Ego Che cos’è l’ego? L’ego è l’ego. È zazen… come dire: «Conosci te stesso». Dico sempre: bisogna comprendere l’ego… e alla fine, l’ego non esiste, l’ego non ha sostanza. Dove pensi di trovarla, questa sostanza? Nel naso? Nel cervello? Nell’ombelico? Nella testa? Difficile dirlo. Nella mente? Ma cos’è la mente? È diventato un problema, il problema più grande della psicologia, della filosofia e della religione. Ho spiegato che non abbiamo noumeno, nessuna sostanza permanente. L’ego cambia a ogni secondo che passa; l’ego di ieri, l’ego di oggi… non sono lo stesso. Anche il nostro corpo cambia, così come le nostre cellule. Quando fai il bagno, per esempio, tutte le cellule morte della pelle vengono lavate via. Il nostro cervello, la nostra mente cambiano: quella di un adulto non è la stessa di quando era bambino. Dunque, dove esiste l’ego? È uno con il cosmo. Non è soltanto corpo o mente — è Dio, è Buddha, è la forza cosmica fondamentale. Trovare l’eternità non è egoismo; è verità, vero noumeno. Questa è la vera religione che dobbiamo creare. La nostra vita è connessa alla potenza cosmica ed è in relazione di interdipendenza con tutte le altre esistenze. Non possiamo vivere da soli, dipendiamo dalla natura, dall’aria, dall’acqua. Perciò non dobbiamo diventare egoisti… Questo è il grande satori. È inutile essere egoisti, perché ogni ego è in relazione di interdipendenza con il mondo e con tutte le cose. Non c’è alcun bisogno di trattenere qualcosa solo per sé. Questo è molto importante. Nei suoi Saggi, Montaigne scrisse che tutti guardavano verso l’esterno, ma lui voleva guardare dentro. È necessario volgere lo sguardo verso l’interiorità, anche se la maggior parte delle persone guarda solo fuori. Oggi più che mai dobbiamo guardare dentro noi stessi. Guardare un oggetto è facile; guardare il soggetto, molto meno. Hai detto che dobbiamo avere un ego e allo stesso tempo andare oltre l’ego. Cosa significa? Sembra una contraddizione. Ma avere un ego forte non è la stessa cosa che avere un ego egocentrico. Devi avere fiducia in te stesso. Devi trovare il tuo vero ego e, allo stesso tempo, lasciarlo andare. Se continui a praticare zazen, il tuo vero ego diventerà forte e troverai te stesso. Non sei intercambiabile con un altro corpo. Non sei fatto solo di organi e capelli. Hai una tua originalità. Ma per trovarla, devi abbandonare l’ego, lasciare andare tutto, affinché resti soltanto il vero ego. Ogni persona ha un karma, porta con sé fango e polvere. Ma quando tutto questo viene spazzato via, puoi ritrovare la tua vera originalità. Essere diversi dagli altri significa anche essere soli. È possibile, attraverso lo zazen, imparare a stare da soli, ad accettare la solitudine? Se continui a praticare zazen, le tue caratteristiche cambiano. Il tuo volto triste si trasforma completamente, in modo inconscio, naturale e automatico. È la Via che ti trasforma, che ti riporta a una condizione normale. Non dovresti cercare di sfuggire alla solitudine diventando troppo “diplomatico” o dipendendo dagli altri. La solitudine è una cosa buona. Lo Zen è solitudine. Diventare intimi con se stessi durante lo zazen significa essere completamente soli e, allo stesso tempo, essere con gli altri, con il cosmo. Che cos’è l’individualità? Individualità ed ego forte sono due cose diverse. Tornare alla propria originalità è molto importante: tu e io non siamo la stessa cosa. Tu sei solo tu. Devi trovare il tuo vero “tu”. Attraverso lo zazen puoi porre fine al tuo karma negativo. Oggi l’educazione tende a uniformare tutti; è diventata educazione di massa. Persino i genitori spesso non riescono a vedere le individualità profonde dei propri figli. Attraverso lo zazen si può realizzare la propria individualità e rafforzarla. Il dovere di una persona religiosa è insegnare questo agli altri. Oggi si educa solo l’intelletto, non l’individuo nella sua interezza. Dici che quando pratichiamo lo zazen siamo Buddha o Dio, e affermi anche che dobbiamo abbandonare l’ego. Come si conciliano le due cose? Se abbandoni l’ego, diventi Dio o Buddha! Quando lasci andare tutto, quando ti sei spogliato di tutto, quando hai terminato con la tua coscienza personale, allora sei Dio o Buddha… quando tutto il resto è finito. Non c’è nulla di contraddittorio in questo. Ma se ti dici: «Ora ho abbandonato tutto e sono Dio», se pensi di essere Dio, allora non lo sei affatto. È questo che conta, ed è qui che tutti si sbagliano. Non possiamo certificare di essere Dio. Se dico: «Ho il satori», allora sono semplicemente pazzo. Un pazzo dice sempre: «Non sono affatto pazzo, sono perfettamente normale». Se invece dicesse: «Forse non sto del tutto bene. Forse sto sbagliando qualcosa», allora non sarebbe poi così pazzo, e potrebbe guarire. Ma se dice di essere Dio o Buddha, allora la sua follia è incurabile. Quando tutto è finito, tutto è stato lasciato andare, allora si diventa Dio o Buddha. Per chi osserva una postura di zazen, quella postura è già Buddha o Dio. L’autenticità è inconscia. È una buona domanda, e tutti si sbagliano su questo punto. Ecco perché ripeto sempre che, quando si pratica zazen, non c’è bisogno di dirsi: «Devo diventare così o cosà». Inconsciamente, naturalmente, automaticamente, lo si diventa. Questa è l’essenza dello Zen Sōtō. Mushotoku… senza alcuno scopo, senza alcun oggetto: semplicemente concentrarsi sulla postura dello zazen. Hai scritto che quando pratichiamo lo zazen siamo nella nostra bara. Ma anche se sappiamo di non esistere, sentiamo comunque di esistere! Certo. Non siamo morti! Se non sentissi la tua esistenza, saresti completamente morto. Quello che ho detto è che bisogna praticare zazen come se si stesse entrando nella propria bara. È un’immagine, un’illustrazione. Perché la morte è sempre un problema centrale per le religioni? Perché le persone sono egocentriche, e l’ego è importante. Se riesci a risolvere la questione della morte, allora abbandoni completamente l’ego. Una persona che non ha paura della morte non è un egoista. Perciò dico che bisogna praticare zazen “nella bara”. Il vero zazen è lasciar andare l’ego. L’ego non esiste. Non c’è nessun noumeno. Questo è satori. Cos’è l’ego? Orecchie, naso, cuore, cervello? È separato dal resto? Tutti sono egocentrici, ma in realtà siamo “vissuti” dall’ordine cosmico. Non puoi fermare il battito del tuo cuore; è impossibile. Non vuoi pensare, ma i pensieri sorgono lo stesso. Viviamo grazie all’interdipendenza, grazie alla forza dell’interdipendenza. La sostanza non esiste. Perciò è possibile lasciarla andare. Se capisci questo, se lasci andare l’ego, allora puoi essere completamente felice. Ma finché rimani attaccato a te stesso, non puoi esserlo. Gli egoisti si ammalano, non sono liberi. Ma se diventano meno egoisti, possono essere felici. Tutte le religioni autentiche lo insegnano. Nel Cristianesimo, Gesù si è sacrificato per gli altri, e per questo vive ancora. Le religioni ci insegnano ad abbandonare l’ego per aiutare, per servire gli altri — ed è proprio questa la cosa più difficile da fare per un essere umano. La nostra civiltà moderna non potrebbe essere più egocentrica. E le persone sono infelici. Abbandonare l’ego è difficile, ma è necessario, per poter influenzare gli altri. Durante lo zazen, quando si ha paura di abbandonare il proprio ego, qual è l’atteggiamento giusto da adottare? Non è necessario pensarci. Continua semplicemente a praticare; è questo ciò che conta. La forma del tuo viso appare riflessa nello specchio; ti rifletti, puoi vedere e comprendere la tua mente, puoi conoscere il tuo vero ego. Non capisco il simbolo dello specchio nell’Hokyo Zanmai2: “Il riflesso, l’immagine, sono io, ma io non sono il riflesso”. Durante lo zazen l’ego-soggetto può osservare l’ego-oggetto, e viceversa. Possiamo renderci conto di non essere poi così meravigliosi, a volte siamo persino peggiori degli altri, perché nello zazen profondo i nostri veri desideri vengono rivelati e possiamo vederli pienamente. Abbiamo sempre due ego, ma ciò non significa avere una doppia personalità. L’ego oggettivo è lo spirito buono. È lo spirito di Dio, lo spirito del Buddha, colui che osserva. Possiamo guardarci nel profondo, svegliarci e riflettere. In quel momento diventiamo puri, e possiamo diventare ancora più puri. Nella vita quotidiana non possiamo essere davvero puri. Ma con il tempo, grazie all’esperienza acquisita nella pratica dello zazen, la nostra vita si purifica, anche se è resa molto impura dal fatto che abbiamo troppi desideri. Nella vita di tutti i giorni non possiamo essere completamente puri a causa del nostro karma. Ogni persona ha il proprio karma. Per una purezza perfetta, la bara è la soluzione migliore! È per questo che la religione è necessaria per chi è ancora in vita. Se abbiamo conosciuto la vita religiosa, la vita in connessione, allora l’ego oggettivo potrà organizzare un buon ego soggettivo, e la mente diventerà fresca e libera. Il Maestro Dogen disse: “Io non sono gli altri”. Questa è una grande storia e un famoso koan. Io non sono gli altri. Sono io che devo agire. Se non pratico, non posso comprendere. La citazione proviene dalla celebre storia dei funghi: Il Maestro Dogen era andato in Cina per cercare la vera saggezza, per comprendere lo Zen. Studiò molte cose, ma non capiva davvero. All’epoca, il Buddhismo e lo Zen erano molto diffusi in Cina, e Dogen si spostava da un tempio all’altro. Tuttavia, non era soddisfatto dell’insegnamento ricevuto e decise di tornare in Giappone. Un giorno giunse a un altro tempio. Era estate, faceva molto caldo. In quel tempio c’era un vecchio monaco, che stava lavorando: stava essiccando dei funghi. Pur essendo molto anziano e fragile, stava stendendo i funghi al sole. Il Maestro Dogen lo vide e gli chiese: «Perché stai lavorando? Sei un monaco anziano, un superiore del tempio. Dovresti lasciare questo lavoro ai giovani. Non è necessario che tu lo faccia. Inoltre oggi fa molto caldo. Fallo un altro giorno». All’epoca, Dogen era ancora giovane. La risposta del vecchio monaco fu molto interessante ed è diventata celebre nella storia dello Zen Soto. Fu un satori per Dogen. Il monaco gli disse: «Sei venuto dal Giappone, sei giovane, intelligente, comprendi il Buddhismo, ma non cogli l’essenza dello Zen. Se non lo faccio io, se non lavoro qui e ora, chi potrà capirlo? Io non sono te, io non sono gli altri. Gli altri non sono me. Gli altri non possono fare questa esperienza al posto mio. Se non lavoro, se non vivo questa esperienza qui e ora, non posso comprendere. Se un giovane monaco mi aiutasse, e io stessi a guardarlo, non avrei l’esperienza di essiccare questi funghi. Se dicessi: “Fai questo, fai quello. Mettili qui o lì”, non vivrei l’esperienza. Non potrei comprendere l’atto che accade qui e ora.» “Io non sono gli altri e gli altri non sono me”. Dogen ne fu scosso, e in quel momento capì. Era sì molto intelligente, ma si disse: “Farò bene a restare un po’ di più qui in Cina”. Aveva studiato nei libri, aveva ragionato con il cervello, aveva passato tutto il tempo a pensare — ma in quell’istante comprese: “Se non faccio esperienza, non posso comprendere il vero Zen. Lo Zen non si coglie col cervello”. Il vecchio monaco e Dogen si capirono profondamente. Ma Dogen insistette: «Perché proprio oggi stai essiccando quei funghi? Fallo un altro giorno». E il vecchio monaco rispose: «Il qui e ora è molto importante. Questi funghi non si possono essiccare un altro giorno. Se perdiamo questo momento non sarà più possibile: potrebbe piovere, potrebbe non esserci abbastanza sole. Serve una giornata calda per essiccare i funghi, e oggi è il giorno giusto. Ora vai, devo lavorare! Se vuoi trovare il vero Zen, vai a trovare il mio maestro nel dojo». Così Dogen andò dal maestro del vecchio monaco per imparare da lui. Alla fine comprese il vero Zen, che fino ad allora gli era sfuggito. Dogen trascorse un anno in quel tempio, poi ricevette il kesa della trasmissione. In seguito tornò in Giappone. Ma il principio fondante della sua filosofia rimase sempre: “Qui e ora. Gli altri non sono me, io non sono gli altri. Se non pratico, non posso comprendere. Se qualcun altro fa qualcosa, io non posso farne esperienza.” Questo è il primo punto. Il secondo è “shikantaza — solo zazen.” I koan non sono necessari, pensare non è necessario: solo zazen. Cartesio disse: “Penso, quindi sono”. Io dico: “Non penso, ecco perché esisto”. Se crei le tue categorie, se pensi troppo, limiti la tua coscienza. Ma la coscienza è profonda quanto il cosmo. È connessa al cosmo. Se non pensi, la tua coscienza diventa eterna, cosmica. Questo è estremamente importante. Se pensi durante lo zazen, non puoi raggiungere la coscienza cosmica perché ti stai limitando. Non puoi raggiungere l’illimitato. Quando non pensi razionalmente, puoi pensare inconsciamente. Se non penso, esisto; non penso, quindi sono. Ma esistiamo, che pensiamo o no. Entrambe le cose sono importanti. Quale viene prima? Se non pensiamo, esistiamo eternamente, perché allora la coscienza è sconfinata, eterna. Si estende fino a Dio, Buddha, il cosmo, la verità. Una volta che l’ego è scomparso non c’è più dualità. Non appena esistono “io” e “gli altri”, quella è dualità. Quando non c’è più un me, non ci sono più nemmeno gli altri; c’è interdipendenza. Questo è il non-pensiero. Non dovresti limitare il tuo pensiero con parole e frasi. Quando crei le tue categorie, le parole non si adattano. Gli occidentali usano sempre il loro vocabolario per creare categorie, e a volte ciò che ottengono sono contraddizioni. Nel linguaggio, ci sono sempre due cose. Se dico: “Cos’è quello?”, l’unica risposta è: “Quello è quello”. Se dico: “Cos’è quello?” e tu rispondi: “È un kyosaku”, sarebbe altrettanto corretto dire: “È un pezzo di legno”. Anche “È quercia” andrebbe bene. Le discussioni Zen sono sempre così. Un monaco dice: “La fiamma si muove”. Il successivo dice: “No, non è la fiamma, è l’aria che si muove”. Il terzo, più acuto degli altri due, dice: “No, non è né la fiamma né il vento, è la tua mente che si muove”. E alla fine il quarto dice: “Non è né il vento, né la fiamma, né la tua mente”. Devi capire perché gli altri non sono te. Se non riesco a farlo, non posso spiegarlo. Io non sono gli altri. Io sono ciò che sono. Sono me stesso. Non è necessario seguire gli altri. Ci sono molti significati. “Io sono me stesso.” “Non è necessario seguire gli altri.” Devo decidere da solo. Devo fare da solo ciò che faccio. Gli altri non sono me, è vero, ma è anche vero che la mia mente e la tua mente hanno la stessa sostanza. Io sono come il cielo e la terra. Quando lasci andare tutto, diventi gli altri. Questo è l’abbandono dell’ego. Non fraintendermi. Questo è il koan dei funghi del Maestro Dogen. Karma Cos’è il karma? Karma significa “azione”. Se colpisci qualcuno, spari, punti il dito, il tuo gesto ha un effetto. Proprio come lo zazen ha un effetto, qui, ora e anche in futuro. Esiste il karma del corpo, della parola e della coscienza. Se uccidi una persona, anche se non vieni mai catturato né processato, un giorno il karma di quell’atto si manifesterà sicuramente, nella tua vita o in quella dei tuoi discendenti. Non è una questione di moralità. Lo zazen è il miglior karma: la postura del corpo è semplice e precisa. Sei in silenzio e la tua mente è al di là del pensiero. Il karma scompare. Non c’è bisogno di evitarlo né di coprirlo. Ma il buon karma, quello sì: bisogna cercare di crearlo. Durante lo zazen lasci passare sogni e illusioni, ed essi svaniscono. Non-pensare non significa dormire; significa pensiero fresco. Lo zazen rinfresca il cervello, e i lineamenti del volto diventano nobili. Quando si riposa il proencefalo, dove avviene il pensiero razionale, sorge una saggezza infinita… Karma e destino significano la stessa cosa? No, non sono la stessa cosa. Karma significa azione. Azione del corpo, della coscienza, della parola. Se ti colpisco con un pugno, per esempio, questa è un’azione che diventa karma. Quando parliamo, creiamo karma. Quando pensiamo, generiamo un karma che pianta un seme nella coscienza alaya. Se rubi, quello è karma: un karma negativo che porterà frutti negativi. Una volta, durante una sesshin, uno dei miei discepoli non si comportò bene — troppo sesso, troppo alcol — e il giorno in cui se ne andò ebbe un incidente in auto con una ragazza. Quella volta, il karma è riemerso molto in fretta. Anche le piccole azioni ritornano. Qualunque cosa facciamo con il corpo, la parola o il pensiero, sicuramente crea karma. Quando nasci, erediti un karma: quello dei tuoi antenati, dei tuoi nonni, per esempio. Ma il karma può cambiare, mentre il destino è una costante. Se pratichi lo zazen, il tuo karma cambia completamente: migliora. Durante lo zazen, il corpo genera il karma più alto, perché la postura è l’atto più elevato. Lo stesso vale per la parola: le parole non sono così efficaci, mentre il silenzio è il karma migliore. Anche la coscienza durante lo zazen è la più alta e produce il karma più elevato. In questo modo puoi trasformare un destino negativo in un destino positivo. Il karma è uno dei principi fondamentali del Buddhismo, anche se il problema di come trasformarlo esiste in altre religioni. Come ci si disconnette dal proprio karma negativo per avere un karma migliore? Credo che lo zazen sia il metodo più efficace. La coscienza è molto importante. Le altre religioni e filosofie si occupano solo del karma del corpo e della parola. Ma come si crea un buon karma del pensiero? Attraverso la coscienza hishiryo. Dove inizia il karma personale? Qui e ora. Si manifesta continuamente, in ogni istante, anche durante lo zazen. Smette di apparire solo nella tomba. E quando si dorme? Si sogna: è il karma che riaffiora. Ci si muove, ci si gratta; anche a letto si compiono azioni. Quando si è bevuto troppo si russa. Il karma sorge, si manifesta ovunque. Questo è il karma. Se sei venuto qui e hai praticato lo zazen, significa che il tuo karma passato è sicuramente emerso. Il solo fatto di essere venuto indica che un buon karma del passato ti ha spinto a farlo. Non è così facile scegliere deliberatamente di compiere solo buone azioni. Ma praticare lo zazen è un’azione assoluta. Questo da solo crea un karma positivo infinito, e anche quel karma riaffiorerà inevitabilmente. Anche se una persona pratica zazen una sola volta e non torna mai più, quel karma influenzerà comunque la sua esistenza. Se qualcuno ha un karma negativo, come può interessarsi allo zazen? Tutti hanno un karma negativo. Anche tu hai un karma negativo. Il karma non è un blocco unico. Esistono molti tipi diversi di karma. La sorgente è completamente pura, ma gli affluenti sono fangosi. Ogni tuo pensiero, ogni tua azione influenza il corpo, il volto. Ogni singola cosa diventa karma. Se dici una bugia, crei karma. Recitare l’Hannya Shingyo genera buon karma. Tenere la bocca chiusa nella vita quotidiana genera buon karma. Le persone parlano sempre. Il silenzio è buon karma. Se desideri un cibo raffinato e non lo mangi, crei buon karma. Se bevi troppo whisky o cognac e poi smetti, quello diventa buon karma. Ma ogni singola cosa genera karma. Praticare lo zazen è il karma più grande, il karma assoluto. Ma il karma non è una cosa sola. I due piatti della bilancia devono sempre restare in equilibrio: una cosa buona pesa contro una cattiva. Cosa significa “confessare il proprio karma negativo”? Significa osservare le proprie azioni passate: “Lì ero stato buono, lì ero stato cattivo”. Attraverso la pratica dello zazen si può diventare sempre più profondamente consapevoli dei propri punti deboli, dei propri lati oscuri — e non solo in termini morali. Non si può mentire a se stessi. Questa è la confessione. “Continuo a praticare zazen e più pratico, più vedo che sono la creatura peggiore sulla terra.” Se capisci questo, allora stai diventando veramente profondo. Se comprendi oggettivamente il tuo ego, sei come un dio. Questa è la dimensione più alta. Durante lo zazen puoi comprendere. Non è necessario confessare agli altri, solo a se stessi. Questa è la confessione migliore. Una persona davvero folle non può capire di esserlo, ma un pazzo che capisce di essere pazzo non è poi così pazzo. La condizione normale della mente è il satori! Quando si sa di avere dei difetti, è meglio combatterli deliberatamente o ignorarli in silenzio e lasciarli cambiare da sé? Entrambe le cose. Gli occidentali inventano continuamente distinzioni e creano dualismi, ma in realtà entrambi gli atteggiamenti sono necessari. Voler cambiare deliberatamente significa avere uno scopo, e questo è vano. Al primo ostacolo si inciampa. A volte, però, avere un obiettivo può essere utile. Se vuoi comprendere veramente e in profondità, non devi avere nulla. Pratica lo shikantaza. Se lotti continuamente per ottenere qualcosa, finirai per diventare come un asceta, un eremita tra le montagne. Ma anche quello è solo un’altra forma di egotismo. Se continui a praticare zazen, andrai oltre qualità e difetti. Come il pittore, devi lasciar andare il tuo ego per creare un capolavoro. Concentrati senza alcuno scopo, qui e ora, e non fare del voler cambiare un obiettivo. Cosa sono le buone azioni? La pratica dello zazen è l’unico atto o gesto assoluto. Anche se si desidera compiere diecimila buone azioni, nella realtà non è così facile: essere gentili con qualcuno, per esempio. Milioni di buone azioni sono possibili, ma se non ti sei liberato dal desiderio di ottenere qualcosa, sarà molto difficile compierle. Se pratichi lo zazen puoi essere gentile, puoi amare senza uno scopo, in modo inconscio, naturale, automatico. Non è necessario fare una scelta con la propria volontà personale. Puoi fare qualsiasi cosa, ma non devi scegliere! Oggi molte persone vogliono compiere buone azioni. Il cervello capisce: “Si dovrebbe agire così o colà…” e impone dei limiti. È la volontà — la tua volontà personale — che cerca di dettare legge, e così tutto diventa complicato. Se segui l’ordine cosmico, puoi creare un vero buon karma, tornando alla sorgente dello zazen. Questa è fede. Questa è l’azione della vera religione. Se ci pensi con la coscienza personale, se devi fare una cosa o un’altra per seguire i dettami dell’etica o della moralità, allora la vita diventa difficile. Limiti la tua esistenza e non riesci a trovare la vera libertà. Ma se pratichi lo zazen, le tue azioni diventano libere — inconsciamente, naturalmente, automaticamente. Illusioni, Attaccamento, Sofferenza Cos’è la sofferenza, e perché esiste? È solo la tua mente che soffre. Se sei in ansia, soffri; ma se recidi le radici della tua ansia, la sofferenza scompare. Anche il Buddha si pose questa domanda. L’ego soffre per sé stesso; senza di esso non ci sarebbe più sofferenza. È la sofferenza che nasce dalla consapevolezza della vita, della famiglia, dei desideri, del futuro. Per questo il buddhismo raccomanda di recidere gli attaccamenti verso la famiglia, il denaro, la società e così via. Ma questo vale solo sul piano dello spirito, non a livello dei comportamenti concreti. Se recidi l’attaccamento alla tua famiglia, allora potrai amarla davvero e profondamente, senza egoismo. Ciò che crea un amore profondo e vero — un amore senza oggetto e senza desiderio di guadagno, universale ed eterno — è la comprensione della natura dell’ego. Allora la sofferenza non ha più senso. Amare e lavorare non generano più sofferenza; le radici sono state tagliate, “come nella bara”. Dentro di te non resterà nulla; l’abbandono dell’ego è vera felicità. All’esterno, però, continui ad agire, amare, lavorare; non c’è contraddizione. Questa è la condizione normale: rendere possibile l’armonia con gli altri grazie alla vera libertà interiore e alla vera semplicità. Religione significa seguire quella libertà interiore, non una qualsiasi morale. La vera religione consiste nell’armonizzarsi con ciò che è esterno, con la società, con tutto ciò che ci circonda. Questo è il giusto posto per il bodhisattva, il monaco. Eliminare la sofferenza è il problema comune a tutte le religioni; è la loro radice e la radice di ogni vita spirituale. La morte è la sofferenza più grande. È per questo che abbiamo bisogno di una vita spirituale. Come possiamo sfuggire alle complicazioni della vita? Le complicazioni significano mancanza di saggezza. Quando si diventa saggi, si perdono le complicazioni. Se vuoi diventare profondo, devi attraversare le tue complicazioni. Se vuoi comprendere lo Zen, vivi una sesshin. Se vivi attraverso queste difficoltà, sarai in grado di comprendere. È necessario sperimentarle per diventare forti. Le persone che non hanno mai avuto complicazioni hanno un volto e una mente diversi. Quando le persone iniziano ad avere difficoltà—se capiscono—possono recuperare la vera semplicità del bambino, la loro vera mente, e diventa impossibile per loro essere nuovamente coinvolti nelle complicazioni. Devi attraversare la malattia, la morte e la sofferenza per raggiungere il ku? Questa è l’esperienza del mujo, l’impermanenza, la fonte stessa del Buddhismo, l’esperienza originale del Buddha. Come risolvere la sofferenza? La domanda è alla base di quasi tutte le religioni. Ma non ha senso dirsi: “Devo comprendere la sofferenza e per comprenderla devo soffrire”. Sicuramente vivrete questa esperienza prima o poi nella vostra vita. Se praticate lo zazen, potete conoscere la vostra sofferenza oggettivamente. Poi il tempo passa, e non è diverso da un sogno. In presenza della sofferenza è necessario, a volte, osservarsi oggettivamente, come nello zazen. Allora la sofferenza diventa meno importante. Svanisce, proprio come i desideri e il dolore svaniscono nel momento della morte. È possibile, sedendosi in zazen, recidere attaccamenti e desideri attraverso il controllo della mente e della postura? Sì; ma non dopo una singola sesshin. Ecco perché dovete continuare a praticare. Non è facile recidere l’attaccamento. L’attaccamento rappresenta il karma che non si è manifestato. Intellettualmente, si può capire che bisogna recidere l’attaccamento, ma in pratica è estremamente difficile. Se continui a fare zazen, inconsciamente, naturalmente, automaticamente, i tuoi attaccamenti diminuiscono e alla fine, anche se vuoi attaccarti a qualcosa, non ci riesci più. Satori. Uno dei miei discepoli mi ha detto: «Ho una fidanzata e sono molto legato a lei. Come posso recidere questo attaccamento?» Gli ho risposto: «Prenditi due, tre, una dozzina di fidanzate. In questo modo il tuo attaccamento cambierà, si dividerà e diminuirà. Alla fine sarai esausto e non avrai più alcun attaccamento!» Quando continui a praticare zazen, la tua forza di volontà, le tue intenzioni deliberate, cessano di operare. Inconsciamente, diventi pacifico. Quando pratichi zazen, entri nella tua bara, dove nulla è più molto importante e non c’è bisogno di alcun attaccamento. Quando sei attaccato alle cose, le tue azioni non possono essere equilibrate perché agisci in base alle tue emozioni… Ma attraverso lo zazen gli attaccamenti soggettivi scompaiono, puoi diventare forte, agire con fermezza e sicurezza, e in armonia. La tua mente interiore diventa completamente calma. Il desiderio della vita eterna dell’anima non è forse una forma di attaccamento? Sì, tutti hanno questo desiderio. Ma non tutto ciò che è attaccato è negativo. L’attaccamento allo zazen, per esempio. O l’attaccamento al satori; questo è meglio dell’attaccamento al sesso. In realtà, non è veramente attaccamento, ma una speranza, un ideale. Ma Buddha è diventato Buddha recidendo tutte le sue illusioni! Oh, qualcuna deve essergli rimasta! Non è possibile recidere tutto, nemmeno per il Buddha. Ma nello zazen poteva vedere il proprio karma e ottenere il satori. Vide la radice del male e così poté comprendere ogni cosa. Non si può recidere tutto, nemmeno nello zazen… Ma si può vedere in sé stessi come gli errori vengono commessi e questo è il satori. Durante lo zazen, se pensi di avere il satori sei un po’ pazzo. Se Buddha l’avesse pensato, non avrebbe avuto il satori. Ma lui comprendeva il suo karma; quella era la parte essenziale della sua esperienza. Devi comprendere il tuo karma. Se lo comprendi veramente, se lo confessi a te stesso, sperimenti il satori e puoi ridurre il tuo karma. La libertà è qualcosa di reale o un’illusione? La vera libertà è nella mente. Alcune persone sembrano libere, ma dentro di sé non lo sono affatto. Io mi sento libero dentro di me, anche se devo obbedire ai precetti. Non ho molti desideri, vivo semplicemente. Anche quando i miei progetti falliscono, anche se tutta la mia missione fosse un fallimento, avrei comunque il mio kolomo, la testa rasata e il mio kesa, e potrei dormire sul ciglio della strada — un vero monaco zen. Le persone ambiziose e piene di desideri sono sempre in cerca di libertà, ma non riescono a trovarla. Sono sempre preoccupate e tristi, i loro desideri continuano a crescere senza fine, e alla fine si ammalano o diventano nevrotiche. Libertà non significa fare ciò che si vuole. Un’eccessiva gratificazione dei desideri non conduce alla libertà, perché i desideri umani sono illimitati. La cosa migliore è avere meno desideri. La libertà è diversa a ogni età della vita e in base al proprio karma. I giovani non dovrebbero diventare di mentalità ristretta cercando di limitare i propri desideri. La via di mezzo, l’equilibrio, è ciò che conta. Per quanto possibile, bisogna sublimare i propri desideri; allora la libertà nasce da un ideale spirituale. Dici spesso che la massima libertà viene dallo zazen, ma affermi anche che è impossibile eliminare tutte le illusioni. Non è una contraddizione? Come si possono conciliare illusioni e libertà? È possibile. Le illusioni cessano davvero solo nella bara, ma è importante regolarle, controllarle. Tagliarle di colpo — con una cintura di castità, ad esempio — rende semplicemente le persone isteriche. Allora, come regolarle attraverso la pratica dello zazen? Controllare non significa tagliare. Nella nostra vita di oggi, ad esempio, possiamo desiderare denaro, quindi ci concentriamo su di esso, ma senza rincorrerlo, senza attaccarci, e lo riceviamo senza avidità; altrimenti, scappa via come un gatto. Restare sempre sereni, senza ansia, è la cosa migliore. E in questo modo, attraverso lo zazen, possiamo regolare i desideri man mano che sorgono. Cosa significa quando dici che satori e illusione sono la stessa cosa? Quello che ripeto sempre è che il satori diventa illusione e l’illusione diventa satori. Durante lo zazen, le illusioni sorgono, passano, evaporano. Gli occidentali distinguono sempre tra illusione e satori. Creano continuamente categorie: bene da una parte, male dall’altra. Ma non è così semplice. Il bene può diventare male e viceversa. L’infelicità può portare felicità e la felicità può portare infelicità. Ciò che è facile non conduce alla felicità. Perdere le proprie illusioni può condurre a un grande satori. Uno dei sutra dice che le illusioni diventano l’acqua del satori; la relazione è come quella tra ghiaccio e acqua. L’illusione diventa satori. Sciogliendosi, un grosso pezzo di ghiaccio produce molta acqua, e tutte le illusioni che si dissolvono producono satori. Ma sarebbe un errore credere che, avendo molte illusioni, si possa avere molto satori, o un satori qualsiasi! La felicità giunge dopo le difficoltà. Più grandi sono le difficoltà, più grande è la felicità. I giovani rifiutano le difficoltà e perciò non sono affatto felici. Lo zazen è difficile, ma porta felicità. Se pratichi lo zazen regolarmente, se fai l’esperienza di una sesshin, in seguito sarai molto felice nella vita quotidiana. Durante lo zazen soffri, ma diventi più profondo. La tua personalità si arricchisce. Ma non è necessario credere che si debba soffrire per diventare profondi. Lo zazen è come uno specchio: lo specchio non cambia, è sempre puro, le illusioni non lo appannano! Durante lo zazen ci si accorge di pensare; le illusioni sfilano davanti allo specchio. Ma anche se moriamo, possiamo esistere eternamente perché non abbiamo alcun noumeno, alcuna sostanza permanente. Questo è un kōan. Se riesci a comprenderlo, diventerai libero e in pace. Quando attaccamenti e illusioni scompaiono, cosa rimane? Non devi preoccupartene. Avrai sempre qualche illusione. Anche quando dormi, sogni; è difficile staccarsi dalle illusioni, persino durante lo zazen. Il nirvana totale esiste solo nella bara. Nel Buddhismo Mahayana non si cerca di recidere le illusioni, ma di trasformarle, di mutarle in saggezza e purezza. Questo è lo zazen. Se continui a praticare, sarai in grado di comprendere. Possiamo realmente trasmutare le nostre passioni in saggezza. Possiamo ridurre la parte di errore dentro di noi. Recidere tutto è davvero molto difficile, ma trasformarlo attraverso lo zazen è possibile. Aiutare Gli Altri Cos’è la compassione? Esistono molti gradi e forme d’amore. L’amore universale è il più profondo. Se proviamo davvero compassione per qualcuno, non siamo solo consapevoli della sua sofferenza fisica o emotiva, del suo disagio. Dobbiamo diventare come lui, avere il suo stesso stato d’animo. Allora come dovremmo agire, per aiutare, confortare, guarire? Dobbiamo sempre vedere le cose non dal nostro punto di vista soggettivo, ma diventando l’altro, senza dualità. Non dobbiamo solo amare, ma diventare identici all’altra mente. Nell’amore siamo sempre due. La compassione, o jihi, è unità. Quando ti incontro divento te. «Come stai? Non c’è male?» Ieri qualcuno mi ha fatto un regalo. Devo dargli il doppio in cambio. Spesso, nell’amore, questo è impossibile, e così alla fine si fugge. La vera compassione è autentica empatia. Dobbiamo dimenticare noi stessi e diventare l’altro. Ma la compassione deve sempre andare di pari passo con la saggezza. E la saggezza con la compassione. Su questo argomento molto è stato scritto in Cina e in Giappone. Il mondo intero lo proclama, in realtà, ma nel Buddhismo è divenuto una forza potente. Nell’amore c’è sempre dualità, opposizione tra i partner. Ma nella compassione i due esseri sono solo uno. L’amore è relativo. La compassione è comunione totale tra due esseri. Ma senza saggezza l’amore è cieco. Oggi molti genitori amano i propri figli con attaccamento egoistico, e così i figli vogliono fuggire. Troppo attaccamento non è vero amore, non è vera compassione. Dici che lo Zen vuole raggiungere la saggezza più alta e l’amore più profondo, ma alcuni pensano che lo zazen produca indifferenza verso gli altri, dicono che è l’opposto della carità attiva insegnata dal Cristianesimo. Come diresti che lo zazen sviluppa un atteggiamento d’amore? La dimensione ultima, nelle profondità dell’essere, la dimensione suprema della vita, è la coscienza universale e l’amore. L’una non può esistere senza l’altro. Verità e amore sono la stessa cosa. Perciò si può dire che la carità attiva insegnata dal Cristianesimo è inclusa in quella dimensione e ne è una diretta emanazione. Anche il Buddhismo Zen è una religione d’amore perché è la religione dei bodhisattva, che abbandonano tutto per aiutare gli altri, per lavorare per la salvezza altrui prima della propria (e in questa pratica arriva persino oltre il Cristianesimo). E il primo dei precetti è fuse — la carità — che significa più di un dono materiale; significa anche dare moralmente, un sacrificio. Non solo dare qualcosa a qualcuno, ma dare se stessi e dare a Dio, al Buddha. E dove si trova la fonte di questa carità attiva, se non nella conoscenza del proprio cuore, del proprio ego profondo, che è quello di ogni altra esistenza, acquisita attraverso la meditazione? Lo Zen insegna anche l’armonia, l’armonizzarsi con gli altri: cantare insieme i sutra, meditare insieme, coltivare insieme l’armonia. In giapponese, essere monaco significa armonizzare. La solitudine spirituale interiore è benefica, ma occorre sempre armonizzarsi con gli altri, volgersi verso di loro. «Tutti vanno insieme, oltre l’oltre, verso l’altra riva.» La ricerca personale della libertà interiore non è forse egoistica rispetto alla ricerca della libertà per tutti? Entrambe sono necessarie. Se non riesco a risolvere i miei problemi, non sarò in grado di aiutare gli altri a risolvere i loro. Devo liberarmi dai miei problemi prima di poter aiutare gli altri a liberarsi dai loro. Dunque entrambe sono necessarie. Gli occidentali vogliono sempre aiutare gli altri. Anche i cattolici romani vogliono aiutare le persone per la loro salvezza e per il loro bene. Il Buddhismo Mahayana è lo stesso, solo che prima dobbiamo comprendere noi stessi. Dici spesso che praticare lo zazen risolve il problema della vita e della morte. Ma come può risolvere la sofferenza degli altri? Prima di tutto devi risolvere la tua sofferenza, perché se il tuo cervello non è in una condizione normale non puoi aiutare gli altri. Li renderesti ancora più complicati di quanto già non siano. Un giorno tu stesso mi hai detto che il samu (lavoro fisico) ti ha aiutato a risolvere le tue sofferenze. «Prima soffrivo molto. Il veleno nel mio corpo e nella mia mente ora è sparito.» Se pratichi lo zazen puoi aiutare gli altri. Non c’è bisogno di pensarci consapevolmente. Pratica lo zazen. Non complicare le cose. Allora sarai in grado di alleviare le sofferenze degli altri. Ci vuole saggezza per poter aiutare. Come si può aiutare concretamente gli altri? Cosa significa “aiutare”? Non avere un obiettivo, un fine, è meglio. Se durante lo zazen pensi: «Devo aiutare Tizio e pratico zazen adesso per questo scopo», il tuo zazen non è buono. Praticare zazen con una mente mushotoku, «senza scopo», è ciò che conta di più; al di là di qualsiasi obiettivo, lo zazen più alto. Non vale la pena dirsi: «Il mio zazen deve essere profondo così da poter aiutare gli altri». Shikantaza significa semplicemente stare seduti, senza alcun oggetto. Pratica lo zazen automaticamente, naturalmente, inconsciamente, e la sua influenza diventerà infinita. Dogen scrisse che se una persona pratica zazen anche solo per un’ora, quella persona influenza tutte le persone dell’intero mondo. Non è facile aiutare gli altri. Dar loro del denaro non basta. Ciò che conta di più è sempre rimanere al di là delle categorie, altrimenti si diventa sempre più ristretti. La coscienza hishiryo è infinita. Cosa significa la frase «Date ai ricchi e prendete ai poveri»? I ricchi hanno sempre paura che qualcuno chieda loro qualcosa. È un fenomeno psicologico. Al contrario, sarà certamente una piacevole sorpresa per loro se qualcuno dona qualcosa a loro. Sei ricco o povero? Povero. Se, pur essendo povero, doni qualcosa, allora questa è vera carità. I ricchi possono sempre fare regali, ma per te è un vero fuse, un dono di grande valore, di grande prezzo. A Nara, in Giappone, c’è un grandissimo tempio chiamato Tōdai-ji. In quel tempio vi è un’enorme statua del Buddha. Il maestro Genjo, suo fondatore, ricevette dall’imperatore l’incarico di costruire un grande tempio; così il monaco andò presso un ponte sotto il quale vivevano moltissimi mendicanti. Dopo essersi inchinato a loro, chiese l’elemosina. Erano completamente sconcertati e colti di sorpresa. E poi si sentirono molto orgogliosi. Ogni giorno Genjo veniva a compiere il sampai, si prostrava davanti a loro; e ogni giorno essi gli davano un po’ di denaro. Alcuni ne davano di più. E così iniziò a costruire il tempio. Raccontò loro come sarebbe stata la statua e spiegò che, contribuendo alla costruzione, sarebbero stati ricordati dalla storia. La statua rappresenta il Buddha seduto su un fiore di loto. Così i mendicanti gli diedero molto denaro e ne parlarono tutto il giorno. Prima avevano sempre implorato e si lamentavano: «Sono malato, aiutami, ti prego». In seguito, divennero davvero saggi e le loro parole si fecero profonde. Donarono metà di tutto ciò che elemosinavano per costruire il tempio, e continuarono a donare finché non fu terminato. Qual è la differenza tra Buddha e bodhisattva? È difficile da spiegare. Ci vorrebbe un’intera lezione. Il bodhisattva è un Buddha vivente. Nel Buddhismo Mahayana non c’è paura dell’inferno. Nel Cristianesimo questa è la punizione suprema. Nello Zen, se devi andare all’inferno, ci vai. Se andassi a sederti accanto al Buddha, dovresti praticare zazen continuamente e non avresti così tanta libertà. Perciò la gente pensa che sia meglio andare all’inferno! Il monaco zen deve lanciarsi all’inferno per salvare coloro che soffrono. Il bodhisattva deve lanciarsi nelle impurità del mondo sociale. Lanciarsi, non cadere! Cadere nel fiume e tuffarsi nel fiume sono cose completamente diverse. Se cadi nel fiume, il tuo unico pensiero è salvarti la vita. Se ti tuffi nel fiume, nuoti e puoi salvare chi sta annegando. I bodhisattva si tuffano nel mondo per aiutare. Le statue del Buddha sono diverse dalle statue dei bodhisattva: il Buddha non è ornato, i bodhisattva sì. Non hanno bisogno di tagliarsi i capelli. Indossano gli stessi abiti di tutti gli altri. Vivono in società. Non cambiano la loro vita. La sola differenza è interiore. A volte è necessario immergere le mani nelle impurità. C’era una volta un monaco che passò la vita in prigione per aiutare gli altri detenuti. Poiché il suo comportamento era perfetto, veniva sempre liberato dopo poco tempo. Allora commetteva subito un altro reato per poter tornare in prigione. Alla fine non rimasero prigionieri se non lui. Poi ci fu un maestro zen che teneva i conti di una casa di geishe. Le geishe diventarono monache (forse ci furono anche alcune monache che diventarono geishe, ma la storia non lo dice). Egli teneva discorsi a tutti gli uomini che frequentavano la casa. Anche gli uomini cambiarono completamente e molti di loro divennero monaci. Anche questa è la vocazione del bodhisattva. Potrei farti molti esempi. Dogen criticò Rinzai. I maestri si criticano sempre a vicenda. Cosa pensi della critica? Per progredire abbiamo bisogno di discussione. La critica personale è negativa; anzi, è proibita. Ma le discussioni tra diverse scuole, dottrine, filosofie, sono necessarie. Talvolta una critica sincera è benefica. Mi piace ascoltare critiche autentiche; mi fanno progredire. La critica di Dogen a Rinzai era sincera. E se vuoi trovare il vero Zen, l’autocritica è necessaria. Non una critica egoistica, ma il mezzo per trovare ciò che è meglio per sé stessi, la vera religione. In generale, se le persone sbagliano in qualcosa, dovremmo lasciarle fare o cercare di mostrare loro i loro errori? Ogni persona deve capire da sé. Non puoi bere per la mucca. Puoi condurla al bordo del fiume, ma la mucca deve bere da sola. Dobbiamo capire da soli. Bene E Male Qual è il concetto buddhista di bene e male? In ultima analisi è impossibile distinguere tra bene e male. La distinzione ha senso solo dal punto di vista della moralità. Un robot potrebbe compiere il bene o il male, a seconda del suo programma. Spesso gli esseri umani agiscono allo stesso modo. Alcuni non pensano né al bene né al male… I cani non percepiscono i colori. I pesci sono felici nel mare, ma gli esseri umani no. Ogni cosa ha il suo mondo, ogni individuo è diverso. Ognuno ha il suo dio. Il tuo mondo e quello del gatto non sono uguali. Ciò che è bene per alcuni è male per altri. Alla fine, è impossibile scegliere. C’è il mondo dei giovani, il mondo degli anziani. Per alcuni fare l’amore è un bene, per altri è un male. Ma se la nostra mente non ha limiti può risolvere tutte le contraddizioni. Se ti poni a un livello sufficientemente alto e guardi in basso, nulla è così tanto, tanto bene o così tanto, tanto male; non sei più consapevole della contraddizione. Durante lo zazen puoi vedere e comprendere ogni cosa oggettivamente. Se guardi soggettivamente allora tutto diventa complicato, e sei triste o pieno di preoccupazioni. Ma se il tuo zazen è profondo, entri nella tua bara e non c’è più né bene né male. Che cosa conta, quando la morte è davanti a te? Nulla è così importante. Durante lo zazen vivi la tua bara soggettivamente, e allora tutto si calma. Dato che è così difficile distinguere tra bene e male, dovremmo evitare di intraprendere qualsiasi azione positiva nella vita quotidiana? La vita quotidiana e la mente religiosa sono due cose diverse. Nella società, il bene e il male esistono. Le leggi sono determinate dalla moralità più bassa; riguardano il karma delle azioni del corpo e della parola. Se hai cattivi pensieri, nessuno ti mette in prigione. Dal punto di vista della religione, è diverso. Nella religione il pensiero è importante. Nello Zen ciò che è essenziale è essere consapevoli e capaci di definire «come pensiamo». Nella vita di tutti i giorni, anche se abbiamo pensieri cattivi ma le nostre azioni sono buone, non vi è colpa. Al contrario, se abbiamo pensieri buoni ma azioni cattive, finiamo in prigione. Viene presa in considerazione solo l’azione. Ma in ultima analisi, è difficile decidere cosa sia bene e cosa sia male. In definitiva, tutto appare come un sogno. La nostra vita è come un sogno. La mente del Buddha vede ogni cosa. Lì non si tratta di moralità sociale, ma dell’essenza reale delle religioni. E a quel livello non è facile distinguere tra bene e male. Legge morale e religione sono differenti. Se non possiamo né scegliere né rifiutare, come possiamo vivere una vita morale? La moralità è necessaria e bisogna seguirla per quanto possibile. Ma la moralità non è tutto. A volte è necessaria, a volte no. E la religione è al di là della moralità. Nella moralità sono coinvolte solo le azioni del corpo e della parola; ma l’azione della coscienza va oltre. Come dobbiamo pensare? Dobbiamo trovare la vera libertà. Per la moralità, troppo sesso non va bene. Ma nel Sutra del Loto, ad esempio, è scritto che «l’orgasmo sessuale è il vero, puro spirito del bodhisattva». Solo un maestro può leggere questo sutra; per te sarebbe soltanto pornografia e per me sarebbe pericoloso insegnartelo. Come risolviamo il problema della moralità? Non dobbiamo pendere né a destra né a sinistra, e non dobbiamo preoccuparci di pendere a destra o a sinistra. L’equilibrio è ciò che conta, ed è questo che insegno. Cosa rappresentano i demoni nel Buddhismo? Non lo so. Nel Buddhismo, Dio, Buddha e il diavolo a volte hanno lo stesso volto. Non c’è dualità tra Dio e il diavolo, nessuna separazione. Hanno lo stesso volto. A volte Buddha diventa il diavolo e a volte accade il contrario. Nel Cristianesimo Dio è unico e si suppone che possa comandare il diavolo. Ma nel mondo moderno Dio e il diavolo sono separati e Dio non può più comandare. Ecco perché la vita è diventata così difficile. Gli esseri umani non riescono a recidere il loro karma demoniaco. Anche se non vogliono fare del male, continuano a farlo a causa del loro karma. Per altri è il contrario: anche se vogliono fare del male, non ci riescono. Puoi farne esperienza tu stesso. Questo è un grande problema e un punto importante nel Buddhismo. A un livello molto alto è difficile dire cosa sia bene e cosa sia male, perché il vero Dio include tutte le cose, bene e male. Non è possibile dire: «Sei cattivo, quindi non ti amo», oppure: «Sei buono, quindi ti amo». Questo non è il vero atteggiamento del Buddha. Il Buddhismo include l’intero cosmo e tutte le cose in esso sono necessarie. Se guardi con occhio eterno, anche le cose cattive diventano buone e quelle buone cattive. L’universo include ogni cosa. Se entri nella tua bara e guardi indietro alla tua vita, non ti sembrerà né buona né cattiva. Cosa si intende per Paradiso e Inferno? Leggi Dante o la Bibbia cristiana. È lo stesso nel Buddhismo. Ma ti giro la domanda, perché io non posso decidere. Nello Zen dobbiamo creare il paradiso qui e ora, non l’inferno. Siamo noi a creare paradiso o inferno nella nostra mente. Quando ero bambino mia madre mi diceva: «Se sei cattivo andrai all’inferno. Se sei buono andrai in paradiso». Allora avevo paura, ma crescendo mi sono detto: «Andrò all’inferno; lì la gente deve avere più libertà. Diventerò amico del diavolo», oppure: «Se vado in paradiso con Buddha, litigherò per sempre con mia madre e non avrò alcuna libertà». Quando avevo quindici o sedici anni litigavo sempre con mia madre e non avevo nessun desiderio di andare in paradiso. Più tardi posi questa domanda al mio maestro Kodo Sawaki. In quei tempi ero studente e, avendo studiato scienza e logica, non credevo più in nessuno dei due. Kodo Sawaki mi insegnò che paradiso e inferno sono nella nostra mente. Non possiamo decidere se esistano o meno. Nessuno è mai tornato. Una volta che le persone sono nella loro bara non ritornano a dircelo. Ma qui e ora è la nostra mente che crea inferno e paradiso. Il maestro Dogen scrisse in profondità su questo argomento. Dobbiamo creare il paradiso qui e ora. Se soffriamo, se dubitiamo, tutto può diventare un inferno. Dobbiamo costruire il paradiso. Se la nostra mente è in pace, l’atmosfera intorno a noi diventa paradiso. Ma alcune persone creano invece il diavolo e l’inferno! Morte Dici spesso che praticare lo zazen equivale a entrare nella propria bara. Cos’è veramente la morte nello Zen? Buona domanda. Zazen e morte non sono la stessa cosa. La morte significa non respirare più, mentre nello zazen ci si concentra sul respiro. Nessuna relazione. Hai letto il Genjokoan? Spiega molto precisamente il rapporto tra zazen e morte. Devi leggerlo. Capirai. La legna diventa cenere; la cenere non può tornare a essere legna, e la legna non può vedere le proprie ceneri. È lo stesso rapporto che c’è tra vita e morte. Eppure io dico: lo zazen è come entrare nella propria bara, vivere il nirvana, come la morte. Il nirvana è la fine di tutto — ku, non-shiki. L’attività si ferma. L’arresto completo significa morte. La cessazione totale delle tre azioni definisce la morte. Ma il Buddhismo Hinayana sbaglia quando afferma che per giungere al nirvana bisogna smettere di mangiare, smettere di respirare. In quelle condizioni le illusioni scompaiono, senza dubbio, ma si è quasi morti. Il Buddha provò quei metodi e li abbandonò. Il professor Akishige dice che «quando la coscienza cessa, il corpo è vicino allo stato di morte». Tranquillo. Ma nemmeno questa è la condizione normale della coscienza. Si diventa deboli e un po’ strani. Essere vicini alla morte non è coscienza hishiryo. Per un giorno, due giorni, qualche giorno, è possibile smettere di mangiare; durante il suo periodo di austerità, il Buddha mangiava un solo chicco di riso al giorno. Ma non ho mai detto che si debba praticare la condizione di morte. Nessuno vorrebbe seguirla. Non siate in ansia. Bisogna mangiare, ma occorre anche essere capaci di ridurre la quantità di cibo necessaria. Dogen scrisse: «Uno stomaco vuoto non è la condizione normale», perché allora sia il corpo che la coscienza si indeboliscono. Il cervello si affatica e si sviluppa una forma particolare di coscienza che può condurre ad allucinazioni. Io stesso ne ho fatto esperienza. La mente prende il pieno controllo sul corpo. Nello Zen, cercare di ottenere una condizione speciale non è la via. È vero, il nirvana è anche un equilibrio tra mente e corpo. Ma mangiare è necessario. Quando insegno dico che ci si dovrebbe sentire come se si stesse entrando nella propria bara. Le parole possono turbare. Non è necessario entrare in una vera bara. Puoi immaginarlo: «niente». Stamattina hai detto che lo spirito del Maestro Yamada, appena morto, era in questo dojo. Cosa pensi della vita dopo la morte? È un problema che preoccupa molte persone. Per affrontarlo a fondo dovrei tenere una conferenza di due ore. Cosa accade dopo la morte? È un problema religioso, e non è necessario pensarci troppo. Le persone che non vogliono morire se ne preoccupano sempre. Nel Buddhismo non troverai alcun commento sull’aldilà. «Qui e ora» è ciò che conta. Le questioni metafisiche non possono essere risolte né in un senso né nell’altro. Le loro premesse non possono essere né confermate né confutate; nulla può essere stabilito al riguardo. Cosa diventa la mente dopo la morte? Nessuno è tornato a dircelo. Quindi non dobbiamo restare troppo attaccati alla morte. Questo è il senso del famoso detto di Dogen: «La legna non può vedere le sue ceneri». La legna rappresenta la vita e le ceneri la morte. «Le ceneri non possono vedere la legna». Si può anche paragonare la vita alle immagini che si formano sullo schermo televisivo, e la morte all’interruzione delle immagini quando si spegne l’apparecchio. Se guardiamo, la nostra visione è soggettiva. Se giriamo il pulsante, l’immagine scompare. Ma pensi che l’anima continui a vivere dopo la morte? Cosa ne pensi tu? È un problema molto complesso, che sta creando difficoltà alla scienza moderna. Non posso negarlo, ma non posso nemmeno crederci. La scienza non riesce a trovare un’anima nel cervello, nel cuore o in qualsiasi altra parte del corpo. Eppure l’azione della nostra coscienza continua. Il nostro karma, le nostre azioni, l’azione del nostro karma continuano. Se colpisci qualcuno, l’azione continua. Quando pensiamo, il karma di quel pensiero continua. Quando spegni il televisore, l’immagine scompare dallo schermo ma continua a viaggiare nelle onde. È la stessa cosa. Il mondo dell’ora e il mondo spirituale si invertono, diventano opposti, ma continuano. È un problema che è al tempo stesso facile e difficile. Ma se lo spiego, probabilmente verrebbe frainteso. Non credo che l’anima salga in paradiso o scenda all’inferno. Non può uscire dalla bara per andare da nessuna parte. Ma l’influenza della coscienza continua. C’è la storia del maestro e del discepolo che andavano a un funerale. Il discepolo indicò la bara e disse: «È vivo o no?» E il maestro rispose: «Non posso rispondere, non dico nulla!» Il maestro era saggio, né negativo né positivo. Pensare «Andrò in paradiso e sarò di nuovo con la mia famiglia» è immaginazione. Ma rispondere «Sei uno sciocco a crederlo» non serve a nulla. È meglio non dire nulla. Ho le mie idee, ma se creo delle categorie in merito a questa questione, ciò che dirò sarà una generalizzazione, mentre in realtà dovrei dare una risposta diversa a ciascuno. Il problema è molto profondo, tocca l’essenza delle religioni. Non si devono fare categorie; il problema è diverso per ogni persona. Il principio della reincarnazione fornisce una risposta a molte delle nostre domande. Ma il Buddhismo e l’Induismo non concordano su questo argomento. È vero che il Buddhismo fu in una certa misura influenzato dall’antica tradizione indiana. Ma lo stesso Buddha non ne era molto interessato. Si cambia incarnazione: questa è la risposta del Buddhismo. Nello Zen non c’è reincarnazione, ad esempio un gatto che si trasforma in un essere umano o viceversa. Questa è una teoria della tradizione indiana, e non molto importante, anche se influenzò il Buddhismo Mahayana. L’anima rimane dopo la morte? È un problema che riguarda la coscienza. Secondo la fisiologia moderna, il cervello e le sue cellule continuano a vivere per due o tre giorni — forse, in alcune persone morte, la coscienza non è completamente spenta. L’ultimo stato di coscienza è molto importante. Si continua a partire da quello stato di coscienza. Quale dovrebbe essere il tuo ultimo pensiero? Se sei abituato a praticare lo zazen, il tuo ultimo respiro sarà quello di una coscienza normale — senza coscienza. In passato, quando la fisiologia non era così sviluppata, l’immaginazione giocava un ruolo importante nell’opera di filosofi e figure religiose: la reincarnazione, la resurrezione di Cristo. Nel Cristianesimo esiste l’escatologia, la credenza nell’ultimo giorno del mondo che non è ancora venuto. Ma alla morte di ogni individuo il mondo si ferma, e si può comunicare con l’eternità. Se non esiste la reincarnazione, perché l’ultimo momento di coscienza è così importante? L’atteggiamento mushotoku è importante. «Devo andare in paradiso, devo rinascere in un’altra vita»; non c’è bisogno di pensare in questo modo. Se pensi a qualcosa, se hai un desiderio, allora sei ancora aggrappato alla tua esistenza passata. È meglio essere mushotoku inconsciamente. Vera calma, vera pace. Le persone tendono ad attribuire troppa importanza all’idea del paradiso: «Se muoio devo andare in paradiso». È inutile costruire simili immagini nel subconscio. La non-coscienza è l’atteggiamento più alto. Se hai un pensiero, non verrà cancellato durante quel giorno o due di transizione; ma se sei in armonia con il sistema cosmico, la tua attività, la tua coscienza torneranno rapidamente al cosmo. Durante lo zazen puoi armonizzarti con il sistema cosmico. La psicologia lo definisce come non-coscienza. Il Buddhismo la chiama coscienza alaya; e ripeto sempre che bisogna ritornare alla coscienza normale. Attraverso lo zazen si può arrivarci inconsciamente; è la coscienza trascendente, da cui possono scaturire il giusto comportamento, le giuste azioni. Tutte le nostre cellule, tutti i nostri neuroni sono attivati. Ogni cosa che percepisci viene recepita dai neuroni. L’energia nervosa è trasmessa direttamente a loro. I desideri nascono dalle percezioni: il desiderio di continuare, il desiderio di possedere. Questa attività, l’attività del vivere, è incessante. Le idee sorgono costantemente, la coscienza si complica. Perciò bisogna tornare sempre alla condizione normale. Anche quando dormiamo, la coscienza continua a lavorare, per parte del tempo; quando dormiamo profondamente, quella è non-coscienza. Due ore di sonno profondo, poi i sogni ricominciano. È tutto molto complicato. Nello zazen, il corpo ha il giusto tono. Quando dormiamo siamo completamente rilassati, senza alcun tono. Ma durante lo zazen puoi vedere i sogni emergere dal subconscio e ritornare allo stato di non-coscienza, la cui esistenza è stata confermata dalla fisiologia e dalla psicologia moderne. Ma non devi dire: «Ora non ho coscienza!», perché quello è cosciente, e lo stato di cui parlo non è uno stato cosciente. Quando dico: «Ancora cinque minuti! Concentrati bene!», quegli ultimi cinque minuti sono molto importanti. All’inizio sorgono molti pensieri, ma dopo un po’ si può raggiungere questo stato. Alcuni vi arrivano negli ultimi cinque minuti, concentrandosi sulla postura e sull’espirazione. Non devi accasciarti o abbassare la testa; devi mantenere ben distesa la nuca. Quando le persone pensano, i pollici si abbassano. Devi raddrizzarti ed essere molto vigile. Quindi non credi nella reincarnazione? Credere? Non è così importante. Non è necessario credere. Stabilire se la reincarnazione esista o meno è una questione soggettiva. Le mie idee sull’argomento non sono del tutto negative, ma non dico: «Devo crederci». Per quanto riguarda la reincarnazione, nessuno è mai tornato dalla morte per raccontarcelo. Ma essa stimola l’immaginazione, e le religioni primitive avevano moltissime idee in proposito. In questo ambito, non si può decidere se una via o l’altra sia quella giusta. Si può credere o non credere. Ho avuto molte esperienze metafisiche e credo nel mondo metafisico; ma non lo si può ridurre a qualcosa di banale. Il cosmo è infinito. Le persone scrivono del mondo metafisico, ma possono solo sfiorarne aspetti minimi, mentre esso è infinito. Perciò non possiamo parlarne. La mia esperienza e quella degli altri non sono le stesse, e non possiamo decidere se sia in un modo o nell’altro. Creare categorie riduce le cose a dimensioni insignificanti. Se qualcuno riesce a ricordare le sue vite precedenti, non implica forse che qualcosa sia permanente? Le persone pensano al proprio ego. Vogliono capire e non riescono a capire completamente. Pensano in modo egoistico. Se non sei egoista, allora l’argomento non è così cruciale; lo zazen è molto più importante. Il qui e ora può essere molto più efficace. Il maestro Dogen scrisse in profondità su questa questione del prima della nascita e del dopo la morte. Prima della nascita: una goccia di sperma del padre, un ovulo della madre… una goccia di sangue… Anche questo è ku. Non vale la pena pensarci, analizzarlo. Solo il qui e ora è importante. Quando devi morire, devi morire, e in quel momento questa vita termina. Più le persone sono egoiste, più sono attaccate alla vita e più pensano alla morte. Dove andò Bodhidharma quando morì? Non è qui e non ha importanza. Non pensare a dove andrai dopo la morte. Pensa soltanto al qui e ora. Quando morirai entrerai in una bara, a meno che tu non muoia in mare; lì non si usano bare. Il qui e ora è importante. Se ti concentri su ogni punto del presente, i punti diventeranno una linea e, inconsciamente, naturalmente, automaticamente, andrai verso la tua bara e dormirai sotto terra. È come lo zazen. Ora devo morire e mi concentro sullo zazen. Il rapporto è lo stesso che tra legna e cenere. La legna non conosce, non può vedere le proprie ceneri. Può guardare le ceneri di un altro ceppo, ma non le proprie. I tuoi occhi non possono vedere se stessi, se non in uno specchio. È lo stesso tra vita e morte: la legna bruciata che diventa cenere. La cenere non può pensare che prima era legna, e viceversa. Non puoi guardare la tua morte. È un problema soggettivo molto difficile. Io posso guardare la tua morte, ma tu no. Una volta morto, la tua morte non può guardare la tua vita. È un problema soggettivo che tu ora consideri come se fosse un problema oggettivo. L’oggetto non è importante, conta solo il soggetto. È anche un problema di tempo. «Qui e ora» comprende l’eternità. Non creare categorie. La questione è più difficile di un fatto che la scienza possa risolvere e sul quale tutti possano accordarsi. L’aspetto soggettivo è più profondo. È te stesso che stai studiando. Nessuno comprende tranne te. Riguardo ai problemi profondi ognuno ha un’opinione diversa. Perciò è difficile aiutarti. Il problema soggettivo di ciascuno è diverso e la scienza non può risolverlo. Se voglio aiutarti devo diventare te! Attraverso lo zazen puoi recidere il karma del corpo, della parola e della mente. Anche attraverso la morte. La morte è la stessa cosa del satori? Sì, esattamente. La parola nirvana significa morte. Il nirvana è il satori perfetto. A volte si riferisce alla morte del Buddha, all’estinzione perfetta. Una volta morti, il nostro karma smette di prodursi: non più karma del corpo, della bocca, del pensiero. Ma ci sono due dottrine: una dice che tutto è finito, l’altra che il karma continua. A te sembra contraddittorio. Nello zazen possiamo far diminuire il karma, non arrestarlo. La bocca è chiusa, il karma del corpo si ferma, ma quello del cervello non può cessare del tutto, è troppo difficile — altrimenti, dopo un minuto o due, ci si addormenta. Questo perché il karma si manifesta anzitutto nel subconscio e appare come sogno. È davvero estremamente difficile fermare il karma della coscienza. In effetti, è eterno e continua dopo la morte. Corpo e mente sono un’unità totale, perciò se il corpo giunge alla fine e muore, anche la coscienza cessa di vivere. Cos’è la vita? Alla morte, ciò che si arresta è l’attività fisica del corpo. Ma la mente non è separata da esso. Nello Zen non vi sono commentari sul problema della sostanza o su questioni metafisiche. Eppure so che esse suscitano molte difficoltà. Per esempio: se il corpo muore, muore anche la mente? Molte religioni affermano che l’anima voli via. Alcuni scienziati pensano lo stesso: dicono che la mente aleggi per un anno o due. Alcuni immaginano che la mente entri nel corpo di un neonato. Altri dicono che l’anima vada all’inferno o in paradiso. Shakyamuni Buddha non disse mai nulla del genere. Ma l’influenza del karma continua. Gli elementi che compongono il corpo rimangono dopo la morte, dopo la cremazione. L’acqua e il sangue passano nell’aria e nella terra. Gli elementi rimangono. Solo il loro aspetto fisico cambia. C’è soltanto una trasformazione fisica, e poiché materia e spirito sono unità, c’è qualcosa che rimane ed è eternamente reincarnato. È possibile pensarlo così. Neppure il corpo è del tutto finito dopo la morte, così la nostra vita è come una bolla sulla superficie dell’acqua, sulla superficie dell’ordine cosmico. Appare e galleggia all’orizzonte, settant’anni, ottant’anni, talvolta cento anni, poi scoppia e scompare — ma in realtà continua. Ci sono bolle grandi e bolle piccole. Ma non bisogna pensarci continuamente, perché affatica il cervello. Meglio concentrarsi sullo zazen. Certo, è interessante rifletterci, e il karma è importante. «Come posso evitare una cattiva reincarnazione?» Tutte le grandi religioni si interrogano su questa questione. Non è corretto negare, ma affermare solleva un arduo problema metafisico. È meglio rimanere nella coscienza hishiryo. Quindi la cosa più importante è continuare a concentrarsi qui e ora? Questa è la fede, il re del samadhi, della concentrazione. Il karma passato giunge al termine. Appare e riappare, bisogna lasciarlo passare. Anche durante lo zazen il karma sorge come nei sogni, sogni buoni e cattivi. Bisogna lasciarli passare. Il karma della coscienza è il più sottile. Quelli del corpo, dell’attività, della parola sono più facili da affrontare perché sono governati anche da leggi e dalla presenza di altre persone, dunque è più facile correggerli. La vita religiosa è riflessione. Se pratichi lo zazen puoi ridurre il tuo karma inconsciamente, automaticamente, naturalmente, e riflettere. Non possiamo recidere tutto. Ma se, per esempio, invece di venire a questa sesshin fossi andato al Club Méditerranée, forse avresti creato più cattivo karma, mentre nello zazen, al contrario, puoi ridurlo in modo molto preciso. La vera fede, la vita religiosa, è riflessione, osservazione, concentrazione. Dobbiamo essere mushotoku. Continuo a ripeterlo. Se rispetti il kai, i precetti, e se sei mushotoku, il tuo karma diminuirà automaticamente. Se lo osserviamo possiamo farlo diminuire. Il karma della parola: non mentire. Quello del corpo pure. Attraverso lo zazen, la nostra vita quotidiana può proseguire la nostra riflessione e questa si sviluppa. Possiamo avere una vita migliore e forse gli errori che commettiamo non saranno così gravi come quelli che abbiamo commesso prima. Alcune persone continuano a commetterli, ma questo è il risultato del loro karma, non dello zazen. Alcune persone hanno un karma così pesante che non riescono a seguire il mio insegnamento. Ma chi continua a praticare lo zazen può trovare la propria verità profonda. Stamattina hai detto che si può avere l’esperienza della morte nello zazen. Di cosa si tratta? Dimenticare tutto. Abbandoni il tuo ego come abbandoni il tuo corpo quando entri nella bara. Se muori, non c’è più niente. E perché lo chiami risveglio? Bisogna accogliere le contraddizioni. Gli occidentali vogliono sempre creare categorie! Oggi ti ho insegnato: a volte conquistare, a volte abbandonare. Entrambe le cose sono molto importanti. Svegliarsi non significa soltanto aprire gli occhi: anche morire è svegliarsi. Non bisogna pendere né a destra né a sinistra. Come puoi vivere qui e ora se pensi sempre alla morte? Vita e morte sono identiche. Se accetti la morte qui e ora, la tua vita sarà più profonda. Non devi essere attaccato alla vita. Né alla morte. Quando arriva il momento di morire, muori e ritorni al cosmo. Quando la nostra attività giunge al termine, quando la nostra vita è compiuta, allora dobbiamo morire. Bisogna comprendere la morte. Chi capisce? Solo il vero ego capisce. Perché parli di eternità dopo la morte e non prima della nascita? Perché gli esseri umani sono così. La maggior parte non capisce. Se risolvi questo problema qui e ora, la tua vita sarà serena e sarai molto felice. Perché nasciamo? Perché tuo padre e tua madre ti hanno dato alla luce. Hai sollevato un grande problema, un vero koan. Pensaci. «Perché sono nato? Per nutrirmi? Per amare? Per acquisire conoscenza?» Questa domanda è l’oggetto della nostra vita. E cosa pensano gli altri? Ognuno ha un’opinione diversa. Alcuni dicono: per perfezionare la nostra vita o l’umanità; altri: per permettere alla coscienza di incarnarsi o perché la vita cosmica possa essere vissuta individualmente. Ognuna di queste risposte è corretta. Questa è la domanda su cui si fondano tutte le religioni. Il Buddha, scoprendo lo zazen, risolse il problema della nascita e della morte.