Esseri Umani

Aiutare Gli Altri

Cos’è la compassione?

Esistono molti gradi e forme d’amore. L’amore universale è il più profondo. Se proviamo davvero compassione per qualcuno, non siamo solo consapevoli della sua sofferenza fisica o emotiva, del suo disagio. Dobbiamo diventare come lui, avere il suo stesso stato d’animo. Allora come dovremmo agire, per aiutare, confortare, guarire? Dobbiamo sempre vedere le cose non dal nostro punto di vista soggettivo, ma diventando l’altro, senza dualità. Non dobbiamo solo amare, ma diventare identici all’altra mente. Nell’amore siamo sempre due. La compassione, o jihi11, è unità.

Quando ti incontro divento te. «Come stai? Non c’è male?»

Ieri qualcuno mi ha fatto un regalo. Devo dargli il doppio in cambio. Spesso, nell’amore, questo è impossibile, e così alla fine si fugge. La vera compassione è autentica empatia. Dobbiamo dimenticare noi stessi e diventare l’altro. Ma la compassione deve sempre andare di pari passo con la saggezza. E la saggezza con la compassione. Su questo argomento molto è stato scritto in Cina e in Giappone. Il mondo intero lo proclama, in realtà, ma nel Buddhismo è divenuto una forza potente.

Nell’amore c’è sempre dualità, opposizione tra i partner. Ma nella compassione i due esseri sono solo uno. L’amore è relativo. La compassione è comunione totale tra due esseri. Ma senza saggezza l’amore è cieco. Oggi molti genitori amano i propri figli con attaccamento egoistico, e così i figli vogliono fuggire. Troppo attaccamento non è vero amore, non è vera compassione.

Dici che lo Zen vuole raggiungere la saggezza più alta e l’amore più profondo, ma alcuni pensano che lo zazen produca indifferenza verso gli altri, dicono che è l’opposto della carità attiva insegnata dal Cristianesimo. Come diresti che lo zazen sviluppa un atteggiamento d’amore?

La dimensione ultima, nelle profondità dell’essere, la dimensione suprema della vita, è la coscienza universale e l’amore. L’una non può esistere senza l’altro. Verità e amore sono la stessa cosa. Perciò si può dire che la carità attiva insegnata dal Cristianesimo è inclusa in quella dimensione e ne è una diretta emanazione.

Anche il Buddhismo Zen è una religione d’amore perché è la religione dei bodhisattva, che abbandonano tutto per aiutare gli altri, per lavorare per la salvezza altrui prima della propria (e in questa pratica arriva persino oltre il Cristianesimo). E il primo dei precetti è fuse12 — la carità — che significa più di un dono materiale; significa anche dare moralmente, un sacrificio. Non solo dare qualcosa a qualcuno, ma dare se stessi e dare a Dio, al Buddha.

E dove si trova la fonte di questa carità attiva, se non nella conoscenza del proprio cuore, del proprio ego profondo, che è quello di ogni altra esistenza, acquisita attraverso la meditazione?

Lo Zen insegna anche l’armonia, l’armonizzarsi con gli altri: cantare insieme i sutra, meditare insieme, coltivare insieme l’armonia.

In giapponese, essere monaco significa armonizzare.

La solitudine spirituale interiore è benefica, ma occorre sempre armonizzarsi con gli altri, volgersi verso di loro.

«Tutti vanno insieme, oltre l’oltre, verso l’altra riva.»

La ricerca personale della libertà interiore non è forse egoistica rispetto alla ricerca della libertà per tutti?

Entrambe sono necessarie. Se non riesco a risolvere i miei problemi, non sarò in grado di aiutare gli altri a risolvere i loro. Devo liberarmi dai miei problemi prima di poter aiutare gli altri a liberarsi dai loro. Dunque entrambe sono necessarie.

Gli occidentali vogliono sempre aiutare gli altri. Anche i cattolici romani vogliono aiutare le persone per la loro salvezza e per il loro bene. Il Buddhismo Mahayana è lo stesso, solo che prima dobbiamo comprendere noi stessi.

Dici spesso che praticare lo zazen risolve il problema della vita e della morte. Ma come può risolvere la sofferenza degli altri?

Prima di tutto devi risolvere la tua sofferenza, perché se il tuo cervello non è in una condizione normale non puoi aiutare gli altri. Li renderesti ancora più complicati di quanto già non siano. Un giorno tu stesso mi hai detto che il samu13 (lavoro fisico) ti ha aiutato a risolvere le tue sofferenze. «Prima soffrivo molto. Il veleno nel mio corpo e nella mia mente ora è sparito.» Se pratichi lo zazen puoi aiutare gli altri. Non c’è bisogno di pensarci consapevolmente. Pratica lo zazen. Non complicare le cose. Allora sarai in grado di alleviare le sofferenze degli altri. Ci vuole saggezza per poter aiutare.

Come si può aiutare concretamente gli altri?

Cosa significa “aiutare”?

Non avere un obiettivo, un fine, è meglio. Se durante lo zazen pensi: «Devo aiutare Tizio e pratico zazen adesso per questo scopo», il tuo zazen non è buono. Praticare zazen con una mente mushotoku, «senza scopo», è ciò che conta di più; al di là di qualsiasi obiettivo, lo zazen più alto. Non vale la pena dirsi: «Il mio zazen deve essere profondo così da poter aiutare gli altri». Shikantaza significa semplicemente stare seduti, senza alcun oggetto. Pratica lo zazen automaticamente, naturalmente, inconsciamente, e la sua influenza diventerà infinita. Dogen scrisse che se una persona pratica zazen anche solo per un’ora, quella persona influenza tutte le persone dell’intero mondo. Non è facile aiutare gli altri. Dar loro del denaro non basta.

Ciò che conta di più è sempre rimanere al di là delle categorie, altrimenti si diventa sempre più ristretti.

La coscienza hishiryo è infinita.

Cosa significa la frase «Date ai ricchi e prendete ai poveri»?

I ricchi hanno sempre paura che qualcuno chieda loro qualcosa. È un fenomeno psicologico. Al contrario, sarà certamente una piacevole sorpresa per loro se qualcuno dona qualcosa a loro. Sei ricco o povero?

Povero.

Se, pur essendo povero, doni qualcosa, allora questa è vera carità. I ricchi possono sempre fare regali, ma per te è un vero fuse, un dono di grande valore, di grande prezzo.

A Nara, in Giappone, c’è un grandissimo tempio chiamato Tōdai-ji. In quel tempio vi è un’enorme statua del Buddha. Il maestro Genjo, suo fondatore, ricevette dall’imperatore l’incarico di costruire un grande tempio; così il monaco andò presso un ponte sotto il quale vivevano moltissimi mendicanti. Dopo essersi inchinato a loro, chiese l’elemosina. Erano completamente sconcertati e colti di sorpresa. E poi si sentirono molto orgogliosi.

Ogni giorno Genjo veniva a compiere il sampai14, si prostrava davanti a loro; e ogni giorno essi gli davano un po’ di denaro. Alcuni ne davano di più. E così iniziò a costruire il tempio. Raccontò loro come sarebbe stata la statua e spiegò che, contribuendo alla costruzione, sarebbero stati ricordati dalla storia.

La statua rappresenta il Buddha seduto su un fiore di loto.

Così i mendicanti gli diedero molto denaro e ne parlarono tutto il giorno. Prima avevano sempre implorato e si lamentavano: «Sono malato, aiutami, ti prego». In seguito, divennero davvero saggi e le loro parole si fecero profonde. Donarono metà di tutto ciò che elemosinavano per costruire il tempio, e continuarono a donare finché non fu terminato.

Qual è la differenza tra Buddha e bodhisattva?

È difficile da spiegare. Ci vorrebbe un’intera lezione. Il bodhisattva è un Buddha vivente.

Nel Buddhismo Mahayana non c’è paura dell’inferno. Nel Cristianesimo questa è la punizione suprema. Nello Zen, se devi andare all’inferno, ci vai. Se andassi a sederti accanto al Buddha, dovresti praticare zazen continuamente e non avresti così tanta libertà. Perciò la gente pensa che sia meglio andare all’inferno! Il monaco zen deve lanciarsi all’inferno per salvare coloro che soffrono. Il bodhisattva deve lanciarsi nelle impurità del mondo sociale. Lanciarsi, non cadere! Cadere nel fiume e tuffarsi nel fiume sono cose completamente diverse. Se cadi nel fiume, il tuo unico pensiero è salvarti la vita. Se ti tuffi nel fiume, nuoti e puoi salvare chi sta annegando. I bodhisattva si tuffano nel mondo per aiutare.

Le statue del Buddha sono diverse dalle statue dei bodhisattva: il Buddha non è ornato, i bodhisattva sì. Non hanno bisogno di tagliarsi i capelli. Indossano gli stessi abiti di tutti gli altri. Vivono in società. Non cambiano la loro vita. La sola differenza è interiore.

A volte è necessario immergere le mani nelle impurità. C’era una volta un monaco che passò la vita in prigione per aiutare gli altri detenuti. Poiché il suo comportamento era perfetto, veniva sempre liberato dopo poco tempo. Allora commetteva subito un altro reato per poter tornare in prigione. Alla fine non rimasero prigionieri se non lui.

Poi ci fu un maestro zen che teneva i conti di una casa di geishe. Le geishe diventarono monache (forse ci furono anche alcune monache che diventarono geishe, ma la storia non lo dice). Egli teneva discorsi a tutti gli uomini che frequentavano la casa. Anche gli uomini cambiarono completamente e molti di loro divennero monaci. Anche questa è la vocazione del bodhisattva. Potrei farti molti esempi.

Dogen criticò Rinzai15. I maestri si criticano sempre a vicenda. Cosa pensi della critica?

Per progredire abbiamo bisogno di discussione. La critica personale è negativa; anzi, è proibita. Ma le discussioni tra diverse scuole, dottrine, filosofie, sono necessarie. Talvolta una critica sincera è benefica. Mi piace ascoltare critiche autentiche; mi fanno progredire. La critica di Dogen a Rinzai era sincera. E se vuoi trovare il vero Zen, l’autocritica è necessaria. Non una critica egoistica, ma il mezzo per trovare ciò che è meglio per sé stessi, la vera religione.

In generale, se le persone sbagliano in qualcosa, dovremmo lasciarle fare o cercare di mostrare loro i loro errori?

Ogni persona deve capire da sé. Non puoi bere per la mucca. Puoi condurla al bordo del fiume, ma la mucca deve bere da sola. Dobbiamo capire da soli.

Note


11 Jihi: 慈悲 (Jihi). Compassione; 慈 (ji) = dare felicità; 悲 (hi) = liberare gli esseri senzienti dalla sofferenza.


12 Fuse: 布施 (Fuse). Una delle sei paramita; il dono senza oggetto, non limitato al dono materiale.


13 Samu: 作務 (Samu). Lavoro fisico, svolto con grande concentrazione.


14 Sampai: 参拝 (Sanpai). Prostrazione: la fronte tocca il suolo e i palmi delle mani sono rivolti verso l’alto ai lati della testa (simbolicamente per ricevere i piedi del Buddha); segno di profondo rispetto e venerazione.


15 Rinzai: 臨済 (Rinzai). Dopo Eno in Cina (700 d.C.) si formarono cinque scuole, con metodi educativi diversi. Due sono sopravvissute: Rinzai e Soto. La prima fa un uso più intensivo dei koan; lo zazen, praticato rivolti verso il centro del dojo, è divenuto soprattutto un mezzo per ottenere il satori.


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