.” “Non è necessario seguire gli altri.” Devo decidere da solo. Devo fare da solo ciò che faccio. Gli altri non sono me, è vero, ma è anche vero che la mia mente e la tua mente hanno la stessa sostanza. Io sono come il cielo e la terra. Quando lasci andare tutto, diventi gli altri. Questo è l’abbandono dell’ego. Non fraintendermi.

Questo è il koan dei funghi del Maestro Dogen.

Note


1 Soto: 曹洞 (Sōtō). Nella scuola Soto, quella di Deshimaru Roshi, lo zazen si pratica senza alcun obiettivo o scopo, rivolti verso il muro. Il maestro non assegna sistematicamente koan agli allievi; le sue risposte alle loro domande diventano esse stesse koan.


2 Hokyo Zanmai: 宝鏡三昧 (Hōkyō Zanmai). Samadhi dello Specchio-Tesoro, composto dal maestro Tozan (807-869 d.C.). Testo antico importante, ancora oggi utilizzato quotidianamente nei templi e nei dojo.


3 Dojo: 道場 (Dōjō). Luogo per la pratica della Via (cioè lo zazen).


4 Shikantaza: 只管打坐 (Shikantaza). “Solo sedersi”. Concentrazione pura sulla pratica dello zazen.


5 Kyosaku: 警策 (Kyōsaku). Il bastone del risveglio, usato dai maestri Zen. Viene applicato durante lo zazen tra il collo e la spalla (sui muscoli trapezi), punto in cui si incrociano molti meridiani di agopuntura e dove spesso si accumula tensione; il suo effetto è insieme stimolante e calmante.


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