Morte
Dici spesso che praticare lo zazen equivale a entrare nella propria bara. Cos’è veramente la morte nello Zen?
Buona domanda. Zazen e morte non sono la stessa cosa. La morte significa non respirare più, mentre nello zazen ci si concentra sul respiro. Nessuna relazione. Hai letto il Genjokoan18? Spiega molto precisamente il rapporto tra zazen e morte. Devi leggerlo. Capirai.
La legna diventa cenere; la cenere non può tornare a essere legna, e la legna non può vedere le proprie ceneri. È lo stesso rapporto che c’è tra vita e morte.
Eppure io dico: lo zazen è come entrare nella propria bara, vivere il nirvana, come la morte. Il nirvana è la fine di tutto — ku, non-shiki19. L’attività si ferma. L’arresto completo significa morte. La cessazione totale delle tre azioni definisce la morte.
Ma il Buddhismo Hinayana6 sbaglia quando afferma che per giungere al nirvana bisogna smettere di mangiare, smettere di respirare. In quelle condizioni le illusioni scompaiono, senza dubbio, ma si è quasi morti. Il Buddha provò quei metodi e li abbandonò.
Il professor Akishige dice che «quando la coscienza cessa, il corpo è vicino allo stato di morte». Tranquillo. Ma nemmeno questa è la condizione normale della coscienza. Si diventa deboli e un po’ strani. Essere vicini alla morte non è coscienza hishiryo. Per un giorno, due giorni, qualche giorno, è possibile smettere di mangiare; durante il suo periodo di austerità, il Buddha mangiava un solo chicco di riso al giorno. Ma non ho mai detto che si debba praticare la condizione di morte. Nessuno vorrebbe seguirla.
Non siate in ansia. Bisogna mangiare, ma occorre anche essere capaci di ridurre la quantità di cibo necessaria. Dogen scrisse: «Uno stomaco vuoto non è la condizione normale», perché allora sia il corpo che la coscienza si indeboliscono. Il cervello si affatica e si sviluppa una forma particolare di coscienza che può condurre ad allucinazioni. Io stesso ne ho fatto esperienza. La mente prende il pieno controllo sul corpo.
Nello Zen, cercare di ottenere una condizione speciale non è la via. È vero, il nirvana è anche un equilibrio tra mente e corpo. Ma mangiare è necessario.
Quando insegno dico che ci si dovrebbe sentire come se si stesse entrando nella propria bara. Le parole possono turbare. Non è necessario entrare in una vera bara. Puoi immaginarlo: «niente».
Stamattina hai detto che lo spirito del Maestro Yamada, appena morto, era in questo dojo. Cosa pensi della vita dopo la morte?
È un problema che preoccupa molte persone. Per affrontarlo a fondo dovrei tenere una conferenza di due ore.
Cosa accade dopo la morte? È un problema religioso, e non è necessario pensarci troppo. Le persone che non vogliono morire se ne preoccupano sempre. Nel Buddhismo non troverai alcun commento sull’aldilà. «Qui e ora» è ciò che conta. Le questioni metafisiche non possono essere risolte né in un senso né nell’altro. Le loro premesse non possono essere né confermate né confutate; nulla può essere stabilito al riguardo.
Cosa diventa la mente dopo la morte? Nessuno è tornato a dircelo. Quindi non dobbiamo restare troppo attaccati alla morte. Questo è il senso del famoso detto di Dogen: «La legna non può vedere le sue ceneri». La legna rappresenta la vita e le ceneri la morte. «Le ceneri non possono vedere la legna».
Si può anche paragonare la vita alle immagini che si formano sullo schermo televisivo, e la morte all’interruzione delle immagini quando si spegne l’apparecchio.
Se guardiamo, la nostra visione è soggettiva. Se giriamo il pulsante, l’immagine scompare.
Ma pensi che l’anima continui a vivere dopo la morte?
Cosa ne pensi tu?
È un problema molto complesso, che sta creando difficoltà alla scienza moderna. Non posso negarlo, ma non posso nemmeno crederci. La scienza non riesce a trovare un’anima nel cervello, nel cuore o in qualsiasi altra parte del corpo.
Eppure l’azione della nostra coscienza continua. Il nostro karma, le nostre azioni, l’azione del nostro karma continuano. Se colpisci qualcuno, l’azione continua. Quando pensiamo, il karma di quel pensiero continua. Quando spegni il televisore, l’immagine scompare dallo schermo ma continua a viaggiare nelle onde. È la stessa cosa. Il mondo dell’ora e il mondo spirituale si invertono, diventano opposti, ma continuano. È un problema che è al tempo stesso facile e difficile. Ma se lo spiego, probabilmente verrebbe frainteso.
Non credo che l’anima salga in paradiso o scenda all’inferno. Non può uscire dalla bara per andare da nessuna parte. Ma l’influenza della coscienza continua.
C’è la storia del maestro e del discepolo che andavano a un funerale. Il discepolo indicò la bara e disse: «È vivo o no?» E il maestro rispose: «Non posso rispondere, non dico nulla!» Il maestro era saggio, né negativo né positivo.
Pensare «Andrò in paradiso e sarò di nuovo con la mia famiglia» è immaginazione. Ma rispondere «Sei uno sciocco a crederlo» non serve a nulla. È meglio non dire nulla.
Ho le mie idee, ma se creo delle categorie in merito a questa questione, ciò che dirò sarà una generalizzazione, mentre in realtà dovrei dare una risposta diversa a ciascuno. Il problema è molto profondo, tocca l’essenza delle religioni. Non si devono fare categorie; il problema è diverso per ogni persona.
Il principio della reincarnazione fornisce una risposta a molte delle nostre domande. Ma il Buddhismo e l’Induismo non concordano su questo argomento.
È vero che il Buddhismo fu in una certa misura influenzato dall’antica tradizione indiana. Ma lo stesso Buddha non ne era molto interessato. Si cambia incarnazione: questa è la risposta del Buddhismo.
Nello Zen non c’è reincarnazione, ad esempio un gatto che si trasforma in un essere umano o viceversa. Questa è una teoria della tradizione indiana, e non molto importante, anche se influenzò il Buddhismo Mahayana. L’anima rimane dopo la morte? È un problema che riguarda la coscienza.
Secondo la fisiologia moderna, il cervello e le sue cellule continuano a vivere per due o tre giorni — forse, in alcune persone morte, la coscienza non è completamente spenta. L’ultimo stato di coscienza è molto importante. Si continua a partire da quello stato di coscienza.
Quale dovrebbe essere il tuo ultimo pensiero? Se sei abituato a praticare lo zazen, il tuo ultimo respiro sarà quello di una coscienza normale — senza coscienza.
In passato, quando la fisiologia non era così sviluppata, l’immaginazione giocava un ruolo importante nell’opera di filosofi e figure religiose: la reincarnazione, la resurrezione di Cristo. Nel Cristianesimo esiste l’escatologia, la credenza nell’ultimo giorno del mondo che non è ancora venuto. Ma alla morte di ogni individuo il mondo si ferma, e si può comunicare con l’eternità.
Se non esiste la reincarnazione, perché l’ultimo momento di coscienza è così importante?
L’atteggiamento mushotoku è importante. «Devo andare in paradiso, devo rinascere in un’altra vita»; non c’è bisogno di pensare in questo modo. Se pensi a qualcosa, se hai un desiderio, allora sei ancora aggrappato alla tua esistenza passata. È meglio essere mushotoku inconsciamente. Vera calma, vera pace.
Le persone tendono ad attribuire troppa importanza all’idea del paradiso: «Se muoio devo andare in paradiso». È inutile costruire simili immagini nel subconscio. La non-coscienza è l’atteggiamento più alto. Se hai un pensiero, non verrà cancellato durante quel giorno o due di transizione; ma se sei in armonia con il sistema cosmico, la tua attività, la tua coscienza torneranno rapidamente al cosmo.
Durante lo zazen puoi armonizzarti con il sistema cosmico. La psicologia lo definisce come non-coscienza. Il Buddhismo la chiama coscienza alaya; e ripeto sempre che bisogna ritornare alla coscienza normale. Attraverso lo zazen si può arrivarci inconsciamente; è la coscienza trascendente, da cui possono scaturire il giusto comportamento, le giuste azioni. Tutte le nostre cellule, tutti i nostri neuroni sono attivati.
Ogni cosa che percepisci viene recepita dai neuroni. L’energia nervosa è trasmessa direttamente a loro. I desideri nascono dalle percezioni: il desiderio di continuare, il desiderio di possedere. Questa attività, l’attività del vivere, è incessante. Le idee sorgono costantemente, la coscienza si complica.
Perciò bisogna tornare sempre alla condizione normale. Anche quando dormiamo, la coscienza continua a lavorare, per parte del tempo; quando dormiamo profondamente, quella è non-coscienza. Due ore di sonno profondo, poi i sogni ricominciano. È tutto molto complicato.
Nello zazen, il corpo ha il giusto tono. Quando dormiamo siamo completamente rilassati, senza alcun tono. Ma durante lo zazen puoi vedere i sogni emergere dal subconscio e ritornare allo stato di non-coscienza, la cui esistenza è stata confermata dalla fisiologia e dalla psicologia moderne. Ma non devi dire: «Ora non ho coscienza!», perché quello è cosciente, e lo stato di cui parlo non è uno stato cosciente.
Quando dico: «Ancora cinque minuti! Concentrati bene!», quegli ultimi cinque minuti sono molto importanti.
All’inizio sorgono molti pensieri, ma dopo un po’ si può raggiungere questo stato. Alcuni vi arrivano negli ultimi cinque minuti, concentrandosi sulla postura e sull’espirazione. Non devi accasciarti o abbassare la testa; devi mantenere ben distesa la nuca. Quando le persone pensano, i pollici si abbassano. Devi raddrizzarti ed essere molto vigile.
Quindi non credi nella reincarnazione?
Credere? Non è così importante. Non è necessario credere. Stabilire se la reincarnazione esista o meno è una questione soggettiva. Le mie idee sull’argomento non sono del tutto negative, ma non dico: «Devo crederci».
Per quanto riguarda la reincarnazione, nessuno è mai tornato dalla morte per raccontarcelo. Ma essa stimola l’immaginazione, e le religioni primitive avevano moltissime idee in proposito. In questo ambito, non si può decidere se una via o l’altra sia quella giusta.
Si può credere o non credere. Ho avuto molte esperienze metafisiche e credo nel mondo metafisico; ma non lo si può ridurre a qualcosa di banale. Il cosmo è infinito. Le persone scrivono del mondo metafisico, ma possono solo sfiorarne aspetti minimi, mentre esso è infinito. Perciò non possiamo parlarne. La mia esperienza e quella degli altri non sono le stesse, e non possiamo decidere se sia in un modo o nell’altro. Creare categorie riduce le cose a dimensioni insignificanti.
Se qualcuno riesce a ricordare le sue vite precedenti, non implica forse che qualcosa sia permanente?
Le persone pensano al proprio ego. Vogliono capire e non riescono a capire completamente. Pensano in modo egoistico. Se non sei egoista, allora l’argomento non è così cruciale; lo zazen è molto più importante. Il qui e ora può essere molto più efficace.
Il maestro Dogen scrisse in profondità su questa questione del prima della nascita e del dopo la morte. Prima della nascita: una goccia di sperma del padre, un ovulo della madre… una goccia di sangue… Anche questo è ku.
Non vale la pena pensarci, analizzarlo. Solo il qui e ora è importante. Quando devi morire, devi morire, e in quel momento questa vita termina.
Più le persone sono egoiste, più sono attaccate alla vita e più pensano alla morte.
Dove andò Bodhidharma quando morì?
Non è qui e non ha importanza. Non pensare a dove andrai dopo la morte. Pensa soltanto al qui e ora. Quando morirai entrerai in una bara, a meno che tu non muoia in mare; lì non si usano bare.
Il qui e ora è importante. Se ti concentri su ogni punto del presente, i punti diventeranno una linea e, inconsciamente, naturalmente, automaticamente, andrai verso la tua bara e dormirai sotto terra. È come lo zazen. Ora devo morire e mi concentro sullo zazen.
Il rapporto è lo stesso che tra legna e cenere. La legna non conosce, non può vedere le proprie ceneri. Può guardare le ceneri di un altro ceppo, ma non le proprie. I tuoi occhi non possono vedere se stessi, se non in uno specchio. È lo stesso tra vita e morte: la legna bruciata che diventa cenere. La cenere non può pensare che prima era legna, e viceversa.
Non puoi guardare la tua morte. È un problema soggettivo molto difficile. Io posso guardare la tua morte, ma tu no. Una volta morto, la tua morte non può guardare la tua vita. È un problema soggettivo che tu ora consideri come se fosse un problema oggettivo. L’oggetto non è importante, conta solo il soggetto. È anche un problema di tempo. «Qui e ora» comprende l’eternità. Non creare categorie.
La questione è più difficile di un fatto che la scienza possa risolvere e sul quale tutti possano accordarsi. L’aspetto soggettivo è più profondo. È te stesso che stai studiando. Nessuno comprende tranne te. Riguardo ai problemi profondi ognuno ha un’opinione diversa. Perciò è difficile aiutarti. Il problema soggettivo di ciascuno è diverso e la scienza non può risolverlo. Se voglio aiutarti devo diventare te!
Attraverso lo zazen puoi recidere il karma del corpo, della parola e della mente. Anche attraverso la morte. La morte è la stessa cosa del satori?
Sì, esattamente. La parola nirvana significa morte. Il nirvana è il satori perfetto. A volte si riferisce alla morte del Buddha, all’estinzione perfetta. Una volta morti, il nostro karma smette di prodursi: non più karma del corpo, della bocca, del pensiero.
Ma ci sono due dottrine: una dice che tutto è finito, l’altra che il karma continua. A te sembra contraddittorio.
Nello zazen possiamo far diminuire il karma, non arrestarlo. La bocca è chiusa, il karma del corpo si ferma, ma quello del cervello non può cessare del tutto, è troppo difficile — altrimenti, dopo un minuto o due, ci si addormenta. Questo perché il karma si manifesta anzitutto nel subconscio e appare come sogno.
È davvero estremamente difficile fermare il karma della coscienza. In effetti, è eterno e continua dopo la morte. Corpo e mente sono un’unità totale, perciò se il corpo giunge alla fine e muore, anche la coscienza cessa di vivere. Cos’è la vita? Alla morte, ciò che si arresta è l’attività fisica del corpo. Ma la mente non è separata da esso.
Nello Zen non vi sono commentari sul problema della sostanza o su questioni metafisiche. Eppure so che esse suscitano molte difficoltà. Per esempio: se il corpo muore, muore anche la mente? Molte religioni affermano che l’anima voli via. Alcuni scienziati pensano lo stesso: dicono che la mente aleggi per un anno o due. Alcuni immaginano che la mente entri nel corpo di un neonato. Altri dicono che l’anima vada all’inferno o in paradiso. Shakyamuni Buddha non disse mai nulla del genere.
Ma l’influenza del karma continua. Gli elementi che compongono il corpo rimangono dopo la morte, dopo la cremazione. L’acqua e il sangue passano nell’aria e nella terra. Gli elementi rimangono. Solo il loro aspetto fisico cambia. C’è soltanto una trasformazione fisica, e poiché materia e spirito sono unità, c’è qualcosa che rimane ed è eternamente reincarnato. È possibile pensarlo così.
Neppure il corpo è del tutto finito dopo la morte, così la nostra vita è come una bolla sulla superficie dell’acqua, sulla superficie dell’ordine cosmico. Appare e galleggia all’orizzonte, settant’anni, ottant’anni, talvolta cento anni, poi scoppia e scompare — ma in realtà continua. Ci sono bolle grandi e bolle piccole.
Ma non bisogna pensarci continuamente, perché affatica il cervello. Meglio concentrarsi sullo zazen. Certo, è interessante rifletterci, e il karma è importante. «Come posso evitare una cattiva reincarnazione?» Tutte le grandi religioni si interrogano su questa questione.
Non è corretto negare, ma affermare solleva un arduo problema metafisico. È meglio rimanere nella coscienza hishiryo.
Quindi la cosa più importante è continuare a concentrarsi qui e ora?
Questa è la fede, il re del samadhi20, della concentrazione. Il karma passato giunge al termine. Appare e riappare, bisogna lasciarlo passare. Anche durante lo zazen il karma sorge come nei sogni, sogni buoni e cattivi. Bisogna lasciarli passare. Il karma della coscienza è il più sottile. Quelli del corpo, dell’attività, della parola sono più facili da affrontare perché sono governati anche da leggi e dalla presenza di altre persone, dunque è più facile correggerli.
La vita religiosa è riflessione. Se pratichi lo zazen puoi ridurre il tuo karma inconsciamente, automaticamente, naturalmente, e riflettere.
Non possiamo recidere tutto. Ma se, per esempio, invece di venire a questa sesshin fossi andato al Club Méditerranée, forse avresti creato più cattivo karma, mentre nello zazen, al contrario, puoi ridurlo in modo molto preciso. La vera fede, la vita religiosa, è riflessione, osservazione, concentrazione.
Dobbiamo essere mushotoku. Continuo a ripeterlo. Se rispetti il kai21, i precetti, e se sei mushotoku, il tuo karma diminuirà automaticamente. Se lo osserviamo possiamo farlo diminuire.
Il karma della parola: non mentire. Quello del corpo pure. Attraverso lo zazen, la nostra vita quotidiana può proseguire la nostra riflessione e questa si sviluppa. Possiamo avere una vita migliore e forse gli errori che commettiamo non saranno così gravi come quelli che abbiamo commesso prima. Alcune persone continuano a commetterli, ma questo è il risultato del loro karma, non dello zazen. Alcune persone hanno un karma così pesante che non riescono a seguire il mio insegnamento. Ma chi continua a praticare lo zazen può trovare la propria verità profonda.
Stamattina hai detto che si può avere l’esperienza della morte nello zazen. Di cosa si tratta?
Dimenticare tutto. Abbandoni il tuo ego come abbandoni il tuo corpo quando entri nella bara. Se muori, non c’è più niente.
E perché lo chiami risveglio?
Bisogna accogliere le contraddizioni. Gli occidentali vogliono sempre creare categorie! Oggi ti ho insegnato: a volte conquistare, a volte abbandonare. Entrambe le cose sono molto importanti. Svegliarsi non significa soltanto aprire gli occhi: anche morire è svegliarsi. Non bisogna pendere né a destra né a sinistra.
Come puoi vivere qui e ora se pensi sempre alla morte?
Vita e morte sono identiche.
Se accetti la morte qui e ora, la tua vita sarà più profonda. Non devi essere attaccato alla vita. Né alla morte.
Quando arriva il momento di morire, muori e ritorni al cosmo.
Quando la nostra attività giunge al termine, quando la nostra vita è compiuta, allora dobbiamo morire. Bisogna comprendere la morte.
Chi capisce?
Solo il vero ego capisce.
Perché parli di eternità dopo la morte e non prima della nascita?
Perché gli esseri umani sono così. La maggior parte non capisce. Se risolvi questo problema qui e ora, la tua vita sarà serena e sarai molto felice.
Perché nasciamo?
Perché tuo padre e tua madre ti hanno dato alla luce. Hai sollevato un grande problema, un vero koan. Pensaci.
«Perché sono nato? Per nutrirmi? Per amare? Per acquisire conoscenza?» Questa domanda è l’oggetto della nostra vita. E cosa pensano gli altri? Ognuno ha un’opinione diversa. Alcuni dicono: per perfezionare la nostra vita o l’umanità; altri: per permettere alla coscienza di incarnarsi o perché la vita cosmica possa essere vissuta individualmente. Ognuna di queste risposte è corretta. Questa è la domanda su cui si fondano tutte le religioni.
Il Buddha, scoprendo lo zazen, risolse il problema della nascita e della morte.
Note
18 Genjokoan: 現成公案 (Genjōkōan). Uno dei passaggi più importanti dello Shōbōgenzō di Dogen (la sua opera maggiore, in novantacinque capitoli). ↩
19 Shiki: 色 (Shiki). Fenomeni, forme, entità visibili. ↩
20 Samadhi: 三昧 (Zanmai in giapponese). Concentrazione profonda. ↩
21 Kai: 戒 (Kai). I precetti; la loro natura e il loro numero variano a seconda dell’ordinazione (bodhisattva o monaco) e, in Giappone, del sesso (per le donne sono più numerosi che per gli uomini). ↩