Il Discorso sul Grande Scioglimento Finale

Mahā Parinibbāna Sutta (DN 16)

Introduzione Nibbāna, in origine, era la parola pāli che indicava lo spegnersi di un fuoco. Il Buddha la adottò come uno dei nomi per indicare la meta del suo insegnamento, in accordo con la concezione del fuoco prevalente nel suo tempo: un fuoco acceso era visto come qualcosa che si aggrappa al proprio combustibile, in uno stato di agitazione ardente. Quando si spegne, lascia andare il combustibile e raggiunge uno stato di liberazione, raffreddamento e pace. Queste erano dunque le principali associazioni legate a questo termine quando veniva applicato al fine ultimo del sentiero buddhista. Alla luce di questa comprensione del fuoco, il termine nibbāna sembrerebbe derivare etimologicamente dal prefisso negativo nir- unito alla radice vāṇa, cioè “legame”: slegamento, scioglimento. L’aggettivo correlato è nibbuta: sciolto, libero da legami. Il verbo associato, nibbuti: sciogliere, liberare dai vincoli. Parinibbāna — lo scioglimento totale — assume due significati distinti nei testi canonici. Da un lato, indica lo scioglimento che si verifica nel momento del pieno risveglio, sia per il Buddha sia per uno dei suoi discepoli arahant. Dall’altro, designa lo scioglimento che avviene con la morte di un essere completamente risvegliato, quando non vi è più rinascita. Nel titolo di questo sutta, il termine assume proprio questo secondo significato, riferito alla morte del Beato. La parola mahā, “grande”, nel titolo del sutta modifica sia parinibbāna che sutta: in altre parole, suggerisce sia che questo discorso è lungo — è infatti il più lungo dell’intero Canone pāli — sia che la morte del Buddha rappresenta il più significativo tra tutti i parinibbāna nella tradizione buddhista. Il sutta narra gli avvenimenti dell’anno che precedette il parinibbāna del Buddha e delle settimane immediatamente successive. In alcuni passaggi — in particolare negli eventi che precedono la sua dipartita — il racconto assume un tono relativamente diretto, riportando una sequenza piuttosto realistica di accadimenti occasionali. Tuttavia, il corpo principale del sutta rivela segni evidenti di una selezione e una composizione intenzionali. Sappiamo, da altri brani del Canone, che non tutti i grandi eventi di quel periodo sono stati inclusi in questo resoconto. Il Venerabile Sāriputta, ad esempio, compare nella Parte I del sutta, ma il Cunda Sutta ci informa che egli morì prima del Buddha, e che il Beato si trovava a Sāvatthī quando ricevette la notizia — eppure né la morte di Sāriputta né il luogo in cui essa fu appresa sono menzionati nel presente testo. Allo stesso tempo, lo stile del racconto segue molte delle convenzioni della prosa e della poesia letteraria dell’antica India, con l’intento di suscitare un profondo rasa, un gusto emotivo capace di meravigliare e toccare il cuore. Due preoccupazioni principali sembrano aver determinato la struttura del racconto, entrambe comuni a ogni memoriale: il desiderio (1) di mostrare che la persona commemorata era degna di amore e rispetto, e (2) di indicare l’importanza di continuare a vivere secondo le buone tradizioni che quella persona ha stabilito. Entrambe queste preoccupazioni sono racchiuse nell’episodio scelto per aprire il sutta: l’impeto emotivo del re Ajātasattu riguardo ai suoi piani d’invasione contro i Vajjiani, e la sua richiesta al primo ministro Vassakāra di consultare il Buddha a tale proposito. C’è un’ironia sottile nel presentare un re spiritualmente cieco che si rivolge al Buddha per ricevere consigli su una guerra, ma l’episodio veicola diversi insegnamenti di grande rilievo. Innanzitutto, mostra che il Buddha era rispettato anche dai membri più eminenti della società. La risposta indiretta del Buddha alla richiesta del re porta infine a evitare un conflitto, rivelando come egli sapesse usare la propria influenza in modo nobile e saggio. Tuttavia, la conoscenza degli eventi successivi — Vassakāra e Ajātasattu riuscirono infine a sconfiggere i Vajjiani senza spargimento di sangue, minando le loro buone tradizioni — sottolinea una verità profonda: le buone tradizioni non si mantengono da sole, poiché nel mondo esistono forze pronte a smantellarle. Lo stesso Buddha traccia un parallelo tra le buone tradizioni formate da i Vajjiani — che essi non seppero preservare — e quelle che aveva trasmesso al Saṅgha. Il punto è chiaro: anche se il Buddha ha posto il Saṅgha su solide fondamenta, la sua sopravvivenza richiede una vigilanza costante da parte dei membri che rimangono. Così, se da un lato l’episodio iniziale afferma come dato acquisito la prima delle due preoccupazioni del sutta — ossia che il Buddha è indubbiamente degno del più alto rispetto — dall’altro lascia aperta la seconda questione: la sopravvivenza del suo insegnamento. In questo modo, il testo mette in allerta e ispira qualunque ascoltatore sincero, ricordandogli che tale responsabilità ricade ora sulle sue spalle. Queste due preoccupazioni guidano la composizione di tutte le sezioni successive del racconto. Per mostrare che il Buddha era degno di rispetto, i compilatori del sutta proseguono seguendo la doppia strategia introdotta nell’episodio iniziale: da un lato, mostrando direttamente il nobile carattere del Buddha attraverso le sue parole e le sue azioni; dall’altro, mostrando indirettamente come coloro che erano a loro volta degni di stima gli rendessero omaggio. Nel presentare direttamente il Buddha, il racconto pone un’enfasi primaria sulla sua capacità di maestro — un essere dotato di una perfetta padronanza del Dhamma, di una memoria prodigiosa e di una volontà instancabile nel trasmettere ciò che conosce. Il sutta mette inoltre in risalto la sua eccellenza come meditatore, sia nella padronanza della concentrazione (come emerge nel dialogo con Pukkusa Mallaputta e nella sua ultima manifestazione dei livelli meditativi prima della morte), sia nella padronanza dei poteri psichici che scaturiscono dalla concentrazione: egli vede i deva, visita i loro cieli senza rivelare la propria identità, attraversa fiumi all’istante, prevede eventi futuri, ricorda vite passate, legge la mente altrui. Mostra inoltre un dominio assoluto sul momento della propria morte: supera la penultima malattia, sceglie consapevolmente quando e dove morire, e naturalmente, si congeda in modo tale da non rinascere mai più. Per quanto riguarda le sue qualità più personali, il racconto ritrae la grande forza d’animo del Buddha di fronte alle sue ultime due malattie — in particolare, il fatto che, nonostante un grave attacco di dissenteria, percorse a piedi un’intera giornata fino al luogo in cui avrebbe preso dimora per l’ultima volta. Allo stesso tempo, nel giorno della sua morte, manifesta profonda gentilezza e gratitudine: si prende il tempo di confortare il Venerabile Ānanda, suo devoto attendente, e Cunda, il laico che gli offrì l’ultimo pasto; fa in modo che i Malliani siano avvisati affinché possano rendergli omaggio; istruisce un ultimo discepolo, Subhadda; e, poco prima di passare oltre, si rende ancora disponibile a rispondere a qualsiasi domanda non ancora chiarita. Per quanto riguarda le modalità con cui viene reso onore al Buddha, spiccano anzitutto gli eventi miracolosi disseminati nel racconto, i quali mostrano come perfino le forze della natura gli rendessero rispetto: un fiume torbido si schiarisce affinché egli possa bere la sua acqua; la pira funebre si accende spontaneamente solo dopo che il suo grande discepolo, il Venerabile Mahā Kassapa, è giunto per rendergli omaggio. Re, ministri e principi si contendono il privilegio di tributargli onori, e perfino i deva si mostrano impazienti di offrire il proprio rispetto. Nel mostrare come queste figure rendano omaggio al Buddha, il sutta ha insegnato, per molte generazioni di buddhisti, le forme di etichetta e devozione più appropriate. Cinque aspetti, in particolare, si distinguono con chiarezza: (a) La forma più comune di rispetto è l’atto di circumambulare al momento di congedarsi dalla presenza del Buddha. Questo gesto è divenuto la modalità tradizionale per onorare le sue reliquie e gli stūpa, ossia i monumenti commemorativi che le custodiscono. (b) Quando, nella Parte V, i deva desiderano contemplare l’“Occhio”, essi danno continuità a un’antica tradizione indiana, risalente ai tempi vedici, secondo la quale un essere sacro è visto come un “occhio onniveggente” — uno degli epiteti attribuiti al Buddha nella prima poesia pāli — e l’atto di fissare tale occhio è considerato di buon auspicio. Nei secoli successivi, divenne pratica comune meditare fissando l’immagine del Buddha o i suoi occhi scolpiti. (c) Quando i Malliani pronunciano ad alta voce i propri nomi mentre rendono omaggio finale al Buddha, proseguono anch’essi un’antica tradizione indiana, affermando senza vergogna il proprio onore nell’inchinarsi dinanzi al Beato. Questo gesto portò, in seguito, alla consuetudine di iscrivere il proprio nome sugli oggetti donati agli stūpa, anche se questi venivano collocati in luoghi dove l’iscrizione non era visibile. Il gesto di apporre il proprio nome su un’offerta è rimasto vivo nel mondo buddhista fino ai giorni nostri. (d) Quando, dopo la morte del Buddha e poi ancora dopo la cremazione, i Malliani venerano il suo corpo con danze, canti, musica, ghirlande e profumi, creando drappi cerimoniali e composizioni floreali, essi pongono le basi per i festival degli stūpa, che sarebbero divenuti celebri e diffusi in tutta l’Asia buddhista. (e) E naturalmente, quando è lo stesso Buddha a descrivere come dovrebbero svolgersi le sue esequie e come dovrebbero essere visitati e contemplati gli stūpa, il sutta getta le fondamenta dell’intero culto degli stūpa e delle pagode. Come afferma il Buddha stesso in questo testo, lo scopo di tale contemplazione non è soltanto quello di rendere omaggio, ma anche di generare un senso di saṁvega — un’urgenza spirituale mista a turbamento — di fronte all’impermanenza e all’instabilità della vita. Nell’analisi buddhista delle emozioni, il saṁvega è una delle motivazioni fondamentali per la pratica, soprattutto quando è accompagnato da pasāda, la fiducia serena che la via indicata conduce alla liberazione da tale instabilità. Nel suscitare entrambi questi sentimenti — saṁvega e pasāda — il sutta intende ispirare chi ascolta o legge ad assumere come propria la seconda grande preoccupazione che attraversa il testo: la necessità di preservare e proseguire le buone tradizioni buddhiste, sia per il proprio beneficio individuale, sia per il bene comune. In vista di questo scopo, il sutta narra molte delle istruzioni che il Buddha stesso impartì su come mantenere viva, a lungo, la vita del Dhamma e del Saṅgha. All’inizio del discorso, egli offre diverse serie di indicazioni su come il Saṅgha possa rimanere unito e armonioso. Anziché nominare una singola persona come suo successore, il Buddha indica come suo erede il Dhamma e il Vinaya che ha insegnato ed esposto. Allo stesso tempo, stabilisce dei criteri per riconoscere e custodire correttamente questi insegnamenti: identifica le Ali del risveglio (bojjhaṅgā) come nucleo centrale della sua dottrina e afferma che ogni insegnamento attribuito a lui deve essere valutato non in base all’autorità di chi lo trasmette, ma alla sua coerenza con ciò che è già riconosciuto come autentico e conforme alla retta via. Per quanto riguarda i singoli praticanti, il Buddha sottolinea la necessità di prendere rifugio nel Dhamma, interiorizzandolo a tal punto — attraverso le quattro fondazioni della consapevolezza (satipaṭṭhāna) — da poter trovare rifugio in se stessi. Offre inoltre uno “specchio del Dhamma”, grazie al quale ciascuno può valutare fino a che punto è riuscito a stabilire in sé quel rifugio. La ricerca del bene comune e di quello individuale si intrecciano: quando i singoli monaci praticano rettamente, il mondo non sarà mai privo di arahant. Una delle ironie istruttive del sutta è il modo in cui, verso la fine, le sue due principali preoccupazioni entrano in conflitto: re e brāhmani diventano così desiderosi di ottenere le reliquie del Buddha che dimenticano i suoi insegnamenti e quasi arrivano alla guerra. Sappiamo, dalla storia del buddhismo, che la dimensione devozionale ha spesso messo in pericolo la pratica in altri modi. Più volte, monaci a capo di centri votivi hanno ostacolato la vita dei monaci della foresta; e i monasteri della foresta, con il passare delle generazioni, si sono talvolta trasformati anch’essi in centri di devozione. Per risolvere questo conflitto, il sutta propone una posizione di compromesso, illustrata in modo chiaro dalla risposta del Buddha alla venerazione dei deva nella sua ultima notte: da un lato, egli onora il loro desiderio di contemplarlo chiedendo al suo attendente monaco di spostarsi per non ostruire la vista; dall’altro, dichiara ad Ānanda che la forma più autentica di venerazione è praticare il Dhamma secondo il Dhamma. In questo modo, egli lascia spazio alle espressioni esteriori di devozione, pur subordinandole alla pratica del Dhamma come via verso la liberazione completa. Il Venerabile Mahā Kassapa, che compare alla fine del sutta, incarna pienamente la figura monastica ideale in cui si uniscono i due grandi ideali del testo. Famoso sia per la sua intensa devozione verso il Buddha sia per la sua rigorosa pratica ascetica, dimostra che questi due aspetti non devono necessariamente entrare in conflitto. La parte conclusiva della narrazione allude anche al ruolo che egli assunse in seguito, facendo propria la preoccupazione del Buddha per la sopravvivenza del Dhamma e del Vinaya, che sarebbero divenuti i veri maestri del Saṅgha dopo la sua scomparsa. Il Cullavagga XI ci racconta che le parole pronunciate da un anziano monaco dopo il parinibbāna del Buddha — e riportate in questo sutta — secondo cui il Saṅgha avrebbe finalmente potuto liberarsi dei continui ammonimenti del Beato su ciò che si doveva e non si doveva fare, furono ciò che spinse Mahā Kassapa a convocare il Primo Concilio per stabilire e trasmettere in modo unificato il Dhamma e il Vinaya. Egli comprese, da quelle parole, che le minacce alla sopravvivenza delle buone tradizioni lasciate dal Buddha non provenivano solo dall’esterno del Saṅgha, ma anche — e forse ancor più pericolosamente — dall’interno stesso. In tal modo, Mahā Kassapa mostra fino a che punto i membri del Saṅgha debbano essere pronti a spingersi per mantenere vivi i due ideali fondamentali del sutta. Per quanto riguarda l’incarnazione laica ideale dei due grandi ideali, essa è rappresentata dal brāhmano Doṇa, che suddivide le reliquie del Buddha in modo equo e pacifico tra i numerosi pretendenti. In tal modo, mostra anche ai laici buddhisti che essi possono avere un ruolo attivo nel preservare e trasmettere le buone tradizioni fondate dal Buddha. Proprio come il sutta si apre con il Buddha che previene un conflitto armato, così si chiude con Doṇa che riesce ad evitarne uno, offrendo così una conclusione armoniosa che riflette gli stessi principi con cui l’insegnamento era cominciato. Introduzione a cura di Thanissaro Bhikku 1 Ho udito che in una certa occasione il Beato soggiornava nei pressi di Rājagaha sul Monte del Picco dell’Avvoltoio. E in quell’occasione, Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, voleva attaccare i Vajjiani. Disse: «Sterminerò questi Vajjiani—così potenti, così forti! Distruggerò questi Vajjiani! Porterò questi Vajjiani alla rovina—questi Vajjiani!» Poi si rivolse a Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha: «Vieni, brāhmano. Va’ dal Beato e, una volta giunto, rendigli omaggio con il capo ai suoi piedi a mio nome e chiedigli se è libero da malattia e sofferenza, sereno, forte e nel benessere, (dicendo:) “Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, signore, rende omaggio con il capo ai piedi del Beato e chiede se egli è libero da malattia e sofferenza, sereno, forte e nel benessere.” E poi di’: “Signore, Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, desidera attaccare i Vajjiani. Dice: ‘Sterminerò questi Vajjiani—così potenti, così forti! Distruggerò questi Vajjiani! Porterò questi Vajjiani alla rovina—questi Vajjiani!’” Qualunque sia la risposta del Beato, comprendila bene e riferiscimela. Poiché i Tathāgata non parlano falsità.”» Rispondendo: «Così sia, sire», ad Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha, fece aggiogare i veicoli propizi, salì su un veicolo propizio, lasciò Rājagaha con i veicoli propizi e si diresse verso il Monte del Picco dell’Avvoltoio. Proseguendo col veicolo fin dove il terreno lo permetteva, scese dal veicolo e si avvicinò al Beato a piedi. Una volta arrivato, scambiò saluti rispettosi con il Beato. Dopo aver condiviso parole amichevoli e cortesi, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, disse al Beato: «Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, Maestro Gotama, mostra reverenza con il capo ai piedi del Maestro Gotama e chiede se lei è libero da malattia e sofferenza, sereno, forte e nel benessere. Maestro Gotama, Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, desidera attaccare i Vajjiani. Dice: “Sterminerò questi Vajjiani—così potenti, così forti! Distruggerò questi Vajjiani! Porterò questi Vajjiani alla rovina—questi Vajjiani!”» Ora, in quell’occasione, il venerabile Ānanda stava dietro al Beato, sventolandolo. Allora il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani si riuniscono spesso e con grande frequenza?» «L’ho sentito dire, signore, che i Vajjiani si riuniscono spesso e con grande frequenza.» «Finché i Vajjiani si riuniscono spesso e con grande frequenza, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani si riuniscono in armonia, si sciolgono in armonia e conducono gli affari dei Vajjiani in armonia?» «L’ho sentito dire, signore.…» «Finché i Vajjiani si riuniscono in armonia, si sciolgono in armonia e conducono gli affari dei Vajjiani in armonia, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani non decretano ciò che non è stato decretato né abrogano ciò che è stato decretato, ma si comportano seguendo le antiche leggi dei Vajjiani così come sono state stabilite?» «L’ho sentito dire, signore.…» «Finché i Vajjiani non decretano ciò che non è stato decretato né abrogano ciò che è stato decretato, ma si comportano seguendo le antiche leggi dei Vajjiani così come sono state stabilite, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio agli anziani dei Vajjiani, considerandoli degni di essere ascoltati?» «L’ho sentito dire, signore.…» «Finché i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio agli anziani dei Vajjiani, considerandoli degni di essere ascoltati, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani non rapiscono con brutalità donne e fanciulle di buone famiglie per farle prigioniere?» «L’ho sentito dire, signore.…» «Finché i Vajjiani non rapiscono con brutalità donne e fanciulle di buone famiglie per farle prigioniere, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio ai santuari dei Vajjiani, sia all’interno (della città) che all’esterno, e che non lasciano decadere le offerte meritorie compiute in passato e donate in passato a quei santuari?» «L’ho sentito dire, signore.…» «Finché i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio ai santuari dei Vajjiani, sia all’interno (della città) che all’esterno, e non lasciano decadere le offerte meritorie compiute in passato e donate in passato a quei santuari, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani forniscono adeguata protezione, sorveglianza e custodia per gli arahant (con il pensiero): “Se vi sono arahant che non sono ancora giunti nel nostro territorio, possano venire; e possano gli arahant che sono giunti nel nostro territorio vivere nel benessere”?» «L’ho sentito dire, signore.…» «Finché viene fornita adeguata protezione, sorveglianza e custodia per gli arahant da parte dei Vajjiani (con il pensiero): “Se vi sono arahant che non sono ancora giunti nel nostro territorio, possano venire; e possano gli arahant che sono giunti nel nostro territorio vivere nel benessere”, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» Allora il Beato si rivolse a Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha: «Una volta, brāhmano, mi trovavo nei pressi di Vesālī, presso il santuario di Sārandada. Lì insegnai ai Vajjiani queste sette condizioni che conducono al non declino. Finché queste sette condizioni permangono tra i Vajjiani, e finché i Vajjiani restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» A queste parole, Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha, disse al Beato: «Maestro Gotama, anche se i Vajjiani fossero dotati di una sola di queste condizioni che conducono al non declino, ci si potrebbe comunque aspettare la loro prosperità, non il loro declino—per non parlare di tutte e sette. Nulla può essere fatto ai Vajjiani da parte del re Ajātasattu Vedehiputta, re del Magadha, con la forza delle armi—eccetto che tramite l’amicizia e la semina della discordia (fra di loro). «Ebbene, Maestro Gotama, dobbiamo andare ora. Molti sono i nostri doveri, molte le nostre responsabilità.» «Allora fa’, brāhmano, ciò che ritieni sia ora il momento di fare.» Allora Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha, compiacendosi e approvando le parole del Beato, si alzò dal suo posto e se ne andò. Non molto tempo dopo la sua partenza, il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Va’, Ānanda. Fa’ radunare nella sala delle assemblee tutti i monaci che vivono in dipendenza da Rājagaha.» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il venerabile Ānanda—dopo aver fatto radunare nella sala delle assemblee tutti i monaci che vivevano in dipendenza da Rājagaha—si avvicinò al Beato. Una volta arrivato, dopo essersi prosternato davanti a lui, rimase in piedi a un lato. Mentre stava lì in piedi, disse al Beato: «Il Saṅgha dei monaci si è riunito, signore. Che il Beato faccia ciò che ritiene sia ora il momento di fare.» Allora il Beato, alzandosi dal suo posto, si recò alla sala delle assemblee e, una volta arrivato, si sedette sul seggio preparato. Sedutosi, si rivolse ai monaci: «Monaci, vi insegnerò le sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci si riuniscono spesso, si riuniscono con grande frequenza, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché i monaci si riuniscono in armonia, si sciolgono in armonia e conducono gli affari del Saṅgha in armonia, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché i monaci non decretano ciò che non è stato decretato né abrogano ciò che è stato decretato, ma si comportano seguendo le regole di addestramento così come sono state stabilite, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché i monaci onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio ai monaci anziani—coloro che hanno lunga anzianità di ordinazione, i padri del Saṅgha, le guide del Saṅgha—considerandoli degni di essere ascoltati, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché i monaci non si lasciano dominare da alcuna brama sorta che conduca al divenire ulteriore, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché i monaci vedono il proprio beneficio nel dimorare in luoghi selvaggi, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. E finché ciascun monaco tiene fermamente a mente: “Se vi sono nobili compagni nella vita santa che non sono ancora giunti, possano venire; e possano i nobili compagni nella vita santa che sono giunti vivere nel benessere”, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» «Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci non sono infatuati del lavoro (di costruzione), non si compiacciono del lavoro di costruzione e non si dedicano con attaccamento al lavoro di costruzione, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché i monaci non sono infatuati delle chiacchiere… «Finché i monaci non sono infatuati del dormire… «Finché i monaci non sono infatuati dell’intrigo… «Finché i monaci non sono infatuati della cattiva ambizione e non cadono sotto il potere delle cattive ambizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché i monaci non hanno cattivi amici, cattivi compagni e cattivi compagni di pratica, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «E finché i monaci non si arrestano a metà cammino, accontentandosi di realizzazioni e distinzioni inferiori, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» «Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci possiedono fiducia… senso del pudore… scrupolo… conoscenza… energia risvegliata… presenza mentale stabilita… discernimento, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» «Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci coltivano la consapevolezza come fattore del risveglio… l’analisi dei fenomeni come fattore del risveglio… l’energia come fattore del risveglio… l’estasi come fattore del risveglio… la calma come fattore del risveglio… la concentrazione come fattore del risveglio… l’equanimità come fattore del risveglio, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» «Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci coltivano la percezione dell’impermanenza… la percezione del non-sé… la percezione della non-attrattività… la percezione degli svantaggi… la percezione dell’abbandono… la percezione del distacco… la percezione della cessazione, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» «Monaci, vi insegnerò altre sei condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «Finché i monaci sono orientati ad atti corporei di benevolenza nei confronti dei loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché i monaci sono orientati ad atti verbali di benevolenza nei confronti dei loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle… «Finché i monaci sono orientati ad atti mentali di benevolenza nei confronti dei loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle… «Finché i monaci, qualunque guadagno retto possano ottenere in modo retto—anche solo le elemosine nelle loro ciotole—non li consumano da soli, ma li consumano dopo averli condivisi con i loro virtuosi compagni nella vita santa… «Finché i monaci—riguardo alle virtù che sono integre, non infrante, senza macchia, non contaminate, liberanti, lodate da chi osserva, non afferrate, e che conducono alla concentrazione—vivono in armonia con quelle stesse virtù insieme ai loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle… «E finché i monaci—riguardo alla visione che è nobile, rivolta all’uscita, e che conduce coloro che vi agiscono in accordo al giusto termine della sofferenza e del disagio—vivono in accordo con quella visione insieme ai loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino. «Finché queste sei condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sei condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.» Durante il soggiorno nei pressi di Rājagaha, sul Monte del Picco dell’Avvoltoio, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dalle efflussi, cioè l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Rājagaha finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso Ambalaṭṭhikā.»q «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò ad Ambalaṭṭhikā. Lì soggiornò nei pressi di Ambalaṭṭhikā, presso il Padiglione Reale. Durante il soggiorno nei pressi di Ambalaṭṭhikā, presso il Padiglione Reale, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Ambalaṭṭhikā finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso Nāḷandā.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò a Nāḷandā. Lì soggiornò nei pressi di Nāḷandā, presso il boschetto di mango di Pāvārika. Poi il venerabile Sāriputta si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato davanti a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, il venerabile Sāriputta disse al Beato: «Signore, ho fiducia nel Beato: che non vi sia stato, né vi sarà, né vi è ora alcun contemplativo o brāhmano la cui conoscenza diretta del risveglio sia superiore a quella del Beato!» «Grandiosa è questa tua dichiarazione taurina, Sāriputta; categorico è questo tuo ruggito leonino: “Signore, ho fiducia nel Beato: che non vi sia stato, né vi sarà, né vi è ora alcun contemplativo o brāhmano la cui conoscenza diretta del risveglio sia superiore a quella del Beato!” Ebbene, Sāriputta, hai forse abbracciato con la tua consapevolezza la consapevolezza di tutti i degni, i perfettamente risvegliati che ci sono stati nel passato, conoscendo: “Tale era la loro virtù, tale il loro Dhamma, tale il loro discernimento, tale la loro dimora (meditativa), tale la loro liberazione”?» «No, signore.» «Hai allora abbracciato con la tua consapevolezza la consapevolezza di tutti i degni, i perfettamente risvegliati che vi saranno nel futuro, conoscendo: “Tale sarà la loro virtù, tale il loro Dhamma, tale il loro discernimento, tale la loro dimora (meditativa), tale la loro liberazione”?» «No, signore.» «Hai allora abbracciato con la tua consapevolezza la mia consapevolezza — la consapevolezza del degno, del perfettamente risvegliato nel presente — conoscendo: “Tale è la sua virtù, tale il suo Dhamma, tale il suo discernimento, tale la sua dimora (meditativa), tale la sua liberazione”?» «No, signore.» «E allora, Sāriputta, se non possiedi la conoscenza della consapevolezza dei degni, dei perfettamente risvegliati del passato, del futuro e del presente, come mai hai appena pronunciato questa grandiosa dichiarazione taurina e ruggito questo categorico ruggito leonino: “Signore, ho fiducia nel Beato: che non vi sia stato, né vi sarà, né vi è ora alcun contemplativo o brāhmano la cui conoscenza diretta del risveglio sia superiore a quella del Beato”?» «Signore, non ho conoscenza della consapevolezza dei degni, dei perfettamente risvegliati del passato, del futuro e del presente, ma ho conosciuto la coerenza del Dhamma. È come se vi fosse una città reale di confine con forti bastioni, solide mura e archi, e un’unica porta. E in essa vi fosse un portinaio saggio, abile e intelligente, che lascia entrare solo coloro che conosce ed esclude coloro che non conosce. Camminando lungo il sentiero che circonda la città, egli non vedrebbe crepe né aperture nelle mura, nemmeno abbastanza grandi da farvi passare un gatto. E gli sorgerebbe questo pensiero: “Qualunque grande creatura entri o esca dalla città, tutte entrano o escono attraverso questa porta.”» «Allo stesso modo, ho conosciuto la coerenza del Dhamma: “Tutti coloro che nel passato furono degni, perfettamente risvegliati, hanno raggiunto il perfetto, insuperabile risveglio dopo aver abbandonato i cinque ostacoli — quelle impurità della consapevolezza che indeboliscono il discernimento —, dopo aver ben stabilito la mente nei quattro fondamenti della consapevolezza, e dopo aver sviluppato, così come realmente sono, i sette fattori del risveglio. Tutti coloro che in futuro saranno degni, perfettamente risvegliati, raggiungeranno il perfetto, insuperabile risveglio dopo aver abbandonato i cinque ostacoli — quelle impurità della consapevolezza che indeboliscono il discernimento —, dopo aver ben stabilito la mente nei quattro fondamenti della consapevolezza, e dopo aver sviluppato, così come realmente sono, i sette fattori del risveglio. Il Beato, che ora è il degno, il perfettamente risvegliato, ha raggiunto il perfetto, insuperabile risveglio dopo aver abbandonato i cinque ostacoli — quelle impurità della consapevolezza che indeboliscono il discernimento —, dopo aver ben stabilito la mente nei quattro fondamenti della consapevolezza, e dopo aver sviluppato, così come realmente sono, i sette fattori del risveglio.”» Durante il soggiorno nei pressi di Nāḷandā, presso il boschetto di mango di Pāvārika, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Nāḷandā finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso il villaggio di Pāṭali.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò al villaggio di Pāṭali. I laici seguaci del villaggio di Pāṭali sentirono dire: «Si dice che il Beato sia giunto al villaggio di Pāṭali.» Così si recarono dal Beato e, una volta arrivati, dopo essersi prosternati dinanzi a lui, si sedettero a un lato. Mentre erano seduti lì, dissero: «Signore, possa il Beato acconsentire all’uso della sala del rifugio.» Il Beato acconsentì con il silenzio. Intuendo il suo consenso, i laici del villaggio di Pāṭali si alzarono dai loro posti e, prosternatisi davanti a lui e circumambulandolo, si recarono alla sala del rifugio. Una volta arrivati, la ricoprirono interamente con stuoie di feltro, disposero dei sedili, sistemarono un recipiente d’acqua e accesero una lampada a olio. Poi si recarono dal Beato e, una volta arrivati, dopo essersi prosternati dinanzi a lui, rimasero in piedi a un lato. Mentre stavano lì in piedi, dissero: «Signore, la sala del rifugio è stata ricoperta interamente con stuoie di feltro, i sedili sono stati disposti, un recipiente d’acqua è stato sistemato e una lampada a olio accesa. Possa il Beato fare ciò che ritiene sia ora il momento di fare.» Così il Beato, la sera, dopo aver sistemato la sua veste inferiore e preso la ciotola e la veste esterna, si recò insieme al Saṅgha dei monaci alla sala del rifugio. Una volta arrivato, si lavò i piedi, entrò nella sala e si sedette con la schiena rivolta al pilastro centrale, guardando verso est. Il Saṅgha dei monaci si lavò i piedi, entrò nella sala e si sedette con la schiena rivolta al muro occidentale, guardando verso est, disposti attorno al Beato. I laici del villaggio di Pāṭali si lavarono i piedi, entrarono nella sala e si sedettero con la schiena rivolta al muro orientale, guardando verso ovest, disposti attorno al Beato. Allora il Beato si rivolse ai laici del villaggio di Pāṭali: «Capifamiglia, vi sono questi cinque svantaggi derivanti dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. Quali cinque? «C’è il caso in cui una persona non virtuosa, difettosa nella virtù, per via della sua negligenza subisce la perdita o la confisca di grandi ricchezze. Questo è il primo svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. «E inoltre, la cattiva reputazione della persona non virtuosa, difettosa nella virtù, si diffonde ovunque. Questo è il secondo svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. «E inoltre, qualunque assemblea la persona non virtuosa, difettosa nella virtù, frequenti—che si tratti di nobili guerrieri, brāhmani, capifamiglia o contemplativi—vi si reca senza fiducia e con imbarazzo. Questo è il terzo svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. «E inoltre, la persona non virtuosa, difettosa nella virtù, muore confusa. Questo è il quarto svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. «E inoltre, la persona non virtuosa, difettosa nella virtù—alla dissoluzione del corpo, dopo la morte—riappare in un piano di privazione, in una cattiva destinazione, in un regno inferiore, all’inferno. Questo è il quinto svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. «Questi, capifamiglia, sono i cinque svantaggi derivanti dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. «Capifamiglia, vi sono questi cinque benefici derivanti dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. Quali cinque? «C’è il caso in cui una persona virtuosa, perfetta nella virtù, per via della sua diligenza ottiene una grande ricchezza. Questo è il primo beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. «E inoltre, la buona reputazione della persona virtuosa, perfetta nella virtù, si diffonde ovunque. Questo è il secondo beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. «E inoltre, qualunque assemblea la persona virtuosa, perfetta nella virtù, frequenti—che si tratti di nobili guerrieri, brāhmani, capifamiglia o contemplativi—vi si reca con fiducia e senza imbarazzo. Questo è il terzo beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. «E inoltre, la persona virtuosa, perfetta nella virtù, muore senza confusione. Questo è il quarto beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. «E inoltre, la persona virtuosa, perfetta nella virtù—alla dissoluzione del corpo, dopo la morte—riappare in una buona destinazione, in un mondo celeste. Questo è il quinto beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. «Questi, capifamiglia, sono i cinque benefici derivanti dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.» Allora il Beato—dopo aver istruito, esortato, ispirato e incoraggiato con un discorso di Dhamma i laici del villaggio di Pāṭali per buona parte della notte—li congedò dicendo: «La notte è ormai inoltrata, capifamiglia. Fate ciò che ritenete sia ora il momento di fare.» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, i laici del villaggio di Pāṭali si alzarono dai loro posti e, prosternandosi davanti a lui e circumambulandolo, se ne andarono. Allora il Beato, non molto tempo dopo la loro partenza, entrò in un edificio vuoto. Ora, in quell’occasione, Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, stavano costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali per prevenire i Vajjiani. E in quell’occasione, migliaia di deva stavano occupando dei luoghi nel villaggio di Pāṭali. Nelle aree in cui deva di grande influenza occupavano dei siti, lì le menti dei ministri reali del re, di grande influenza, erano inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree in cui deva di media influenza occupavano dei siti, lì le menti dei ministri reali del re, di media influenza, erano inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree in cui deva di bassa influenza occupavano dei siti, lì le menti dei ministri reali del re, di bassa influenza, erano inclini a costruire le loro dimore. Il Beato, con l’occhio divino—purificato e che trascende l’umano—vide quei deva a migliaia occupare siti nel villaggio di Pāṭali. Poi, alzandosi nell’ultima veglia della notte, il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Ānanda, chi sta costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali?» «Signore, Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, stanno costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali per prevenire i Vajjiani.» «Ānanda, è come se avessero consultato i Deva dei Trentatré: proprio così Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, stanno costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali per prevenire i Vajjiani. «Poco fa, Ānanda—con l’occhio divino, purificato e che trascende l’umano—ho visto molti deva, a migliaia, occupare siti nel villaggio di Pāṭali. Nelle aree dove i deva di grande influenza occupano siti, lì le menti dei ministri reali del re, di grande influenza, sono inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree dove i deva di media influenza occupano siti, lì le menti dei ministri reali del re, di media influenza, sono inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree dove i deva di bassa influenza occupano siti, lì le menti dei ministri reali del re, di bassa influenza, sono inclini a costruire le loro dimore. «Ānanda, per quanto si estenda la sfera degli Ariya, per quanto si estendano le vie dei mercanti, questa sarà la città suprema: Pāṭaliputta, dove i baccelli della pianta di pāṭali si schiudono. Tre saranno i pericoli per Pāṭaliputta: dal fuoco, dall’acqua, o dalla rottura delle alleanze.» Allora Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, si recarono dal Beato e, una volta arrivati, scambiarono con lui saluti rispettosi. Dopo uno scambio di parole amichevoli e di cortesia, si fermarono a un lato. Mentre stavano lì in piedi, dissero: «Possa il maestro Gotama acconsentire al nostro pasto di oggi, insieme al Saṅgha dei monaci.» Il Beato acconsentì con il silenzio. Allora Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, comprendendo il consenso del Beato, si recarono alla loro sala del rifugio. Una volta arrivati, dopo aver fatto preparare nella loro sala un raffinato cibo solido e non solido, annunciarono al Beato che era giunto il momento: «È ora, maestro Gotama. Il pasto è pronto.» Allora il Beato, di primo mattino, sistemata la veste inferiore e—presa la ciotola e la veste esterna—si recò insieme al Saṅgha dei monaci alla sala del rifugio di Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha. Una volta arrivato, si sedette sul seggio preparato. Sunidha e Vassakāra, con le proprie mani, servirono e soddisfecero il Saṅgha dei monaci, con il Buddha alla testa, con raffinato cibo solido e non solido. Poi, quando il Beato ebbe terminato il pasto e si fu sciacquato ciotola e mani, Sunidha e Vassakāra, prendendo un sedile basso, si sedettero a un lato. Mentre erano seduti lì, il Beato espresse il suo compiacimento con questi versi: In qualunque luogo una persona saggia stabilisca la sua dimora, —lì offrendo cibo ai virtuosi, ai disciplinati, alle guide della vita santa— egli dovrebbe dedicare quell’offerta ai deva di quel luogo. Essi, ricevendo onore, lo onoreranno; essendo rispettati, gli mostreranno rispetto. Come risultato, proveranno per lui simpatia, come quella di una madre per il suo bambino, suo figlio. Una persona per cui i deva provano simpatia incontra sempre cose propizie. Allora il Beato, dopo aver espresso il suo compiacimento a Sunidha e Vassakāra con quei versi, si alzò dal suo posto e se ne andò. E in quell’occasione, Sunidha e Vassakāra lo seguirono immediatamente, (pensando:) «Attraverso qualunque porta Gotama il contemplativo parta oggi, quella sarà chiamata Porta di Gotama. E attraverso qualunque guado egli attraversi il fiume Gange, quello sarà chiamato Guado di Gotama.» Così, la porta da cui il Beato partì fu chiamata Porta di Gotama. Poi si recò al fiume Gange. Ora, in quell’occasione, il fiume Gange era colmo fino alle sponde, tanto che un corvo avrebbe potuto berne. Alcune persone cercavano barche; alcune cercavano zattere; alcune legavano insieme tronchi, sperando di attraversare da questa riva all’altra. Allora il Beato—così come un uomo forte potrebbe estendere il braccio piegato o piegare il braccio esteso—scomparve dalla riva vicina del fiume Gange e riapparve sulla riva opposta insieme al Saṅgha dei monaci. Vide che alcune persone stavano cercando barche; alcune stavano cercando zattere; alcune stavano legando insieme tronchi, sperando di passare da questa riva all’altra. Poi, realizzando il significato di ciò, il Beato in quell’occasione esclamò: Coloro che attraversano la schiumosa piena, avendo costruito un ponte, evitando le paludi —mentre altri legano zattere— le persone sagge hanno già attraversato. 2 Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso il villaggio di Koṭi.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò al villaggio di Koṭi. Lì soggiornò nei pressi del villaggio di Koṭi. E lì si rivolse ai monaci: «È per non aver compreso e penetrato quattro nobili verità, monaci, che abbiamo trasmigrato e vagato per così lungo tempo, voi e io. Quali quattro? «È per non aver compreso e penetrato la nobile verità del dukkha che abbiamo trasmigrato e vagato per così lungo tempo, voi e io. È per non aver compreso e penetrato la nobile verità dell’origine del dukkha… È per non aver compreso e penetrato la nobile verità della cessazione del dukkha… È per non aver compreso e penetrato la nobile verità del sentiero di pratica che conduce alla cessazione del dukkha che abbiamo trasmigrato e vagato per così lungo tempo, voi e io. «(Ora, invece,) questa nobile verità del dukkha è stata compresa e penetrata; la nobile verità dell’origine del dukkha è stata compresa e penetrata; la nobile verità della cessazione del dukkha è stata compresa e penetrata; la nobile verità del sentiero di pratica che conduce alla cessazione del dukkha è stata compresa e penetrata. La brama del divenire è stata schiacciata; la spinta al divenire [cioè l’attaccamento] è cessata. Ora non vi è più ulteriore divenire.» Questo è ciò che disse il Beato. Dopo averlo detto, il Maestro, il Ben Andato, aggiunse: Per mancanza di visione delle quattro nobili verità, abbiamo vagato a lungo semplicemente in queste e in quelle nascite. Ora queste sono state viste, la guida al divenire è stata rimossa, schiacciata è la radice di sofferenza e dukkha. Ora non vi è più ulteriore divenire. Durante il soggiorno nei pressi del villaggio di Koṭi, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi del villaggio di Koṭi finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso Nādikā.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò a Nādikā. Lì soggiornò nei pressi di Nādikā, presso la Sala di Mattoni. Poi il venerabile Ānanda si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato davanti a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, il monaco di nome Sāḷha è morto a Nādikā. Qual è la sua destinazione, quale il suo stato futuro? La monaca di nome Nandā è morta a Nādikā. Qual è la sua destinazione, quale il suo stato futuro? Il laico di nome Sudatta è morto a Nādikā. Qual è la sua destinazione, quale il suo stato futuro? La laica di nome Sujātā è morta a Nādikā. Qual è la sua destinazione, quale il suo stato futuro? Il laico di nome Kakudha… Kāraḷimbha… Nikaṭa… Kaṭissaha… Tuṭṭha… Santuṭṭha… Bhaṭa… Subhaṭa è morto a Nādikā. Qual è la sua destinazione, quale il suo stato futuro?» «Ānanda, il monaco Sāḷha, con la cessazione degli efflussi, dimorava nella liberazione della consapevolezza e nella liberazione mediante il discernimento, libere da efflussi, avendole conosciute e realizzate direttamente da sé, qui e ora. La monaca Nandā, con la cessazione dei cinque legami inferiori, è rinata spontaneamente (nei Reami Puri), dove giungerà alla completa estinzione, destinata a non tornare mai più da quel mondo. Sudatta, il laico, con la cessazione dei primi tre legami e con l’indebolimento della brama, dell’avversione e dell’illusione, è un ritornante-una-sola-volta, che—tornando solo un’ultima volta in questo mondo—porrà fine al dukkha. Sujātā, la laica, con la cessazione dei primi tre legami, è una entrante-nella-corrente, mai più destinata a rinascite in reami di miseria, certa, avviata verso il risveglio. Kakudha, il laico… Kāraḷimbha… Nikaṭa… Kaṭissaha… Tuṭṭha… Santuṭṭha… Bhaṭa… Subhaṭa, laici, con la cessazione dei cinque legami inferiori, sono rinati spontaneamente (nei Reami Puri), dove giungeranno alla completa estinzione, destinati a non tornare mai più da quel mondo.» «Ānanda, più di cinquanta laici, morti a Nādikā, con la cessazione dei cinque legami inferiori, sono rinati spontaneamente (nei Reami Puri), dove giungeranno alla completa estinzione, destinati a non tornare mai più da quel mondo. Novantasei laici, morti a Nādikā, con la cessazione dei primi tre legami e con l’indebolimento della brama, dell’avversione e dell’illusione, sono ritornanti-una-sola-volta, che—tornando solo un’ultima volta in questo mondo—porranno fine al dukkha. Cinquecentodieci laici, morti a Nādikā, con la cessazione dei primi tre legami, sono entranti-nella-corrente, mai più destinati ai reami di miseria, certi, avviati verso il risveglio. «Ānanda, non c’è nulla di sorprendente nel fatto che chiunque sia nato come essere umano debba morire. Ma se a ogni morte ti avvicinassi al Tathāgata per chiedere di questo, ciò diverrebbe per lui motivo di affaticamento. «Perciò, Ānanda, ti insegnerò il discorso di Dhamma chiamato Specchio del Dhamma, dotato del quale un discepolo dei nobili, se lo desidera, può dichiarare con sicurezza per sé: “L’inferno è finito per me; sono finite le rinascite nei grembi animali; è finito lo stato degli spiriti affamati; sono finiti i piani di privazione, le cattive destinazioni, i reami inferiori! Io sono un entrante-nella-corrente, mai più destinato ai reami inferiori, certo, avviato verso il risveglio!”» «E qual è il discorso di Dhamma chiamato Specchio del Dhamma, dotato del quale un discepolo dei nobili, se lo desidera, può dichiarare per sé: “L’inferno è finito per me; sono finite le rinascite nei grembi animali; è finito lo stato degli spiriti affamati; sono finiti i piani di privazione, le cattive destinazioni, i reami inferiori! Io sono un entrante-nella-corrente, mai più destinato ai reami inferiori, certo, avviato verso il risveglio”? C’è il caso in cui il discepolo dei nobili è dotato di fiducia verificata nel Risvegliato: “Realmente, il Beato è degno e perfettamente risvegliato, compiuto nella conoscenza diretta e nella condotta, ben andato, esperto del cosmo, insuperabile guida per coloro che devono essere domati, maestro di deva e di esseri umani, risvegliato, beato.” «È dotato di fiducia verificata nel Dhamma: “Il Dhamma è ben esposto dal Beato, visibile qui e ora, atemporale, che invita alla verifica, diretto, da realizzare personalmente dai saggi.” «È dotato di fiducia verificata nel Saṅgha: “Il Saṅgha dei discepoli del Beato ha ben praticato… ha praticato rettamente… ha praticato metodicamente… ha praticato con maestria—in altre parole, i quattro tipi di discepoli nobili, considerati a coppie, otto tipi se considerati individualmente—essi sono il Saṅgha dei discepoli del Beato: degno di offerte, degno di ospitalità, degno di doni, degno di rispetto, il campo di merito incomparabile per il mondo.”» «Egli (ella) è dotato/a di virtù gradite ai nobili: integre, non infrante, senza macchia, non contaminate, liberanti, lodate da chi osserva, non oggetto di attaccamento, che conducono alla concentrazione. «Questo, Ānanda, è il discorso di Dhamma chiamato Specchio del Dhamma, dotato del quale un discepolo dei nobili, se lo desidera, può dichiarare per sé: “L’inferno è finito per me; sono finite le rinascite nei grembi animali; è finito lo stato degli spiriti affamati; sono finiti i piani di privazione, le cattive destinazioni, i reami inferiori! Io sono un entrante-nella-corrente, mai più destinato ai reami inferiori, certo, avviato verso il risveglio!”» Durante il soggiorno nei pressi di Nādikā, nella Casa di Mattoni, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Nādikā finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso Vesālī.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò a Vesālī. Lì soggiornò nei pressi di Vesālī, nel boschetto di Ambapālī. E lì si rivolse ai monaci: «Monaci, siate consapevoli e vigili. Questo è il nostro insegnamento per voi tutti. E in che modo un monaco è consapevole? C’è il caso in cui un monaco resta concentrato sul corpo in quanto corpo—con ardore, vigilanza e consapevolezza—placando la brama e l’afflizione in relazione al mondo. Resta concentrato sulle sensazioni… sulla mente… sulle qualità mentali in quanto tali—con ardore, vigilanza e consapevolezza—placando la brama e l’afflizione in relazione al mondo. È così che un monaco è consapevole. E in che modo un monaco è vigile? Nel procedere in avanti e nel tornare indietro, è vigile; nel guardare avanti e nel distogliere lo sguardo… nel flettersi e nello stendere le membra… nel portare il mantello esterno, la veste superiore e la ciotola… nel mangiare, bere, masticare e gustare… nell’urinare e nel defecare… nel camminare, stare in piedi, sedersi, addormentarsi, svegliarsi, parlare e restare in silenzio, è vigile. È così che un monaco è vigile. Monaci, siate consapevoli e vigili. Questo è il nostro insegnamento per voi tutti.» Allora la cortigiana Ambapālī udì: «Si dice che il Beato sia giunto a Vesālī e che stia soggiornando nei pressi di Vesālī, nel mio boschetto di mango [amba]!» Allora, fatti aggiogare veicoli di buon auspicio, salì su un veicolo di buon auspicio, lasciò Vesālī con quei veicoli e si diresse verso il suo giardino [il boschetto]. Avanzando col veicolo fin dove il terreno lo permetteva, scese dal veicolo e si avvicinò al Beato a piedi. Una volta giunta, dopo essersi prosternata davanti a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduta lì, il Beato la istruì, la esortò, la ispirò e la incoraggiò con un discorso sul Dhamma. Poi Ambapālī la cortigiana—istruita, esortata, ispirata e incoraggiata dal discorso del Beato sul Dhamma—gli disse: «Signore, possa il Beato acconsentire al mio pasto di domani, insieme al Saṅgha dei monaci.» Il Beato acconsentì con il silenzio. Allora Ambapālī la cortigiana, avendo compreso il consenso del Beato, si alzò dal suo posto e, dopo essersi prosternata davanti a lui e averlo circumambulato, se ne andò. Poi i Licchavi di Vesālī vennero a sapere: «Si dice che il Beato sia giunto a Vesālī e che stia soggiornando nei pressi di Vesālī, nel boschetto di Ambapālī!» Allora, fatti aggiogare veicoli di buon auspicio, i Licchavi salirono sui veicoli di buon auspicio e lasciarono Vesālī con quei veicoli. Ora, alcuni di quei Licchavi erano di colore blu scuro, con carnagione blu scura, vestiti blu scuro e ornamenti blu scuro. Alcuni erano gialli, con carnagione gialla, abiti gialli e ornamenti gialli. Alcuni erano rossi, con carnagione rossa, abiti rossi e ornamenti rossi. Alcuni erano bianchi, con carnagione bianca, abiti bianchi e ornamenti bianchi. Allora Ambapālī la cortigiana, avanzando asse contro asse, ruota contro ruota, giogo contro giogo, bloccò il cammino di quei giovani Licchavi. E quei Licchavi le dissero: «Ehi, Ambapālī, che stai facendo—avanzando asse contro asse, ruota contro ruota, giogo contro giogo—fermi i giovani Licchavi?» «Perché, giovani signori, ho invitato il Beato, insieme al Saṅgha dei monaci, al pasto di domani!» «Dacci quel pasto, Ambapālī, per centomila!» «Anche se i signori mi dessero Vesālī con tutte le sue entrate, non rinuncerei comunque a un pasto così grande!» Allora i Licchavi schioccarono le dita: «Come siamo stati sconfitti dalla piccola Ambapālī! Come siamo stati raggirati dalla piccola Ambapālī!» Poi i Licchavi si diressero verso il boschetto di Ambapālī. Il Beato li vide arrivare da lontano e, vedendoli, disse ai monaci: «Quei monaci che non hanno mai visto prima i Deva dei Trentatré, guardino l’assemblea dei Licchavi! Osservino l’assemblea dei Licchavi! Considerino l’assemblea dei Licchavi come simile all’assemblea dei Trentatré!» Allora i Licchavi, avanzando con i loro veicoli fin dove il terreno lo permetteva, scesero e si avvicinarono al Beato a piedi. Una volta giunti, dopo essersi prosternati davanti a lui, si sedettero a un lato. Mentre erano seduti lì, il Beato li istruì, li esortò, li ispirò e li incoraggiò con un discorso sul Dhamma. Poi i Licchavi—istruiti, esortati, ispirati e incoraggiati dal discorso del Beato sul Dhamma—gli dissero: «Signore, possa il Beato acconsentire al nostro pasto di domani, insieme al Saṅgha dei monaci.» «Licchavi, ho già acconsentito al pasto offerto per domani da Ambapālī la cortigiana.» Allora i Licchavi schioccarono le dita: «Come siamo stati sconfitti dalla piccola Ambapālī! Come siamo stati raggirati dalla piccola Ambapālī!» Poi i Licchavi, compiacendosi e approvando le parole del Beato, si alzarono dai loro posti e, dopo essersi prosternati davanti a lui e averlo circumambulato, se ne andarono. Allora Ambapālī la cortigiana, sul finire della notte—dopo aver fatto preparare, nel suo giardino, cibo raffinato solido e non solido—annunciò al Beato che era giunto il momento: «È ora, signore. Il pasto è pronto.» Poi il Beato, di primo mattino, sistemata la veste inferiore e—presa la ciotola e la veste esterna—si recò, insieme al Saṅgha dei monaci, all’offerta di pasto di Ambapālī la cortigiana. Una volta arrivato, si sedette sul seggio preparato. Ambapālī la cortigiana, con le proprie mani, servì e soddisfò il Saṅgha dei monaci, con il Buddha alla testa, con cibo raffinato solido e non solido. Poi, quando il Beato ebbe terminato il pasto e si fu sciacquato ciotola e mani, Ambapālī la cortigiana, prendendo un sedile basso, si sedette a un lato. Mentre era seduta lì, disse al Beato: «Signore, offro questo giardino al Saṅgha dei monaci, con il Buddha alla guida.» Allora il Beato accettò il giardino. Poi—dopo aver istruito, esortato, ispirato e incoraggiato Ambapālī la cortigiana con un discorso sul Dhamma—si alzò dal suo posto e se ne andò. Durante il soggiorno nei pressi di Vesālī, nel boschetto di Ambapālī, il Beato offriva spesso questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nel boschetto di Ambapālī finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso il villaggio di Veḷuva.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò al villaggio di Veḷuva. Lì soggiornò nei pressi del villaggio di Veḷuva. E lì si rivolse ai monaci: «Venite, monaci, entrate nel ritiro delle Piogge nei dintorni di Vesālī con i vostri amici, conoscenti e compagni di pasto. Quanto a me, entrerò nel ritiro delle Piogge proprio qui, nei pressi del villaggio di Veḷuva.» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, i monaci entrarono nel ritiro delle Piogge nei dintorni di Vesālī con i loro amici, conoscenti e compagni di pasto. Il Beato entrò nel ritiro delle Piogge proprio lì, nei pressi del villaggio di Veḷuva. Poi nel Beato, una volta entrato nel ritiro delle Piogge, insorse una grave malattia, con dolori intensi e mortali. Ma il Beato la sopportò—consapevole, vigile, e non sopraffatto. Gli sorse questo pensiero: «Non sarebbe opportuno per me giungere alla completa estinzione senza aver prima parlato ai miei attendenti o preso congedo dal Saṅgha dei monaci. Perché non contrastare questa malattia con energia e continuare a mantenere attive le formazioni vitali?» Così il Beato, contrastando la malattia con energia, continuò a mantenere attive le formazioni vitali. E la sua malattia si placò. Poi il Beato—essendosi ristabilito dalla malattia, e non da molto—uscì dall’abitazione e si sedette su un seggio predisposto dietro la dimora. Allora il venerabile Ānanda si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato davanti a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, disse al Beato: «Che gioia vedere il Beato in salute! Che gioia vedere il Beato a suo agio! A causa della malattia del Beato, il mio stesso corpo sembrava intorpidito, come sotto effetto di farmaci. Ero disorientato. Tutto mi appariva confuso. E tuttavia, tra me e me, trovavo un certo conforto nel pensiero che il Beato non sarebbe giunto alla completa estinzione senza aver almeno lasciato qualche dichiarazione riguardo al Saṅgha dei monaci.» «Che altro desidera il Saṅgha dei monaci da me, Ānanda? Ho insegnato il Dhamma senza fare distinzione tra interno ed esterno. Il Tathāgata non ha pugni chiusi per quanto riguarda gli insegnamenti. «A chiunque sorga il pensiero: “Governerò il Saṅgha dei monaci” oppure “Il Saṅgha dei monaci dipende da me”, spetterebbe lasciare qualche dichiarazione riguardo al Saṅgha dei monaci. «Ma al Tathāgata non sorge il pensiero: “Governerò il Saṅgha dei monaci” oppure “Il Saṅgha dei monaci dipende da me.” Quindi, perché mai dovrebbe lasciare qualche dichiarazione in merito al Saṅgha dei monaci? «Ora sono anziano, Ānanda: vecchio, avanti negli anni, giunto all’ultima fase della vita, con ottant’anni. Proprio come un vecchio carro continua ad andare avanti solo con l’aiuto di cinghie di bambù, così il corpo del Tathāgata continua ad andare avanti, per così dire, con l’aiuto di cinghie di bambù. Quando il Tathāgata—non prestando attenzione ad alcun oggetto e con la cessazione di certe sensazioni—entra e dimora nella concentrazione della consapevolezza priva di oggetto, allora il suo corpo trova maggiore agio. Perciò, Ānanda, dovreste vivere tutti con voi stessi come isola, con voi stessi come rifugio, senza altro rifugio; con il Dhamma come isola, il Dhamma come rifugio, senza altro rifugio. E in che modo un monaco vive con se stesso come isola, con se stesso come rifugio, senza altro rifugio; con il Dhamma come isola, il Dhamma come rifugio, senza altro rifugio? C’è il caso in cui un monaco resta concentrato sul corpo in quanto corpo—con ardore, vigilanza e consapevolezza—placando brama e afflizione in relazione al mondo. Resta concentrato sulle sensazioni in quanto tali… sulla mente in quanto tale… sulle qualità mentali in quanto tali—con ardore, vigilanza e consapevolezza—placando brama e afflizione in relazione al mondo. È così che un monaco vive con se stesso come isola, con se stesso come rifugio, senza altro rifugio; con il Dhamma come isola, il Dhamma come rifugio, senza altro rifugio. Coloro che, ora o dopo la mia dipartita, vivranno con se stessi come isola, con se stessi come rifugio, senza altro rifugio; con il Dhamma come isola, il Dhamma come rifugio, non con un altro come rifugio—saranno i miei monaci eminenti: coloro che desiderano l’addestramento.» 3 Poi il Beato, di primo mattino, sistemata la veste inferiore e—presa la ciotola e la veste esterna—entrò a Vesālī per l’elemosina. Dopo essere andato in cerca di elemosina a Vesālī, al termine del pasto, tornando dal suo giro, si rivolse al venerabile Ānanda: «Prendi un telo da seduta, Ānanda. Andremo al santuario di Pāvāla per trascorrere la giornata.» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il venerabile Ānanda lo seguì portando il telo da seduta. Allora il Beato si recò al santuario di Pāvāla e, una volta giunto, si sedette sul seggio predisposto. Seduto, il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Vesālī è piacevole, Ānanda. Piacevoli sono anche il santuario di Udena, il santuario di Gotamaka, il santuario di Sattamba, il santuario di ManySon, il santuario di Sāranda, il santuario di Pāvāla.» «Chiunque, Ānanda, abbia sviluppato le quattro basi del potere—le abbia coltivate, fornite di mezzi di applicazione, fondate, stabilizzate, consolidate e ben praticate—potrebbe, se lo desiderasse, restare per un eone o per il resto di un eone. Nel Tathāgata, Ānanda, le quattro basi del potere sono sviluppate, coltivate, fornite di mezzi di applicazione, fondate, stabilizzate, consolidate e ben praticate. Egli potrebbe—se lo desiderasse—restare per un eone o per il resto di un eone.» Ma il venerabile Ānanda—pur quando il Beato aveva dato un segno così evidente, un’allusione così chiara—non fu in grado di coglierne il significato. Non lo supplicò dicendo: «Signore, possa il Beato restare per un eone. Possa il Ben Andato restare per un eone—per il beneficio di molti, per la felicità di molti, per compassione verso il mondo, per il benessere, il beneficio e la felicità degli esseri umani e dei deva.» Era come se la sua mente fosse posseduta da Māra. Una seconda volta… Una terza volta, il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Vesālī è piacevole, Ānanda. Piacevoli sono anche il santuario di Udena, il santuario di Gotamaka, il santuario di Sattamba, il santuario di ManySon, il santuario di Sāranda, il santuario di Pāvāla. «Chiunque, Ānanda, abbia sviluppato le quattro basi del potere—le abbia coltivate, fornite di mezzi di applicazione, fondate, stabilizzate, consolidate e ben praticate—potrebbe, se lo desiderasse, restare per un eone o per il resto di un eone. Nel Tathāgata, Ānanda, le quattro basi del potere sono sviluppate, coltivate, fornite di mezzi di applicazione, fondate, stabilizzate, consolidate e ben praticate. Egli potrebbe—se lo desiderasse—restare per un eone o per il resto di un eone.» Ma il venerabile Ānanda—pur quando il Beato aveva dato un segno così evidente, un’allusione così chiara—non fu in grado di coglierne il significato. Non gli chiese: «Signore, possa il Beato restare per un eone. Possa il Ben Andato restare per un eone—per il beneficio di molti, per la felicità di molti, per compassione verso il mondo, per il benessere, il beneficio e la felicità degli esseri umani e dei deva.» Era come se la sua mente fosse posseduta da Māra. Allora il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Va’, Ānanda. Fa’ ciò che ora ritieni opportuno fare.» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il venerabile Ānanda si alzò dal suo posto e, dopo essersi prosternato davanti a lui e averlo circumambulato, andò a sedersi sotto un albero non lontano dal Beato. Allora, non molto dopo che il venerabile Ānanda se ne fu andato, Māra, il Malvagio, si recò dal Beato e, una volta giunto, si fermò a un lato. Stando lì, disse al Beato: «Possa ora il Beato giungere alla completa estinzione, signore. Possa ora il Ben Andato giungere alla completa estinzione, signore. Ora è il momento, signore, per la completa estinzione del Beato. In fondo, queste furono le parole dette dal Beato: “O Malvagio, non giungerò alla completa estinzione finché i miei discepoli monaci non saranno ancora esperti, addestrati, saldi nella fiducia, istruiti, custodi del Dhamma, praticanti il Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti abili, viventi in conformità con il Dhamma; che espongano il Dhamma—dopo averlo appreso dai propri maestri—che lo insegnino, lo descrivano, lo illustrino, lo rivelino, lo spieghino, lo rendano chiaro; che sappiano confutare in modo adeguato, secondo il Dhamma, ogni insegnamento avverso che possa emergere; che insegnino il Dhamma con tutte le sue meraviglie.”» «Ma ora, signore, i discepoli monaci del Beato sono esperti, addestrati, saldi nella fiducia, istruiti, custodi del Dhamma, praticanti il Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti abili, viventi in conformità con il Dhamma; espongono il Dhamma—dopo averlo appreso dai loro maestri—lo insegnano, lo descrivono, lo illustrano, lo rivelano, lo spiegano, lo rendono chiaro; confutano in modo adeguato, secondo il Dhamma, ogni insegnamento avverso che possa emergere; insegnano il Dhamma con tutte le sue meraviglie. Possa ora il Beato giungere alla completa estinzione, signore. Possa ora il Ben Andato giungere alla completa estinzione, signore. Ora è il momento, signore, per la completa estinzione del Beato. In fondo, queste furono le parole dette dal Beato: “O Malvagio, non giungerò alla completa estinzione finché le mie discepole monache… i miei discepoli laici… le mie discepole laiche non saranno ancora esperti, addestrati, maturi, istruiti, custodi del Dhamma, praticanti il Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti abili, viventi in conformità con il Dhamma; che espongano il Dhamma—dopo averlo appreso dai propri maestri—che lo insegnino, lo descrivano, lo illustrino, lo rivelino, lo spieghino, lo rendano chiaro; che sappiano confutare in modo adeguato, secondo il Dhamma, ogni insegnamento avverso che possa emergere; che insegnino il Dhamma con tutte le sue meraviglie.” «Ma ora, signore, anche le discepole laiche del Beato sono esperte, addestrate, mature, istruite, custodi del Dhamma, praticanti il Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti abili, viventi in conformità con il Dhamma; espongono il Dhamma—dopo averlo appreso dai loro maestri—lo insegnano, lo descrivono, lo illustrano, lo rivelano, lo spiegano, lo rendono chiaro; confutano in modo adeguato, secondo il Dhamma, ogni insegnamento avverso che possa emergere; insegnano il Dhamma con tutte le sue meraviglie. «Possa ora il Beato giungere alla completa estinzione, signore. Possa ora il Ben Andato giungere alla completa estinzione, signore. Ora è il momento, signore, per la completa estinzione del Beato. In fondo, queste furono le parole dette dal Beato: “O Malvagio, non giungerò alla completa estinzione finché questa mia vita santa non sia potente, prospera, largamente diffusa, propagata tra molti, ben spiegata ovunque vi siano esseri umani e deva.” Ma ora, signore, la vita santa del Beato è potente, prospera, largamente diffusa, propagata tra molti, ben spiegata ovunque vi siano esseri umani e deva. «Possa ora il Beato giungere alla completa estinzione, signore. Possa ora il Ben Andato giungere alla completa estinzione, signore. Ora è il momento, signore, per la completa estinzione del Beato.» Quando ciò fu detto, il Beato disse a Māra, il Malvagio: «Rilassati, Malvagio. Non passerà molto tempo prima della totale estinzione del Tathāgata. Fra tre mesi da ora, il Tathāgata giungerà alla completa estinzione.» Così, presso il santuario di Pāvāla—consapevole e vigile—il Beato rinunciò alle formazioni della vita. E mentre il Beato rinunciava alle formazioni della vita, vi fu un grande terremoto, imponente e sconvolgente, e rulli di tamburi dei deva squarciarono l’aria. Allora, comprendendone il significato, il Beato in quell’occasione esclamò: Paragonando l’ineguagliabile con il venire-all’esistenza, il saggio rinunciò alla formazione del divenire. Gioioso interiormente, centrato, egli spezzò il proprio venire-all’esistenza come una corazza. Allora questo pensiero sorse nel venerabile Ānanda: «Straordinario! Incredibile! Che grande terremoto! Che immenso terremoto, imponente e sconvolgente, e rulli di tamburi dei deva hanno squarciato l’aria! Qual è la ragione, qual è la causa dell’apparizione di questo grande terremoto?» Così il venerabile Ānanda si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato, si sedette a un lato. Seduto lì, disse al Beato: «Straordinario, signore! Incredibile! Che grande terremoto! Che immenso terremoto, imponente e sconvolgente, e rulli di tamburi hanno squarciato l’aria! Qual è, signore, la ragione, qual è la causa dell’apparizione di questo grande terremoto?» «Ānanda, vi sono otto motivi, otto cause, per l’apparizione di un grande terremoto. Quali otto? «Questa grande terra, Ānanda, è stabilita sull’acqua. L’acqua è stabilita sul vento. Il vento si appoggia allo spazio. Giunge il momento in cui soffia un grande vento. Il grande vento, soffiando, scuote l’acqua. L’acqua, scossa, scuote la terra. Questa è la prima ragione, la prima causa, dell’apparizione di un grande terremoto. «Poi, Ānanda, giunge il momento in cui un brahman potente, con padronanza della mente, oppure un deva di grande forza, di grande potere, ha sviluppato una percezione limitata della terra e una percezione illimitata del liquido. Egli fa tremare, vibrare e scuotere la terra. Questa è la seconda ragione… «Poi, Ānanda, quando il bodhisatta, cadendo dal gruppo dei Tusita, con consapevolezza e presenza mentale, discende nel grembo di sua madre, la terra trema, vibra e si scuote. Questa è la terza ragione… «Poi, Ānanda, quando il bodhisatta, consapevole e attento, emerge dal grembo di sua madre, la terra trema, vibra e si scuote. Questa è la quarta ragione… «Poi, Ānanda, quando il Tathāgata si risveglia al sommo, perfetto risveglio, la terra trema, vibra e si scuote. Questa è la quinta ragione… «Poi, Ānanda, quando il Tathāgata mette in moto la ruota del Dhamma impareggiabile, la terra trema, vibra e si scuote. Questa è la sesta ragione… «Poi, Ānanda, quando il Tathāgata, consapevole e attento, rinuncia alle formazioni della vita, la terra trema, vibra e si scuote. Questa è la settima ragione… «Poi, Ānanda, quando il Tathāgata, tramite la proprietà della liberazione senza residui, giunge alla totale estinzione, la terra trema, vibra e si scuote. Questa è l’ottava ragione, l’ottava causa, per l’apparizione di un grande terremoto. «Queste sono le otto ragioni, le otto cause, per l’apparizione di un grande terremoto. «Ānanda, vi sono queste otto assemblee. Quali otto? Un’assemblea di nobili guerrieri, un’assemblea di brahmani, un’assemblea di capifamiglia, un’assemblea di contemplativi, un’assemblea dei Quattro Grandi Re, un’assemblea dei Trentasette Deva, un’assemblea di Māra, un’assemblea di Brahmā. «Ricordo d’essermi avvicinato a molte centinaia di assemblee di nobili guerrieri. Là — prima di sedermi, prima di parlare, prima di intavolare conversazione — assumevo l’aspetto che avevano loro, adottavo l’accento che avevano loro. E li istruivo, li esortavo, li risvegliavo e li incoraggiavo con un discorso sul Dhamma. Mentre parlavo, non sapevano chi fossi: “Chi è costui che parla — un deva o un essere umano?” Dopo averli istruiti, esortati, risvegliati e incoraggiati con un discorso sul Dhamma, sparivo. E quando ero sparito, non sapevano chi fossi: “Chi è costui che è sparito — un deva o un essere umano?” «Ricordo d’essermi avvicinato a molte centinaia di assemblee di brahmani… molte centinaia di assemblee di capifamiglia… molte centinaia di assemblee di contemplativi… molte centinaia di assemblee dei Quattro Grandi Re… molte centinaia di assemblee dei Trentasette Deva… molte centinaia di assemblee di Māra… «Ricordo d’essermi avvicinato a molte centinaia di assemblee di Brahmā. Là — prima di sedermi, prima di parlare, prima di intavolare conversazione — assumevo l’aspetto che avevano loro, adottavo l’accento che avevano loro. E li istruivo, li esortavo, li risvegliavo e li incoraggiavo con un discorso sul Dhamma. Mentre parlavo, non sapevano chi fossi: “Chi è costui che parla — un deva o un essere umano?” Dopo averli istruiti, esortati, risvegliati e incoraggiati con un discorso sul Dhamma, sparivo. E quando ero sparito, non sapevano chi fossi: “Chi è costui che è sparito — un deva o un essere umano?” «Ānanda, vi sono queste otto dimensioni della padronanza (mentale). Quali otto? «Avendo un’unica percezione della forma internamente, si vedono forme esterne come limitate, belle e brutte. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la prima dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione della forma internamente, si vedono forme esterne come illimitate, belle e brutte. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la seconda dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come limitate, belle e brutte. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la terza dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come illimitate, belle e brutte. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la quarta dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come blu, blu nel loro colore, blu nelle loro caratteristiche, blu nel loro splendore. Proprio come il fiore del lino è blu, blu nel suo colore, blu nelle sue caratteristiche, blu nel suo splendore, oppure come il mussola di Bārāṇasī, liscia da entrambi i lati, è blu, blu nel suo colore, blu nelle sue caratteristiche, blu nel suo splendore; allo stesso modo, avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come blu, blu nel loro colore, blu nelle loro caratteristiche, blu nel loro splendore. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la quinta dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come gialle, gialle nel loro colore, gialle nelle loro caratteristiche, gialle nel loro splendore. Proprio come il fiore di kaṇṇikāra è giallo, giallo nel suo colore, giallo nelle sue caratteristiche, giallo nel suo splendore, oppure come il mussola di Bārāṇasī, liscia da entrambi i lati, è gialla, gialla nel suo colore, gialla nelle sue caratteristiche, gialla nel suo splendore; allo stesso modo, avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come gialle, gialle nel loro colore, gialle nelle loro caratteristiche, gialle nel loro splendore. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la sesta dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come rosse, rosse nel loro colore, rosse nelle loro caratteristiche, rosse nel loro splendore. Proprio come il fiore di bandhu-jīvaka è rosso, rosso nel suo colore, rosso nelle sue caratteristiche, rosso nel suo splendore, oppure come il mussola di Bārāṇasī, liscia da entrambi i lati, è rossa, rossa nel suo colore, rossa nelle sue caratteristiche, rossa nel suo splendore; allo stesso modo, avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come rosse, rosse nel loro colore, rosse nelle loro caratteristiche, rosse nel loro splendore. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è la settima dimensione della padronanza (mentale). «Avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come bianche, bianche nel loro colore, bianche nelle loro caratteristiche, bianche nel loro splendore. Proprio come la stella del mattino è bianca, bianca nel suo colore, bianca nelle sue caratteristiche, bianca nel suo splendore, oppure come il mussola di Bārāṇasī, liscia da entrambi i lati, è bianca, bianca nel suo colore, bianca nelle sue caratteristiche, bianca nel suo splendore; allo stesso modo, avendo un’unica percezione informe internamente, si vedono forme esterne come bianche, bianche nel loro colore, bianche nelle loro caratteristiche, bianche nel loro splendore. Dominandole, si ha la percezione: “So; vedo.” Questa è l’ottava dimensione della padronanza (mentale). «Queste, Ānanda, sono le otto dimensioni della padronanza (mentale). «Ānanda, vi sono queste otto liberazioni. Quali otto? «Essendo in possesso della forma, si vedono forme. Questa è la prima liberazione. «Non percependo forme internamente, si vedono forme esternamente. Questa è la seconda liberazione. «Si è intenti solo su ciò che è bello. Questa è la terza liberazione. «Con il completo superamento delle percezioni della forma (fisica), con la scomparsa delle percezioni di resistenza e senza prestare attenzione alle percezioni di molteplicità, (percependo:) “Spazio infinito”, si entra e si dimora nella dimensione dell’infinità dello spazio. Questa è la quarta liberazione. «Con il completo superamento della dimensione dell’infinità dello spazio, (percependo:) “Coscienza infinita”, si entra e si dimora nella dimensione dell’infinità della coscienza. Questa è la quinta liberazione. «Con il completo superamento della dimensione dell’infinità della coscienza, (percependo:) “Non c’è nulla”, si entra e si dimora nella dimensione del nulla. Questa è la sesta liberazione. «Con il completo superamento della dimensione del nulla, si entra e si dimora nella dimensione né-percezione-né-non-percezione. Questa è la settima liberazione. «Con il completo superamento della dimensione né-percezione-né-non-percezione, si entra e si dimora nella cessazione della percezione e del sentimento. Questa è l’ottava liberazione. «Queste, Ānanda, sono le otto liberazioni. «Una volta, Ānanda, stavo soggiornando a Uruvelā, sulla riva del fiume Nerañjarā, presso il Banyan del Capraio, appena risvegliato. Allora Māra, il Malvagio, si avvicinò a me e, giunto lì, rimase in piedi a un lato. Mentre stava lì, mi disse: “Possa il Beato estinguersi completamente ora, signore. Possa il Ben Andato estinguersi completamente ora, signore. Ora è il momento per l’estinzione completa del Beato, signore.” «Quando ciò fu detto, io dissi a Māra, il Malvagio: “Malvagio, io non mi estinguerò completamente finché i miei discepoli monaci non saranno ancora esperti, addestrati, giunti alla fiducia, eruditi, custodi del Dhamma, praticanti del Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti con maestria, viventi in accordo con il Dhamma; che espongano il Dhamma—dopo averlo appreso dai loro stessi maestri—lo insegnino, lo descrivano, lo illustrino, lo rivelino, lo spieghino, lo rendano chiaro; che sappiano confutare, in accordo con il Dhamma, qualunque dottrina opposta che sia sorta; che insegnino il Dhamma con le sue meraviglie.” «“Malvagio, io non mi estinguerò completamente finché le mie discepole monache… i miei discepoli laici… le mie discepole laiche non saranno ancora esperti, addestrati, giunti alla maturità, eruditi, custodi del Dhamma, praticanti del Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti con maestria, viventi in accordo con il Dhamma; che espongano il Dhamma—dopo averlo appreso dai loro stessi maestri—lo insegnino, lo descrivano, lo illustrino, lo rivelino, lo spieghino, lo rendano chiaro; che sappiano confutare, in accordo con il Dhamma, qualunque dottrina opposta che sia sorta; che insegnino il Dhamma con le sue meraviglie.” «“Maledetto, io non mi estinguerò del tutto finché i miei discepoli monaci non siano ancora esperti, addestrati, giunti alla fiducia, sapienti, custodi del Dhamma, praticanti il Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti con maestria, viventi in accordo con il Dhamma; proclamanti il Dhamma – dopo averlo appreso dai propri maestri – insegnandolo, descrivendolo, esponendolo, rivelandolo, spiegandolo, rendendolo chiaro; ben capaci di confutare, in accordo con il Dhamma, qualsiasi insegnamento opposto che possa sorgere; insegnando il Dhamma con le sue meraviglie. «“Maledetto, io non mi estinguerò del tutto finché le mie discepole monache… i miei discepoli laici uomini… le mie discepole laiche donne non siano ancora esperti, addestrati, giunti alla maturità, sapienti, custodi del Dhamma, praticanti il Dhamma in accordo con il Dhamma, praticanti con maestria, viventi in accordo con il Dhamma; proclamanti il Dhamma – dopo averlo appreso dai propri maestri – insegnandolo, descrivendolo, esponendolo, rivelandolo, spiegandolo, rendendolo chiaro; ben capaci di confutare, in accordo con il Dhamma, qualsiasi insegnamento opposto che possa sorgere; insegnando il Dhamma con le sue meraviglie. «“Maledetto, io non mi estinguerò del tutto finché questa mia vita santa non sarà potente, prospera, ampiamente diffusa, propagata tra molti, ben esposta fin dove vi siano esseri umani e dèi.”» «E proprio ora, Ānanda, qui presso il santuario di Pāvāla, Māra il Maledetto mi si è avvicinato e, giunto al mio cospetto, è rimasto in piedi da un lato. E rimanendo lì, mi ha detto: “Che il Beato si estingua ora, signore. Che il Ben Andato si estingua ora, signore. Ora è il momento per la completa estinzione del Beato, signore. Dopo tutto, queste parole furono pronunciate dal Beato: ‘Maledetto, io non mi estinguerò del tutto finché i miei discepoli monaci non siano ancora esperti… finché la mia vita santa non sarà potente, prospera, ampiamente diffusa, propagata tra molti, ben esposta fin dove vi siano esseri umani e dèi.’ Ma ora, signore, la vita santa del Beato è potente, prospera, ampiamente diffusa, propagata tra molti, ben esposta fin dove vi siano esseri umani e dèi. «“Che il Beato si estingua ora, signore. Che il Ben Andato si estingua ora, signore. Ora è il momento per la completa estinzione del Beato, signore.” «E quando queste parole furono dette, io dissi a Māra, il Maledetto: “Rilassati, Maledetto. Non passerà molto tempo prima che il Tathāgata si estingua del tutto. Tra tre mesi da ora, il Tathāgata si estinguerà del tutto.” «Proprio ora, Ānanda, qui presso il santuario di Pāvāla – consapevole e attento – ho abbandonato le formazioni della vita. Quando questo fu detto, il Ven. Ānanda disse al Beato: «Signore, possa il Beato restare per un eone. Possa il Ben-Andato restare per un eone—per il beneficio di molti, per la felicità di molti, per compassione verso il mondo, per il benessere, il beneficio e la felicità di esseri umani e dèi.» «Basta così, Ānanda. Non supplicare il Tathāgata. Ora non è il momento di supplicare il Tathāgata.» Una seconda volta… Una terza volta, il Ven. Ānanda disse al Beato: «Signore, possa il Beato restare per un eone. Possa il Ben-Andato restare per un eone—per il beneficio di molti, per la felicità di molti, per compassione verso il mondo, per il benessere, il beneficio e la felicità di esseri umani e dèi.» «Ānanda, hai fiducia nel risveglio del Tathāgata?» «Sì, signore.» «Allora perché, Ānanda, molesti il Tathāgata fino a tre volte?» «Faccia a faccia con il Beato ho udito questo, faccia a faccia ho ricevuto questo: “Chiunque, Ānanda, in cui le quattro basi del potere siano sviluppate, coltivate, dotate di mezzo di trasporto, fondate, stabilizzate, consolidate e ben intraprese, potrebbe—se lo desiderasse—restare per un eone o per ciò che resta di un eone. Nel Tathāgata, Ānanda, le quattro basi del potere sono sviluppate, coltivate, dotate di mezzo di trasporto, fondate, stabilizzate, consolidate e ben intraprese. Potrebbe—se lo desiderasse—restare per un eone o per ciò che resta di un eone.”» «Una volta, Ānanda, mi trovavo proprio là, nei pressi di Rājagaha, presso il fico banyan dei Gotama… proprio là, nei pressi di Rājagaha, alla Rupe dei Briganti… proprio là, nei pressi di Rājagaha, nella Grotta di Sattapaṇṇa… proprio là, nei pressi di Rājagaha, alla Roccia Nera sul Monte Isigili… proprio là, nei pressi di Rājagaha, sotto la sporgenza rocciosa alla Sorgente dei Serpenti, nella Foresta Fresca… proprio là, nei pressi di Rājagaha, nel Parco di Tapodā… proprio là, nei pressi di Rājagaha, nella Foresta di Bambù, presso il Luogo d’Alimentazione degli Scoiattoli… proprio là, nei pressi di Rājagaha, nel Bosco di Mango di Jīvaka… proprio là, nei pressi di Rājagaha, nel Parco dei Cervi di Maddakucchi. Anche lì ti dissi: “Rājagaha è ristoratrice, Ānanda. Ristoratori sono anche il Picco dell’Avvoltoio, il fico banyan dei Gotama, la Rupe dei Briganti, la Grotta di Sattapaṇṇa, la Roccia Nera sul Monte Isigili, la sporgenza rocciosa alla Sorgente dei Serpenti nella Foresta Fresca, il Parco di Tapodā, la Foresta di Bambù, il Luogo d’Alimentazione degli Scoiattoli, il Bosco di Mango di Jīvaka, il Parco dei Cervi di Maddakucchi. Chiunque, Ānanda, in cui le quattro basi del potere siano sviluppate, coltivate, dotate di mezzo di trasporto, fondate, stabilizzate, consolidate e ben intraprese, potrebbe—se lo desiderasse—restare per un eone o per ciò che resta di un eone. Nel Tathāgata, Ānanda, le quattro basi del potere sono sviluppate, coltivate, dotate di mezzo di trasporto, fondate, stabilizzate, consolidate e ben intraprese. Potrebbe—se lo desiderasse—restare per un eone o per ciò che resta di un eone.” Ma tu, Ānanda—anche quando il Tathāgata ti aveva dato un segno così esplicito, un’allusione così chiara—non sei stato in grado di comprenderne il significato. Non hai supplicato il Tathāgata dicendo: “Signore, possa il Beato restare per un eone. Possa il Ben-Andato restare per un eone—per il beneficio di molti, per la felicità di molti, per compassione verso il mondo, per il benessere, il beneficio e la felicità di esseri umani e dèi.” Se avessi supplicato il Tathāgata due volte, il Tathāgata avrebbe rifiutato, ma alla terza avrebbe acconsentito. La colpa è tua, Ānanda. Tuo l’errore. «Ma allora, Ānanda, non ho forse—con cautela—indicato il divenire differente, il divenire separato, il divenire altrimenti di tutto ciò che è caro e gradevole? Cos’altro c’è da aspettarsi? Che di qualcosa nato, divenuto, formato, soggetto a disintegrazione, di cui uno possa dire: “Oh, possa non disintegrarsi”? Questa possibilità non esiste. Ed è proprio questo che il Tathāgata ha eliminato, rigettato, abbandonato, lasciato andare, rifiutato. È stato con l’abbandono delle formazioni vitali che fu pronunciata questa affermazione categorica: “Non passerà molto tempo prima che il Tathāgata si estingua completamente. Tra tre mesi da ora, il Tathāgata si estinguerà completamente.” Che il Tathāgata, per amore della vita, possa revocare ciò: questa possibilità non esiste. Allora il Beato, insieme al Venerabile Ānanda, si recò nella Grande Foresta e nella Sala a Spioventi. Giunto sul posto, il Beato disse al Venerabile Ānanda: «Va’, Ānanda. Fa’ radunare tutti i monaci che vivono in dipendenza da Vesālī nella sala delle assemblee.» Rispondendo: «Come dici tu, signore», al Beato, il Venerabile Ānanda—dopo aver fatto radunare tutti i monaci che vivevano in dipendenza da Vesālī nella sala delle assemblee—si avvicinò al Beato. Una volta giunto, dopo essersi prosternato, rimase in piedi accanto a lui. E stando lì disse al Beato: «La Saṅgha dei monaci si è radunata, signore. Che il Beato faccia ciò che ritiene ora opportuno fare.» «Andiamo, ora, Ānanda. Ci dirigeremo verso la Sala a Spioventi nella Grande Foresta. «Come dici tu, signore», rispose il Venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme al Venerabile Ānanda, si recò nella Grande Foresta e nella Sala a Spioventi. Giunto sul posto, il Beato disse al Venerabile Ānanda: «Va’, Ānanda. Fa’ radunare tutti i monaci che vivono in dipendenza da Vesālī nella sala delle assemblee.» Rispondendo: «Come dici tu, signore», al Beato, il Venerabile Ānanda—dopo aver fatto radunare tutti i monaci che vivevano in dipendenza da Vesālī nella sala delle assemblee—si avvicinò al Beato. Una volta giunto, dopo essersi prosternato, rimase in piedi accanto a lui. E stando lì disse al Beato: «La Saṅgha dei monaci si è radunata, signore. Che il Beato faccia ciò che ritiene ora opportuno fare.» Allora il Beato si recò nella sala delle assemblee e, una volta giunto, si sedette sul sedile predisposto. Sedutosi, si rivolse ai monaci: «Monaci, le qualità che vi ho insegnato, avendole conosciute direttamente: dovreste afferrarle saldamente, coltivarle, svilupparle e perseguirle affinché questa vita santa possa durare a lungo e rimanere salda, per il beneficio, il benessere e la felicità della moltitudine, per compassione verso il mondo, per il beneficio, il benessere e la felicità degli esseri umani e dei deva. E quali sono le qualità che ho insegnato… per il beneficio, il benessere e la felicità degli esseri umani e dei deva? I quattro fondamenti della consapevolezza, i quattro sforzi retti, le quattro basi del potere, le cinque facoltà, le cinque forze, i sette fattori del risveglio, il nobile ottuplice sentiero. Queste sono le qualità che ho insegnato, avendole conosciute direttamente, che dovreste afferrare saldamente, coltivare, sviluppare e perseguire affinché questa vita santa possa durare a lungo e rimanere salda, per il beneficio, il benessere e la felicità della moltitudine, per compassione verso il mondo, per il beneficio, il benessere e la felicità degli esseri umani e dei deva.» Allora il Beato si rivolse ai monaci: «Vi esorto, monaci: tutte le formazioni sono soggette al disfacimento. Raggiungete il compimento attraverso la presenza mentale. Non passerà molto tempo prima della totale estinzione del Tathāgata. Tra tre mesi da ora, il Tathāgata si estinguerà completamente.» Questo è ciò che disse il Beato. E dopo averlo detto, il Sublime aggiunse: Giovani e anziani, saggi e stolti, ricchi e poveri: tutti finiscono per morire. Come i vasi d’argilla del vasaio, grandi e piccoli, cotti e crudi, tutti finiscono per rompersi, così anche la vita conduce alla morte. Poi il Maestro disse ancora: Matura è la mia età, poca la vita che ancora mi resta. Lasciandovi, andrò via, avendo fatto di me stesso un rifugio. Siate diligenti, monaci, consapevoli, virtuosi. Con i vostri intenti ben concentrati, custodite la mente. Colui che, in questo Dhamma e Vinaya, dimora diligente, abbandonando il vagare attraverso le nascite, metterà fine alla sofferenza. 4 Allora il Beato, di buon mattino, sistemò la veste inferiore e — presa la ciotola e la veste esterna — entrò a Vesālī per l’elemosina. Dopo aver raccolto l’elemosina a Vesālī, al termine del pasto, tornando dal giro dell’elemosina e volgendo su Vesālī uno sguardo d’elefante, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, questo è l’ultimo sguardo che il Tathāgata rivolge a Vesālī. Su, Ānanda, andiamo al villaggio di Bhaṇḍa.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a una grande Saṅgha di monaci, si recò al villaggio di Bhaṇḍa. Lì, il Beato dimorò nei pressi del villaggio di Bhaṇḍa. E lì si rivolse ai monaci: «Per non aver compreso e penetrato quattro qualità, monaci, abbiamo errato e vagato a lungo, io e voi. Quali quattro? «Per non aver compreso e penetrato la nobile virtù, abbiamo errato e vagato a lungo, io e voi. Per non aver compreso e penetrato la nobile concentrazione… per non aver compreso e penetrato la nobile saggezza… per non aver compreso e penetrato la nobile liberazione, abbiamo errato e vagato a lungo, io e voi. «(Ma ora) questa nobile virtù è stata compresa e penetrata, la nobile concentrazione è stata compresa e penetrata, la nobile saggezza è stata compresa e penetrata, la nobile liberazione è stata compresa e penetrata. Il desiderio di esistere è stato annientato, la guida all’esistenza [cioè la brama] è terminata. Non c’è più ulteriore divenire.» Così disse il Beato. E, dopo averlo detto, il Maestro, il Ben Andato, proseguì: Virtù, concentrazione, saggezza e l’insuperabile liberazione: queste qualità sono state realizzate da Gotama, l’illustre. Avendole conosciute direttamente, le mostra ai monaci— il risvegliato, il maestro che ha posto fine al dolore, colui che ha gli occhi, pienamente liberato. Mentre si trovava presso il villaggio di Bhaṇḍa, il Beato offriva spesso questo discorso sul Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è la comprensione. La concentrazione coltivata con la virtù è di grande frutto, grande ricompensa. La comprensione coltivata con la concentrazione è di grande frutto, grande ricompensa. La mente coltivata con la comprensione è correttamente liberata dalle contaminazioni, cioè la contaminazione della sensualità, la contaminazione del divenire, la contaminazione dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi del villaggio di Bhaṇḍa finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, andiamo al villaggio di Hatthi, al villaggio di Amba, al villaggio di Jambu, fino a Bhoganagara.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un vasto Saṅgha di monaci, si recò a Bhoganagara. Lì il Beato soggiornò nei pressi di Bhoganagara presso il santuario di Ānanda. Lì il Beato si rivolse ai monaci: «Monaci, vi insegnerò quattro grandi criteri. Ascoltate e prestate attenta attenzione.» «Così sia, signore», risposero i monaci al Beato. Il Beato disse: «C’è il caso in cui un monaco dice: “Faccia a faccia con il Beato ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” La sua affermazione non va né approvata né disprezzata. Senza approvazione né disprezzo, prendete attentamente nota delle sue parole e confrontatele con i Sutta e verificatele in base al Vinaya. Se, mettendole a confronto con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che non concordano con i Sutta né con il Vinaya, potete concludere: “Questa non è parola del Beato; questo monaco l’ha fraintesa” – e dovreste rigettarla. Ma se, confrontandole con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che concordano con i Sutta e con il Vinaya, potete concludere: “Questa è parola del Beato; questo monaco l’ha compresa correttamente.” «Poi c’è il caso in cui un monaco dice: “In un monastero laggiù risiede un Saṅgha con noti e rispettati anziani. Faccia a faccia con quel Saṅgha ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” … «Poi c’è il caso in cui un monaco dice: “In un monastero laggiù risiedono molti monaci anziani eruditi, esperti nella tradizione, che hanno memorizzato il Dhamma, il Vinaya e la Mātikā.35 Faccia a faccia con quegli anziani ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” … «Poi c’è il caso in cui un monaco dice: “In un monastero laggiù risiede un monaco anziano erudito, esperto nella tradizione, che ha memorizzato il Dhamma, il Vinaya e la Mātikā. Faccia a faccia con quell’anziano ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” La sua affermazione non va né approvata né disprezzata. Senza approvazione né disprezzo, prendete attentamente nota delle sue parole e confrontatele con i Sutta e verificatele in base al Vinaya. Se, mettendole a confronto con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che non concordano con i Sutta né con il Vinaya, potete concludere: “Questa non è parola del Beato; questo monaco l’ha fraintesa” – e dovreste rigettarla. Ma se, confrontandole con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che concordano con i Sutta e con il Vinaya, potete concludere: “Questa è parola del Beato; questo monaco l’ha compresa correttamente.” «Monaci, ricordate questi quattro grandi criteri.» Mentre soggiornava lì vicino a Bhoganagara, presso il santuario di Ānanda, il Beato spesso rivolse ai monaci questo discorso sul Dhamma: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione coltivata con la virtù ha grandi frutti, grande beneficio. Il discernimento coltivato con la concentrazione ha grandi frutti, grande beneficio. La mente coltivata con il discernimento è giustamente liberata dalle contaminazioni, ossia la contaminazione della sensualità, la contaminazione del divenire, la contaminazione dell’ignoranza.» Poi il Beato, dopo aver soggiornato vicino a Bhoganagara presso il santuario di Ānanda quanto desiderava, disse al venerabile Ānanda: «Su, Ānanda, andiamo a Pāvā.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò a Pāvā. Lì il Beato soggiornò vicino a Pāvā, nel boschetto di mango di Cunda, il fabbro d’argento. Cunda il fabbro d’argento udì: «Dicono che il Beato, giunto a Pāvā, stia soggiornando presso Pāvā, nel mio boschetto di mango.» Allora Cunda si recò dal Beato e, giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Seduto lì, il Beato lo istruì, lo esortò, lo spronò e lo incoraggiò con un discorso sul Dhamma. Poi Cunda—istruito, esortato, spronato e incoraggiato dal discorso sul Dhamma del Beato—gli disse: «Signore, che il Beato acconsenta a prendere il pasto da me domani, insieme al Saṅgha dei monaci.» Il Beato acconsentì con il silenzio. Cunda, comprendendo l’acquiescenza del Beato, si alzò dal suo posto e, prosternandosi e girandogli attorno con rispetto, se ne andò. Poi, sul finire della notte, dopo aver fatto preparare nella propria casa squisiti cibi base e secondari—compresa una grande quantità di delizia di maiale—fece annunciare al Beato: «È ora, signore. Il pasto è pronto.» Allora il Beato, di primo mattino, aggiustata la sua veste inferiore e, preso il suo mantello esterno e la scodella, si recò insieme al Saṅgha dei monaci alla dimora di Cunda. Giunto là, si sedette sul sedile preparato. Seduto, disse a Cunda: «Cunda, servimi con la prelibatezza di maiale che hai preparato, e il Saṅgha dei monaci con gli altri cibi principali e non principali che hai preparato.» Cunda, rispondendo al Beato: «Così sia, signore», servì il Beato con la prelibatezza di maiale che aveva preparato, e il Saṅgha dei monaci con gli altri cibi principali e non principali che aveva preparato. Poi il Beato gli disse: «Cunda, seppellisci in una fossa la rimanente prelibatezza di maiale. Non vedo nessuno al mondo, insieme con i suoi deva, Māra e Brahmā, in questa generazione con i suoi contemplativi e brahmani, i suoi sovrani e gente comune, in cui, una volta ingerita, essa porterebbe a una trasformazione salutare, eccetto che nel Tathāgata.» Cunda, rispondendo al Beato: «Così sia, signore», seppellì la rimanente prelibatezza di maiale in una fossa, si recò dal Beato e, giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Seduto là, il Beato—dopo averlo istruito, esortato, spronato e incoraggiato con un discorso sul Dhamma—si alzò dal sedile e partì. Poi, nel Beato, dopo aver consumato il pasto di Cunda, sorse una grave malattia accompagnata da emissione di sangue, con dolori intensi e mortali. Ma il Beato la sopportò—consapevole, lucido, e non sopraffatto da essa. Poi si rivolse al venerabile Ānanda: «Ānanda, andremo a Kusinārā.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Ho udito che, dopo aver consumato il pasto di Cunda l’argentiere, l’Illuminato fu colpito dalla malattia— violenta, mortale. Dopo aver mangiato la prelibatezza di maiale, una grave infermità sorse nel Maestro. Dopo esserne stato purificato, il Beato disse: «Alla città di Kusinārā andrò.» Allora il Beato, scendendo dalla strada, si recò presso un certo albero e, giunto, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore sistema il mio mantello esterno piegato in quattro. Sono stanco. Mi siederò.» Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», il venerabile Ānanda sistemò il mantello esterno piegato in quattro. Il Beato si sedette sul sedile preparato. Seduto, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore portami un po’ d’acqua. Ho sete. Voglio bere.» A queste parole, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, proprio ora sono passati cinquecento carri. Il piccolo ruscello—solcato dalle ruote—scorre torbido e agitato. Ma non lontano scorre il fiume Kakudha, con acqua pura, gradevole, fresca, limpida, dalle rive tranquille, rinfrancante. Là il Beato potrà bere acqua potabile e rinfrescare le membra.» Per la seconda volta, il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore portami un po’ d’acqua. Ho sete. Voglio bere.» Per la seconda volta, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, proprio ora sono passati cinquecento carri. L’esiguo corso d’acqua—solcato dalle ruote—scorre torbido e agitato. Ma non lontano scorre il fiume Kakudha, con acqua pura, gradevole, fresca, limpida, dalle rive tranquille, rinfrancante. Là il Beato potrà bere acqua potabile e rinfrescare le membra.» Per la terza volta, il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore portami un po’ d’acqua. Ho sete. Voglio bere.» Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», il venerabile Ānanda—presa una scodella—si recò al ruscello. E il piccolo ruscello che, solcato dalle ruote, scorreva torbido e agitato, al suo avvicinarsi cominciò a scorrere puro, limpido e calmo. Gli sorse il pensiero: «Straordinario! Meraviglioso!—il grande potere e la grande forza del Tathāgata!—che questo piccolo ruscello che, solcato dalle ruote, scorreva torbido e agitato, al mio avvicinarsi scorra puro, limpido e calmo!» Attinta l’acqua con la scodella, si recò dal Beato e, giunto, disse: «Straordinario! Meraviglioso!—il grande potere e la grande forza del Tathāgata!—che questo piccolo ruscello che, solcato dalle ruote, scorreva torbido e agitato, al mio avvicinarsi scorra puro, limpido e calmo! Beva l’acqua, o Beato! Beva l’acqua, o Bene Andato!» In quell’occasione Pukkusa Mallaputta, discepolo di Āḷāra Kālāma, stava viaggiando sulla strada da Kusinārā a Pāvā. Vide il Beato seduto alla radice di un albero e, vedutolo, si avvicinò a lui. Giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Seduto là, disse al Beato: «È straordinario, signore. È meraviglioso: il pacifico dimorare con cui vivono coloro che hanno lasciato la casa. Una volta, Āḷāra Kālāma, viaggiando, scese dalla strada e si sedette non lontano, alla radice di un albero, per il soggiorno diurno. Poi cinquecento carri passarono proprio accanto a lui. Allora un uomo, giungendo subito dopo quei centinaia di carri, si avvicinò ad Āḷāra Kālāma e, giunto, gli disse: “Venerabile signore, hai visto cinquecento carri passare?” “No, amico, non li ho visti.” “Ma hai udito il rumore?” “No, amico, non l’ho udito.” “Eri forse addormentato?” “No, amico, non ero addormentato.” “Ma eri cosciente?” “Sì, amico.” “Allora, venerabile signore, essendo cosciente e sveglio quando cinquecento carri sono passati proprio accanto a te, né li hai visti né hai udito alcun suono. Eppure il tuo mantello esterno è coperto di polvere!” “Sì, amico.” Allora a quell’uomo sorse il pensiero: “Straordinario! Meraviglioso: il pacifico dimorare con cui vivono coloro che hanno lasciato la casa—che, essendo cosciente e sveglio mentre cinquecento carri passano proprio accanto, non li veda né udisca alcun suono!”» Dopo aver proclamato una fede immensa in Āḷāra Kālāma, se ne andò. «Che ne pensi, Pukkusa? Cosa è più difficile da fare, più difficile da padroneggiare: uno che, essendo cosciente e sveglio mentre cinquecento carri passano proprio accanto, né li vede né ode alcun suono; oppure uno che, essendo cosciente e sveglio mentre il deva della pioggia sta piovendo, il deva della pioggia sta rovesciando l’acqua, i lampi guizzano e un fulmine squarcia l’aria, né li vede né ode alcun suono?» «Signore, che sarebbero mai cinquecento carri—o seicento carri, o settecento, o ottocento, o novecento, o mille carri… o centomila carri? Più difficile sarebbe da fare, più difficile da padroneggiare: uno che, essendo cosciente e sveglio mentre il deva della pioggia sta piovendo, il deva della pioggia sta rovesciando l’acqua, i lampi guizzano e un fulmine squarcia l’aria, né li vede né ode alcun suono.» «Una volta, Pukkusa, dimoravo nei pressi di Ātumā, in un granaio per la trebbiatura. E in quell’occasione, mentre il deva della pioggia stava piovendo, il deva della pioggia stava rovesciando l’acqua, i lampi guizzavano e un fulmine squarciava l’aria non lontano dal granaio, due agricoltori—fratelli—morirono, insieme a quattro buoi. Allora una grande folla di persone uscì da Ātumā verso il luogo dove i due agricoltori—fratelli—erano morti, insieme ai quattro buoi. E in quell’occasione io, uscito dal granaio, stavo praticando meditazione camminata davanti alla porta del granaio. Un uomo di quella grande folla si avvicinò a me e, giunto, dopo essersi prosternato, stette a un lato. Mentre stava lì in piedi, gli dissi: “Amico, perché si è raccolta questa grande folla di persone?” «“Proprio ora, signore—mentre il deva della pioggia stava piovendo, il deva della pioggia stava rovesciando l’acqua, i lampi guizzavano e un fulmine squarciava l’aria—due agricoltori—fratelli—sono morti, insieme a quattro buoi. È per questo che si è radunata questa grande folla di persone. Ma tu, signore: dove ti trovavi?”» «“Ero proprio qui, amico.”» «“Ma hai visto qualcosa?”» «“No, amico, non ho visto nulla.”» «“Hai udito il rumore?”» «“No, amico, non l’ho udito.”» «“Eri forse addormentato?”» «“No, amico, non ero addormentato.”» «“Ma eri cosciente?”» «“Sì, amico.”» «“Allora, signore, essendo cosciente e sveglio mentre il deva della pioggia stava piovendo, il deva della pioggia stava rovesciando l’acqua, i lampi guizzavano e un fulmine squarciava l’aria, né hai visto nulla né hai udito alcun suono.”» «“Sì, amico.”» «Allora a quell’uomo sorse il pensiero: “Straordinario! Meraviglioso: il pacifico dimorare con cui vivono coloro che hanno lasciato la casa—che, mentre il deva della pioggia sta piovendo, il deva della pioggia sta rovesciando l’acqua, i lampi guizzano e un fulmine squarcia l’aria, egli né li veda né oda alcun suono!” Dopo aver proclamato una fede immensa in me, mi circuì con rispetto e poi se ne andò.» A queste parole, Pukkusa Mallaputta disse al Beato: «La fiducia che avevo in Āḷāra Kālāma la disperderei dinanzi a un vento impetuoso o la lascerei trascinare via dalla corrente rapida di un fiume. Splendido, signore! Splendido! Proprio come se si raddrizzasse ciò che era rovesciato, si rivelasse ciò che era nascosto, si mostrasse il cammino a chi si era smarrito, o si portasse una lampada nell’oscurità affinché coloro che hanno occhi possano vedere le forme, allo stesso modo il Beato—attraverso molte linee di argomentazione—ha reso chiaro il Dhamma. Vado al Beato come rifugio, al Dhamma e al Saṅgha dei monaci. Possa il Beato ricordarmi come un discepolo laico che è andato a lui per rifugio, da oggi in avanti, per tutta la vita.» Poi Pukkusa Mallaputta si rivolse a un uomo: «Avanti, ti dico. Portami un paio di vesti color oro, pronte da indossare.» Rispondendo a Pukkusa Mallaputta: «Così sia, signore», quell’uomo portò il paio di vesti color oro, pronte da indossare. Allora Pukkusa Mallaputta offrì al Beato quel paio di vesti color oro, pronte da indossare, dicendo: «Possa il Beato accettare da me, per gentilezza, questo paio di vesti color oro, pronte da indossare.» «Bene, allora, Pukkusa. Rivestimi con una, e Ānanda con l’altra.» Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», Pukkusa Mallaputta rivestì il Beato con una delle vesti, e il venerabile Ānanda con l’altra. Poi il Beato istruì, esortò, spronò e incoraggiò Pukkusa Mallaputta con un discorso sul Dhamma. Allora Pukkusa Mallaputta—istruito, esortato, spronato e incoraggiato dal discorso sul Dhamma del Beato—si alzò dal sedile e, dopo essersi prosternato dinanzi al Beato e averlo circondato con rispetto, se ne andò. Poco dopo che Pukkusa Mallaputta se ne fu andato, il venerabile Ānanda posò il paio di vesti color oro, pronte da indossare, sul corpo del Beato. Ma, posate sul corpo del Beato, la loro iridescenza sembrava svanita. Allora il venerabile Ānanda disse: «Straordinario, signore. Meraviglioso—quanto è limpido e luminoso il colore della pelle del Tathāgata! Quando questo paio di vesti color oro, pronte da indossare, è posto sul corpo del Beato, la loro iridescenza sembra svanita!» «Così è, Ānanda. Vi sono due occasioni in cui il colore della pelle del Tathāgata è particolarmente limpido e luminoso. Quali due? La notte in cui il Tathāgata si risveglia all’incomparabile risveglio perfetto, e la notte in cui il Tathāgata giunge all’estinzione completa mediante la proprietà dell’estinzione senza residui di combustibile. Queste sono le due occasioni in cui il colore della pelle del Tathāgata è particolarmente limpido e luminoso. Oggi, nell’ultima veglia della notte, tra i due alberi di Sal, a Upavattana, nella Foresta di Sal dei Malla presso Kusinārā, avverrà l’estinzione completa del Tathāgata. Vieni, Ānanda, andremo al fiume Kakudha.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Pukkusa offrì un paio di vesti color oro e, rivestito con esse, il Maestro dal color dell’oro risplendeva luminoso. Allora il Beato, insieme al grande Saṅgha dei monaci, si recò al fiume Kakudha e, giunto al fiume Kakudha, vi discese, si bagnò, bevve, e risalì; poi si recò in un boschetto di mango. Giunto là, il Beato disse al venerabile Cundaka: «Cundaka, per favore sistema il mio mantello esterno piegato in quattro. Sono stanco. Mi sdraierò.» Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», il venerabile Cundaka sistemò il mantello esterno piegato in quattro. Il Beato, sdraiandosi sul fianco destro, assunse la postura del leone, con un piede sull’altro—consapevole, lucido, e rivolto alla percezione del risveglio. Il venerabile Cundaka si sedette di fronte a lui. L’Illuminato, —essendosi recato al piccolo fiume Kakudha, dalle acque pure, gradevoli, limpide— il Maestro, apparendo molto stanco, il Tathāgata, senza pari nel mondo, vi discese, si bagnò, bevve, e risalì. Onorato, circondato, in mezzo al Saṅgha dei monaci, il Beato, il Maestro, procedendo qui nel Dhamma, il grande veggente, si recò al boschetto di mango. Si rivolse al monaco di nome Cundaka: «Stendilo, piegato in quattro, perché io possa sdraiarmi.» Comandato da Colui dalla mente sviluppata, Cundaka prontamente lo stese, piegato in quattro. Il Maestro si sdraiò, apparendo molto stanco, e Cundaka si sedette lì, davanti a lui. Allora il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Ānanda, se qualcuno cercasse di suscitare rimorso in Cunda l’argentiere, dicendo: “Non è un merito per te, amico Cunda, è stata una cattiva azione da parte tua, che il Tathāgata, dopo aver ricevuto la tua ultima offerta di elemosina, sia giunto all’estinzione completa”, allora il rimorso di Cunda dovrebbe essere placato in questo modo: “È un merito per te, amico Cunda, è stata una buona azione da parte tua, che il Tathāgata, dopo aver ricevuto la tua ultima offerta di elemosina, sia giunto all’estinzione completa. Faccia a faccia con il Beato l’ho udito, faccia a faccia l’ho appreso: ‘Queste due offerte di elemosina sono uguali tra loro per frutto, uguali tra loro per risultato, di frutto e beneficio molto maggiore rispetto a qualsiasi altra elemosina. Quali due? L’elemosina dopo la quale, avendola ricevuta, il Tathāgata si risveglia al perfetto risveglio supremo; e l’elemosina dopo la quale, avendola ricevuta, il Tathāgata giunge all’estinzione mediante la proprietà dell’estinzione senza residui di combustibile. Queste sono le due elemosine che sono uguali tra loro per frutto, uguali tra loro per risultato, di frutto e beneficio molto maggiore rispetto a qualsiasi altra elemosina. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce a lunga vita. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce a bellezza. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce alla felicità. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce al cielo. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce al prestigio. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce alla sovranità.’” In questo modo, Ānanda, il rimorso di Cunda l’argentiere dovrebbe essere placato.» Allora, realizzando il significato di ciò, il Beato in quell’occasione esclamò: Per colui che dà, il merito cresce. Per chi si trattiene, non si accumula ostilità. Chi è abile abbandona il male e— con la cessazione di passione, avversione, illusione— giunge all’estinzione completa. 6 Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, andremo sull’altra riva del fiume Hiraññavatī, a Upavattana, la Foresta di alberi di Sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò sull’altra riva del fiume Hiraññavatī, a Upavattana, la Foresta di alberi di Sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā. Una volta giunto, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore prepara per me un letto tra i due alberi di Sal gemelli, con la testa rivolta a nord. Sono stanco e mi coricherò.» Rispondendo «Così sia, signore» al Beato, il venerabile Ānanda preparò un letto tra i due alberi di Sal gemelli, con la testa rivolta a nord. Allora il Beato si coricò sul fianco destro nella postura del leone, con un piede sull’altro, consapevole e vigile. In quell’occasione, i due alberi di Sal gemelli erano in piena fioritura, sebbene non fosse la stagione dei fiori. Essi riversarono, sparsero e spruzzarono fiori sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. Dal cielo caddero fiori celesti dell’albero corallo, che si riversarono, si sparsero e si spruzzarono sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. Dal cielo cadde polvere di sandalo celeste, che si riversò, si sparse e si spruzzò sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. In cielo si udiva musica celeste, in omaggio al Tathāgata. In cielo si udivano canti celesti, in omaggio al Tathāgata. Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, i due alberi di Sal gemelli sono in piena fioritura, sebbene non sia la stagione dei fiori. Essi riversano, spargono e spruzzano fiori sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. Dal cielo cadono fiori celesti dell’albero corallo… Dal cielo cade polvere di sandalo celeste… In cielo si ode musica celeste… In cielo si odono canti celesti, in omaggio al Tathāgata. Ma non è in questa misura che un Tathāgata è onorato, riverito, rispettato, venerato o omaggiato. Piuttosto, il monaco, la monaca, il laico o la laica che continua a praticare il Dhamma in accordo con il Dhamma, che continua a praticare con padronanza, che vive in accordo con il Dhamma: costui rende omaggio, onora, riverisce, rispetta e venera il Tathāgata con il più alto omaggio. Dovete dunque esercitarvi così: “Continueremo a praticare il Dhamma in accordo con il Dhamma, continueremo a praticare con padronanza, vivremo in accordo con il Dhamma.” Così dovete esercitarvi.» In quell’occasione il venerabile Upavāṇa stava in piedi davanti al Beato, sventolandolo. Allora il Beato lo congedò, dicendo: «Vattene, monaco. Non stare davanti a me.» Allora sorse questo pensiero nel venerabile Ānanda: «Da lungo tempo ormai, questo venerabile Upavāṇa è stato assistente del Beato, dimorando vicino a lui e viaggiando con lui. Ma ora, nella sua ora finale, lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me.” Qual è ora la ragione, qual è la causa per cui il Beato lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me”?» Allora il venerabile Ānanda disse al Beato: «Da lungo tempo ormai, questo venerabile Upavāṇa è stato assistente del Beato, dimorando vicino a lui e viaggiando con lui. Ma ora, nella sua ora finale, lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me.” Qual è ora la ragione, qual è la causa per cui il Beato lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me”?» «Ānanda, la maggior parte delle devatā da dieci sistemi di mondi si sono radunate per vedere il Tathāgata. Per dodici leghe tutt’intorno a Upavattana, la Foresta di alberi di Sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā, non vi è nemmeno lo spazio della punta di un crine di coda di cavallo che non sia occupato da eminenti devatā. Le devatā, Ānanda, si lamentano dicendo: “Abbiamo percorso una lunga distanza per vedere il Tathāgata. Solo una volta, in lunghissimo tempo, sorge nel mondo un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé. Questa notte, nell’ultima veglia della notte, avverrà la completa estinzione del Tathāgata. E questo eminente monaco sta in piedi davanti al Beato, ostruendo la vista. Non riusciamo a vedere il Beato nella sua ora finale.”» «Ma, signore, quale è lo stato delle devatā a cui il Beato presta attenzione?» «Ānanda, vi sono devatā che percepiscono lo spazio come terra. Strappandosi i capelli, piangono. Sollevando le braccia, piangono. Come se i loro piedi fossero stati recisi da sotto di loro, cadono a terra e si rotolano avanti e indietro, gridando: “Troppo presto il Beato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto il Ben Andato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto Colui che ha la Visione scomparirà dal mondo!” Poi vi sono devatā che percepiscono la terra come terra. Strappandosi i capelli, piangono. Sollevando le braccia, piangono. Come se i loro piedi fossero stati recisi da sotto di loro, cadono a terra e si rotolano avanti e indietro, gridando: “Troppo presto il Beato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto il Ben Andato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto Colui che ha la Visione scomparirà dal mondo!” Ma quelle devatā che sono libere dalla passione acconsentono, consapevoli e vigili: “Impermanenti sono le formazioni. Cos’altro ci si può aspettare?”» «In passato, signore, i monaci di tutte le direzioni, terminato il ritiro delle Piogge, venivano a vedere il Tathāgata. Così avevamo l’occasione di vedere e di prenderci cura dei monaci che ispirano il cuore. Ma ora, dopo la dipartita del Beato, non potremo più vedere né prenderci cura dei monaci che ispirano il cuore.» «Ānanda, vi sono questi quattro luoghi che meritano di essere visti da un uomo di famiglia con fede, che meritano il suo senso di urgenza e sgomento [saṁvega]. Quali quattro? “Qui è nato il Tathāgata” è un luogo che merita di essere visto da un uomo di famiglia con fede, che merita il suo senso di urgenza e sgomento. “Qui il Tathāgata ha conseguito il supremo risveglio perfetto da sé”… “Qui il Tathāgata ha messo in moto la ruota insuperabile del Dhamma”… “Qui il Tathāgata è giunto alla completa estinzione, nell’elemento della estinzione senza residui” è un luogo che merita di essere visto da un uomo di famiglia con fede, che merita il suo senso di urgenza e sgomento. Questi sono i quattro luoghi che meritano di essere visti da un uomo di famiglia con fede, che meritano il suo senso di urgenza e sgomento. Verranno, spinti dalla fede, Ānanda — monaci, monache, laici e laiche — nei luoghi dove “Qui è nato il Tathāgata”, “Qui il Tathāgata ha conseguito il supremo risveglio perfetto da sé”, “Qui il Tathāgata ha messo in moto la ruota insuperabile del Dhamma”, “Qui il Tathāgata è giunto alla completa estinzione, nell’elemento della estinzione senza residui”. E chiunque muoia facendo pellegrinaggio a questi luoghi sacri con una mente luminosa e fiduciosa, apparirà — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — in una destinazione felice, in un mondo celeste.» «Signore, quale condotta dobbiamo seguire riguardo alle donne?» «Il non-vedere, Ānanda.» «Ma quando vi è visione, signore, quale condotta si deve seguire?» «Il non-parlare, Ānanda.» «E quando siamo interpellati, quale condotta si deve seguire?» «Si deve stabilire la consapevolezza, Ānanda.» «E, signore, quale condotta dobbiamo seguire riguardo al corpo del Tathāgata?» «Non dovete occuparvi del funerale del Tathāgata. Ānanda, per favore, sforzati per il vero fine, dedicati al vero fine, dimora diligente, ardente e risoluto per il bene del vero fine. Vi sono nobili saggi, brahmani saggi e capifamiglia saggi che hanno profonda fiducia nel Tathāgata. Saranno loro a occuparsi del funerale del Tathāgata.» «Ma, signore, quale condotta si deve seguire riguardo al corpo del Tathāgata?» «La condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota, Ānanda, è la condotta che si deve seguire riguardo al corpo del Tathāgata.» «E quale, signore, è la condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota?» «Ānanda, avvolgono il corpo del monarca che fa girare la ruota in un nuovo lenzuolo di lino. Dopo averlo avvolto in un nuovo lenzuolo di lino, lo avvolgono in cotone cardato. Dopo averlo avvolto in cotone cardato, lo avvolgono in un nuovo lenzuolo di lino. Così facendo per cinquecento volte, pongono il corpo in una vasca d’olio di ferro, lo coprono con un coperchio di ferro, preparano una pira composta interamente di sostanze profumate, e cremano il corpo. Poi erigono un tumulo funerario per il monarca che fa girare la ruota in un grande incrocio a quattro vie. Questa è la condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota. La condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota, Ānanda, è la condotta che si deve seguire riguardo al corpo del Tathāgata. Un tumulo funerario per il Tathāgata deve essere costruito in un grande incrocio a quattro vie. E coloro che offrono una ghirlanda, un profumo o una polvere profumata in quel luogo, o si inchinano lì, o elevano la mente lì: ciò sarà per il loro benessere e felicità a lungo termine. «Vi sono questi quattro che sono degni di un tumulo funerario. Quali quattro? Un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé, è degno di un tumulo funerario. Un Buddha Solitario… un discepolo di un Tathāgata… un monarca che fa girare la ruota è degno di un tumulo funerario. E per quale ragione un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé, è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste. Per questa ragione un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé, è degno di un tumulo funerario. E per quale ragione un Buddha Solitario è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un Buddha Solitario”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste… E per quale ragione un discepolo di un Tathāgata è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un discepolo di un Tathāgata”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste… E per quale ragione un monarca che fa girare la ruota è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un monarca che fa girare la ruota”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste. Per questa ragione un monarca che fa girare la ruota è degno di un tumulo funerario. Questi sono i quattro che sono degni di un tumulo funerario.» Allora il venerabile Ānanda, entrato in un edificio lì vicino, si fermò appoggiandosi allo stipite della porta, piangendo: «Eccomi qui, ancora in addestramento, con del lavoro da compiere, e sta per avvenire l’estinzione totale del mio Maestro—il Maestro che ha avuto tanta compassione per me!» Allora il Beato disse ai monaci: «Monaci, dov’è Ānanda?» «Signore, il venerabile Ānanda, entrato in quell’edificio, sta appoggiato allo stipite della porta, piangendo: “Eccomi qui, ancora in addestramento, con del lavoro da compiere, e sta per avvenire l’estinzione totale del mio Maestro—il Maestro che ha avuto tanta compassione per me!”» Allora il Beato disse a un certo monaco: «Vieni, monaco. In mio nome, chiama Ānanda dicendo: ‘Il Maestro ti chiama, amico mio.’» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il monaco andò dal venerabile Ānanda e, giunto lì, disse: «Il Maestro ti chiama, amico mio.» Rispondendo: «Così sia, amico mio», al monaco, il venerabile Ānanda si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, il Beato gli disse: «Basta, Ānanda. Non affliggerti. Non lamentarti. Non ti ho forse già insegnato lo stato del mutare riguardo a tutte le cose care e piacevoli, lo stato del separarsi, lo stato del divenire altrimenti? Cos’altro ci si può attendere? È impossibile impedire che qualcosa che è nato, esiste, è condizionato e soggetto alla disgregazione, non si disgreghi. Da lungo tempo, Ānanda, tu hai servito il Tathāgata con atti fisici di benevolenza—utili, lieti, devoti, senza limite; con atti verbali di benevolenza… con atti mentali di benevolenza—utili, lieti, devoti, senza limite. Tu sei uno che ha accumulato merito. Dedicati con impegno, e presto sarai senza influssi.» Poi il Beato si rivolse ai monaci: «Monaci, quei Beati che, nel passato, erano degni, pienamente risvegliati da sé, avevano assistenti principali, proprio come io ho avuto Ānanda. Quei Beati che, nel futuro, saranno degni, pienamente risvegliati da sé, avranno assistenti principali, proprio come io ho avuto Ānanda. Ānanda è saggio. Egli sa: “Questo è il momento di avvicinarsi per vedere il Tathāgata. Questo è il momento per i monaci, questo il momento per le monache, questo il momento per i laici devoti, questo il momento per le laiche devote, questo il momento per i re e i loro ministri, questo il momento per i settari, questo il momento per i seguaci dei settari.”» «Ci sono queste quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda. Se un gruppo di monaci si avvicina per vedere Ānanda, essi sono appagati alla sua vista. Se egli espone loro il Dhamma, sono appagati da ciò che dice. Prima che siano sazi, egli cade nel silenzio. Se un gruppo di monache si avvicina per vedere Ānanda… Se un gruppo di laici devoti si avvicina per vedere Ānanda… Se un gruppo di laiche devote si avvicina per vedere Ānanda, esse sono appagate alla sua vista. Se egli espone loro il Dhamma, sono appagate da ciò che dice. Prima che siano sazie, egli cade nel silenzio. Queste sono le quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda. Vi sono queste quattro qualità straordinarie e meravigliose in un monarca che fa girare la ruota. Se un gruppo di nobili guerrieri si avvicina per vederlo… Se un gruppo di brahmani si avvicina per vederlo… Se un gruppo di capifamiglia si avvicina per vederlo… Se un gruppo di contemplativi si avvicina per vederlo, essi sono appagati alla sua vista. Se egli parla loro, sono appagati da ciò che dice. Prima che siano sazi, egli cade nel silenzio. Allo stesso modo, monaci, vi sono queste quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda. Se un gruppo di monaci… un gruppo di monache… un gruppo di laici devoti… un gruppo di laiche devote si avvicina per vedere Ānanda, essi sono appagati alla sua vista. Se egli espone loro il Dhamma, sono appagati da ciò che dice. Prima che siano sazi, egli cade nel silenzio. Queste sono le quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda.» Quando ciò fu detto, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, possa il Beato non giungere all’estinzione totale in questa cittadina, in questa cittadina polverosa, in questo villaggio remoto. Ci sono altre grandi città: Campā, Rājagaha, Sāvatthī, Sāketa, Kosambī, Bārāṇasī. Possa il Beato giungere all’estinzione totale lì. In quelle città vi sono molti nobili guerrieri, brahmani e capifamiglia ricchi che nutrono grande fiducia nel Tathāgata. Essi celebreranno le esequie del Tathāgata.» «Non dire così, Ānanda. Non dire: “questa cittadina, questa cittadina polverosa, questo villaggio remoto.” In passato, Ānanda, vi fu un re di nome Mahā Sudassana, un monarca che faceva girare la ruota, un re retto che governava rettamente, conquistatore delle quattro direzioni, stabilizzatore del suo regno, dotato dei sette tesori. Questa Kusinārā era la sua capitale, chiamata Kusāvatī: lunga dodici leghe da est a ovest, larga sette leghe da nord a sud. Kusāvatī era potente, ricca e densamente popolata, affollata da gente e prospera. Proprio come la capitale dei deva chiamata Ālakamandā è potente, ricca e densamente popolata, affollata da yakkha e prospera; allo stesso modo Kusāvatī era potente, ricca e densamente popolata, affollata da gente e prospera. Di giorno o di notte, non mancavano mai dieci suoni: il suono degli elefanti, il suono dei cavalli, il suono dei carri, il suono dei tamburi, il suono dei tamburelli, il suono dei liuti, il suono dei canti, il suono dei cimbali, il suono dei gong, con le grida “Mangia! Bevi! Gusta!” come decimo. Ora, Ānanda, entra a Kusinārā e annuncia ai Mallā di Kusinārā: “Stanotte, o Vāsiṭṭha, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del Tathāgata. Uscite, o Vāsiṭṭha! Uscite, o Vāsiṭṭha! Non abbiate poi a pentirvi dicendo: ‘L’estinzione totale del Tathāgata è avvenuta entro i confini della nostra stessa città, e noi non abbiamo potuto vederlo nella sua ultima ora!’”» Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il venerabile Ānanda si aggiustò la veste inferiore e—prendendo la ciotola e la veste esterna—entrò non accompagnato a Kusinārā. In quel momento i Mallā di Kusinārā si erano radunati per un affare nella loro sala di ricevimento. Il venerabile Ānanda si recò alla sala di ricevimento e, una volta giunto, annunciò loro: «Stanotte, o Vāsiṭṭha, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del Tathāgata. Uscite, o Vāsiṭṭha! Uscite, o Vāsiṭṭha! Non abbiate poi a pentirvi dicendo: “L’estinzione totale del Tathāgata è avvenuta entro i confini della nostra stessa città, e noi non abbiamo potuto vederlo nella sua ultima ora!”» Udendo il venerabile Ānanda, i Mallā, insieme ai loro figli, figlie e mogli, furono scossi, addolorati, le menti colme di tristezza. Alcuni piansero, strappandosi i capelli; piansero, levando le braccia. Come se i piedi fossero stati tagliati loro da sotto, caddero a terra e si rotolarono avanti e indietro, gridando: «Troppo presto, il Beato giungerà all’estinzione totale! Troppo presto, il Ben Andato giungerà all’estinzione totale! Troppo presto, Colui che ha gli Occhi sparirà dal mondo!» Allora i Mallā, insieme ai loro figli, figlie e mogli—scossi, addolorati, le menti colme di tristezza—si recarono dal venerabile Ānanda a Upavattana, la Foresta di Sal dei Mallā, nei pressi di Kusinārā. Al venerabile Ānanda sorse questo pensiero: «Se permetto ai Mallā di rendere omaggio al Beato uno alla volta, la notte sarà finita prima che abbiano terminato. E se invece li disponessi famiglia per famiglia, annunciando: “Signore, il Mallā chiamato tal dei tali, insieme ai suoi figli e mogli, servi e attendenti, si prostra con la testa ai piedi del Beato”?» Così il venerabile Ānanda, disponendo i Mallā famiglia per famiglia, li fece rendere omaggio al Beato, dicendo: «Signore, il Mallā chiamato tal dei tali, insieme ai suoi figli e mogli, servi e attendenti, si prostra con la testa ai piedi del Beato.» In tal modo il venerabile Ānanda fece rendere omaggio al Beato ai Mallā entro la prima veglia della notte. In quel tempo, un asceta errante di nome Subhadda si trovava nei pressi di Kusinārā. Udì dire: «Stanotte, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del contemplativo Gotama.» Allora gli sorse questo pensiero: «Ho sentito i vecchi asceti erranti anziani, maestri dei maestri, dire che solo una volta ogni molto, molto tempo appaiono nel mondo i Tathāgata—i degni, pienamente risvegliati da sé. Stanotte, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del contemplativo Gotama. Ora è sorto in me un dubbio, ma ho fiducia che il contemplativo Gotama possa insegnarmi il Dhamma in modo tale che io possa abbandonare questo dubbio.» Allora egli si recò a Upavattana, la Foresta di Sal dei Mallā e, una volta giunto, disse al venerabile Ānanda: «Ho sentito i vecchi asceti erranti anziani, maestri dei maestri, dire che solo una volta ogni molto, molto tempo appaiono nel mondo i Tathāgata—i degni, pienamente risvegliati da sé. Stanotte, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del contemplativo Gotama. Ora è sorto in me un dubbio, ma ho fiducia che il contemplativo Gotama possa insegnarmi il Dhamma in modo tale che io possa abbandonare questo dubbio. Sarebbe bene, venerabile Ānanda, se mi permettessi di vederlo.» A queste parole, il venerabile Ānanda gli disse: «Basta così, amico Subhadda. Non disturbare il Beato. Il Beato è stanco.» Per una seconda volta… Per una terza volta, l’asceta errante Subhadda disse al venerabile Ānanda: «…Sarebbe bene, venerabile Ānanda, se mi permettessi di vederlo.» Per una terza volta, il venerabile Ānanda gli disse: «Basta così, amico Subhadda. Non disturbare il Beato. Il Beato è stanco.» Ora, il Beato udì lo scambio tra il venerabile Ānanda e l’asceta errante Subhadda, e così disse al venerabile Ānanda: «Basta, Ānanda. Non ostacolarlo. Lascialo vedere il Tathāgata. Qualunque cosa egli mi chieda sarà tutta per il bene della conoscenza, e non per arrecare disturbo. E qualunque cosa io risponda alle sue domande, egli la comprenderà prontamente.» Allora il venerabile Ānanda disse all’asceta errante Subhadda: «Avanti, amico Subhadda. Il Beato ti concede udienza.» Allora Subhadda si recò dal Beato e scambiò con lui cortesi saluti. Dopo lo scambio di amichevoli convenevoli e saluti, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, disse al Beato: «Maestro Gotama, questi contemplativi e brahmani, ciascuno con il proprio gruppo, ciascuno con la propria comunità, ciascuno maestro del proprio gruppo, guida rispettata, ben considerata dalla gente in generale—cioè Pūraṇa Kassapa, Makkhali Gosāla, Ajita Kesakambalin, Pakudha Kaccāyana, Sañjaya Velaṭṭhaputta e il Nigaṇṭha Nāṭaputta: hanno tutti la conoscenza diretta, come essi stessi affermano, o non ce l’hanno? Oppure alcuni hanno la conoscenza diretta e altri no?» «Basta, Subhadda. Metti da parte questa domanda: “Hanno tutti la conoscenza diretta, come essi stessi affermano, o non ce l’hanno? Oppure alcuni hanno la conoscenza diretta e altri no?” Ti insegnerò il Dhamma, Subhadda. Ascolta e presta molta attenzione. Ti parlerò.» «Così sia, signore», rispose Subhadda al Beato. Il Beato disse: «In ogni dottrina e disciplina in cui il nobile ottuplice sentiero non è stabilito, non si trova alcun contemplativo della prima… seconda… terza… quarta categoria [colui che è entrato nel flusso, colui che ritorna una sola volta, colui che non ritorna, o arahant]. Ma in ogni dottrina e disciplina in cui il nobile ottuplice sentiero è stabilito, si trovano contemplativi della prima… seconda… terza… quarta categoria. In questa dottrina e disciplina il nobile ottuplice sentiero è stabilito, e proprio qui vi sono contemplativi della prima… seconda… terza… quarta categoria. Le altre dottrine sono vuote di contemplativi dotati di conoscenza. E se i monaci dimorano rettamente, questo mondo non sarà privo di arahant.» All’età di ventinove anni lasciai la casa, Subhadda, in cerca di ciò che potesse essere salutare, e da quando lasciai la casa, Subhadda, sono passati più di cinquant’anni. Al di fuori del dominio del Dhamma ben tracciato, non vi è contemplativo. «Non vi è contemplativo della seconda categoria; non vi è contemplativo della terza categoria; non vi è contemplativo della quarta categoria. Le altre dottrine sono vuote di contemplativi dotati di conoscenza. E se i monaci dimorano rettamente, questo mondo non sarà privo di arahant.» Allora l’asceta errante Subhadda disse: «Meraviglioso, signore! Meraviglioso! Proprio come se uno raddrizzasse ciò che era rovesciato, svelasse ciò che era nascosto, mostrasse la via a chi si era smarrito, o accendesse una lampada nell’oscurità affinché coloro che hanno occhi possano vedere le forme, allo stesso modo il Beato—attraverso molti ragionamenti—ha reso chiaro il Dhamma. Vado in rifugio al Beato, al Dhamma e al Saṅgha dei monaci. Possa io ottenere l’uscita dalla vita laica in presenza del Beato, possa ottenere l’accettazione.» «Chiunque, Subhadda, abbia precedentemente appartenuto a un’altra setta e desideri l’uscita dalla vita laica e l’accettazione in questo Dhamma e Vinaya, deve prima sottoporsi a un periodo di prova di quattro mesi. Se, al termine dei quattro mesi, i monaci lo ritengono opportuno, gli concedono l’uscita dalla vita laica e lo accettano nello stato di monaco. Ma io conosco le differenze tra gli individui in questo.» «Signore, se è così, sono disposto a sottopormi a un periodo di prova di quattro anni. Se, al termine dei quattro anni, i monaci lo riterranno opportuno, mi concedano l’uscita dalla vita laica e mi accettino nello stato di monaco.» Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ebbene, Ānanda, concedi a Subhadda l’uscita dalla vita laica.» «Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato. Allora Subhadda disse al venerabile Ānanda: «È un guadagno per te, Ānanda, un grande guadagno, l’essere stato unto qui, faccia a faccia con il Maestro, con l’unzione del discepolo.» Allora l’asceta errante Subhadda ottenne l’uscita dalla vita laica in presenza del Beato, ottenne l’accettazione. E non molto tempo dopo l’accettazione—dimorando solo, appartato, diligente, ardente e risoluto—egli, in breve tempo, entrò e dimorò nella meta suprema della vita santa, per la quale i figli di buona famiglia lasciano giustamente la casa per la vita senza casa, conoscendola e realizzandola direttamente per sé, qui e ora. Egli comprese: «La nascita è finita, la vita santa è stata compiuta, ciò che andava fatto è stato fatto. Nulla rimane per il bene di questo mondo.» E così il venerabile Subhadda divenne un altro degli arahant, l’ultimo dei discepoli testimoni diretti del Beato. 6 Allora il Beato disse al Venerabile Ānanda: «Ora, se qualcuno di voi pensa: “L’insegnamento ha perso il suo arbitro; siamo senza un Maestro”, non dovete vederla in questo modo. Qualunque Dhamma e Vinaya io vi abbia indicato e formulato, quello sarà il vostro Maestro dopo la mia dipartita. «Attualmente, i monaci si rivolgono l’un l’altro come “amico”, ma dopo la mia dipartita non dovranno più rivolgersi così. I monaci più anziani dovranno rivolgersi ai monaci più giovani chiamandoli per nome o per clan o come “amico”. I monaci più giovani dovranno rivolgersi ai monaci più anziani come “venerabile” o “signore”. «Dopo la mia dipartita, il Saṅgha, se lo desidera, potrà abrogare le regole di addestramento minori e secondarie.» «Dopo la mia estinzione, il monaco Channa dovrebbe essere sottoposto alla sanzione brahmica.» «Signore, cos’è la sanzione brahmica?» «Channa potrà dire ciò che vuole, Ānanda, ma non gli si dovrà rivolgere la parola, né lo si dovrà istruire o ammonire, da parte dei monaci.» Allora il Beato si rivolse ai monaci: «Se anche un solo monaco avesse qualche dubbio o perplessità riguardo al Buddha, al Dhamma, al Saṅgha, al sentiero o alla pratica, chieda. Non abbiate a pentirvene in seguito, pensando: “Il Maestro era faccia a faccia con noi, ma non ci siamo decisi a porre una controdomanda alla sua presenza.”» Quando fu detto questo, i monaci rimasero in silenzio. Per la seconda volta, il Beato disse: «Se anche un solo monaco avesse qualche dubbio o perplessità riguardo al Buddha, al Dhamma, al Saṅgha, al sentiero o alla pratica, chieda. Non abbiate a pentirvene in seguito, pensando: “Il Maestro era faccia a faccia con noi, ma non ci siamo decisi a porre una controdomanda alla sua presenza.”» Per la seconda volta, i monaci rimasero in silenzio. Per la terza volta, il Beato disse: «Se anche un solo monaco avesse qualche dubbio o perplessità riguardo al Buddha, al Dhamma, al Saṅgha, al sentiero o alla pratica, chieda. Non abbiate a pentirvene in seguito, pensando: “Il Maestro era faccia a faccia con noi, ma non ci siamo decisi a porre una controdomanda alla sua presenza.”» Per la terza volta, i monaci rimasero in silenzio. Allora il Beato si rivolse ai monaci: «Ora, se è soltanto per rispetto verso il Maestro che non chiedete, allora che un compagno informi un compagno.» Quando fu detto questo, i monaci rimasero in silenzio. Allora il venerabile Ānanda disse al Beato: «È meraviglioso, signore. È straordinario. Ho fiducia in questo Saṅgha di monaci che non vi sia neppure un solo monaco, in questo Saṅgha di monaci, che abbia qualche dubbio o perplessità riguardo al Buddha, al Dhamma, al Saṅgha, al sentiero o alla pratica.» «Tu, Ānanda, parli per fiducia, mentre nel Tathāgata vi è la conoscenza che non vi è neppure un solo monaco, in questo Saṅgha di monaci, che abbia qualche dubbio o perplessità riguardo al Buddha, al Dhamma, al Saṅgha, al sentiero o alla pratica. Di questi cinquecento monaci, il più arretrato è un entrato-nella-corrente, non più destinato ai regni inferiori, certo, avviato al risveglio.» Allora il Beato si rivolse ai monaci: «Ebbene, monaci, vi esorto: tutte le formazioni sono soggette a cessazione e decadenza. Compite il pieno conseguimento con diligenza.» Questa fu l’ultima dichiarazione del Tathāgata. Poi il Beato entrò nel primo jhāna. Uscito da quello, entrò nel secondo jhāna. Uscito da quello, entrò nel terzo… nel quarto jhāna… nella dimensione dell’infinità dello spazio… nella dimensione dell’infinità della coscienza… nella dimensione del nulla… nella dimensione né-percezione-né-non-percezione. Uscito da quella, entrò nella cessazione della percezione e della sensazione. Allora il venerabile Ānanda disse al venerabile Anuruddha: «Venerabile Anuruddha, il Beato è completamente estinto.» «No, amico Ānanda. Il Beato non è completamente estinto. Egli è entrato nella cessazione della percezione e della sensazione.» Poi il Beato, uscito dalla cessazione della percezione e della sensazione, entrò nella dimensione né-percezione-né-non-percezione. Uscito da quella, entrò nella dimensione del nulla… nella dimensione dell’infinità della coscienza… nella dimensione dell’infinità dello spazio… nel quarto jhāna… nel terzo… nel secondo… nel primo jhāna. Uscito dal primo jhāna, entrò nel secondo… nel terzo… nel quarto jhāna. Uscito dal quarto jhāna, egli immediatamente si estinse completamente. Quando il Beato si estinse completamente, simultaneamente con l’estinzione completa vi fu un grande terremoto, terribile e che faceva rizzare i capelli, e si udirono rulli di tamburi dei deva squarciare l’aria. Quando il Beato si estinse completamente, simultaneamente con l’estinzione completa, il Brahmā Sahampati pronunciò questo verso: Tutti gli esseri — tutti — in questo mondo abbandoneranno l’ammasso corporeo in questo mondo dove un Maestro come questo, senza pari nel mondo, il Tathāgata, che ha conseguito la forza, il pienamente Risvegliato da sé, si è completamente estinto. Quando il Beato si estinse completamente, simultaneamente con l’estinzione completa, Sakka, il re dei deva, pronunciò questo verso: Quanto sono impermanenti le formazioni! La loro natura: sorgere e svanire. Si dissolvono mentre stanno sorgendo. La loro completa quiete è beatitudine. Quando il Beato si estinse completamente, simultaneamente con l’estinzione completa, il venerabile Anuruddha pronunciò questo verso: Egli non aveva respiro in entrata né in uscita, colui dalla mente salda, colui che era Così, imperturbabile e intento alla pace: il saggio che compiva la sua vita. Con cuore indomito sopportò il dolore. Come lo svincolarsi di una fiamma fu la liberazione della consapevolezza. Quando il Beato si estinse completamente, simultaneamente con l’estinzione completa, il venerabile Ānanda pronunciò questo verso: Fu maestoso. Fu da far rizzare i capelli quando, manifestando il supremo compimento in tutte le cose, il pienamente Risvegliato da sé si estinse completamente. Quando il Beato si estinse completamente, simultaneamente con l’estinzione completa, alcuni dei monaci presenti che non erano liberi dalla passione piansero, sollevando le braccia. Come se i piedi fossero stati tagliati loro da sotto, caddero a terra e si rotolarono avanti e indietro, gridando: «Troppo presto il Beato si è estinto completamente! Troppo presto il Beneandato si è estinto completamente! Troppo presto Colui che vede ha lasciato questo mondo!» Ma quei monaci che erano liberi dalla passione acconsentirono, consapevoli e attenti: «Impermanenti sono le formazioni. Cos’altro ci si può attendere?» Allora il venerabile Anuruddha si rivolse ai monaci: «Basta, amici. Non addoloratevi. Non lamentatevi. Il Beato non ha forse già insegnato la condizione del mutamento per tutte le cose care e gradevoli, la condizione della separazione, la condizione del divenire altro? Cos’altro ci si può attendere? È impossibile impedire che ciò che è nato, esiste, è formato e soggetto alla disgregazione, non si disgreghi. Le devatā, amici, si stanno lamentando.» [Il venerabile Ānanda:] «Ma, venerabile Anuruddha, quale è la condizione delle devatā a cui stai prestando attenzione?» «Amico Ānanda, vi sono devatā che percepiscono lo spazio come terra. Strappandosi i capelli, stanno piangendo. Sollevando le braccia, stanno piangendo. Come se i piedi fossero stati tagliati loro da sotto, cadono a terra e si rotolano avanti e indietro, gridando: “Troppo presto il Beato si è estinto completamente! Troppo presto il Beneandato si è estinto completamente! Troppo presto Colui che vede ha lasciato questo mondo!” Vi sono poi devatā che percepiscono la terra come terra. Strappandosi i capelli, stanno piangendo. Sollevando le braccia, stanno piangendo. Come se i piedi fossero stati tagliati loro da sotto, cadono a terra e si rotolano avanti e indietro, gridando: “Troppo presto il Beato si è estinto completamente! Troppo presto il Beneandato si è estinto completamente! Troppo presto Colui che vede ha lasciato questo mondo!” Ma quelle devatā che sono libere dalla passione acconsentono, consapevoli e attente: “Impermanenti sono le formazioni. Cos’altro ci si può attendere?”» Allora il venerabile Anuruddha e il venerabile Ānanda trascorsero il resto della notte in conversazione sul Dhamma. Poi il venerabile Anuruddha disse al venerabile Ānanda: «Va’, amico Ānanda. Entrando a Kusinārā, annuncia ai Mallā di Kusinārā: “Il Beato, o Vāsiṭṭha, si è estinto completamente. Ora è il momento per voi di agire come ritenete opportuno.”» Rispondendo: «Così sia, signore», al venerabile Anuruddha, il venerabile Ānanda, di primo mattino, aggiustò la veste inferiore e — preso il suo mantello e la ciotola — si recò da solo a Kusinārā. In quel momento i Mallā di Kusinārā si erano riuniti per affari nella loro sala di ricevimento. Il venerabile Ānanda si recò nella sala di ricevimento e, giunto là, annunciò loro: «Il Beato, o Vāsiṭṭha, si è estinto completamente. Ora è il momento per voi di agire come ritenete opportuno.» Quando udirono il venerabile Ānanda, i Mallā — insieme ai loro figli, figlie e mogli — furono sconvolti, afflitti, colmi di dolore. Alcuni di loro piansero, strappandosi i capelli; piansero, sollevando le braccia. Come se i piedi fossero stati tagliati loro da sotto, caddero a terra e si rotolarono avanti e indietro, gridando: «Troppo presto il Beato si è estinto completamente! Troppo presto il Beneandato si è estinto completamente! Troppo presto Colui che vede ha lasciato questo mondo!» Allora i Mallā di Kusinārā ordinarono ai loro uomini: «In tal caso, dico, raccogliete profumi, ghirlande e tutti gli strumenti musicali di Kusinārā!» E così, presi profumi, ghirlande e tutti gli strumenti musicali di Kusinārā, insieme a cinquecento paia di stoffe, i Mallā di Kusinārā si recarono al corpo del Beato in Upavattana, la Foresta di alberi di sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā. Giunti là, trascorsero l’intera giornata rendendo omaggio, onore, rispetto e venerazione al corpo del Beato con danze, canti, musica, ghirlande e profumi, costruendo baldacchini di stoffa e disponendo corone floreali. Poi pensarono: «Oggi è troppo tardi per cremare il corpo del Beato. Cremeremo il corpo del Beato domani.» E così trascorsero il secondo giorno, il terzo giorno, il quarto giorno, il quinto giorno, il sesto giorno rendendo omaggio, onore, rispetto e venerazione al corpo del Beato con danze, canti, musica, ghirlande e profumi, costruendo baldacchini di stoffa e disponendo corone floreali. Poi, al settimo giorno, sorse in loro il pensiero: «Avendo reso omaggio, onore, rispetto e venerazione al corpo del Beato con danze, canti, musica, ghirlande e profumi, portiamolo a sud, all’esterno della città, e cremiamolo a sud della città.» Allora otto eminenti Mallā, dopo essersi lavati il capo e aver indossato vesti di lino nuove, pensando: «Solleveremo il corpo del Beato», non furono in grado di sollevarlo. Così i Mallā di Kusinārā chiesero al venerabile Anuruddha: «Qual è la ragione, venerabile Anuruddha, qual è la causa per cui questi otto eminenti Mallā, dopo essersi lavati il capo e aver indossato vesti di lino nuove, pensando “Solleveremo il corpo del Beato”, non riescono a sollevarlo?» «La vostra intenzione, o Vāsiṭṭha, è una. L’intenzione dei deva è un’altra.» «Ma qual è, venerabile Anuruddha, l’intenzione dei deva?» «La vostra intenzione, o Vāsiṭṭha, è: “Avendo reso omaggio, onore, rispetto e venerazione al corpo del Beato con danze, canti, musica, ghirlande e profumi, portiamolo a sud, all’esterno della città, e cremiamolo a sud della città.” L’intenzione dei deva è: “Avendo reso omaggio, onore, rispetto e venerazione al corpo del Beato con danze, canti, musica, ghirlande e profumi celestiali, portiamolo a nord della città, entriamo nella città dalla porta nord, portiamolo attraverso il centro della città e usciamo dalla porta est verso il santuario dei Mallā chiamato Makuṭa-bandhana, per cremarlo là.”» «Allora sia, venerabile signore, secondo l’intenzione dei deva.» In quel momento Kusinārā — fino ai cumuli di rifiuti e ai pozzi neri — era cosparsa fino alle ginocchia di fiori di eritrina. Così i deva e i Mallā di Kusinārā, rendendo omaggio, onore, rispetto e venerazione al corpo del Beato con danze, canti, musica, ghirlande e profumi celesti e umani, lo portarono a nord della città, entrarono dalla porta nord, lo trasportarono attraverso il centro della città e uscirono dalla porta est verso il santuario dei Mallā chiamato Makuṭa-bandhana. Là lo deposero. Allora i Mallā di Kusinārā dissero al venerabile Ānanda: «Venerabile signore, quale procedura dovremmo seguire riguardo al corpo del Tathāgata?» «La procedura che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota, o Vāsiṭṭha, è la procedura che dovrebbe essere seguita riguardo al corpo del Tathāgata.» «E qual è, venerabile signore, la procedura che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota?» «O Vāsiṭṭha, essi avvolgono il corpo del monarca che fa girare la ruota in vesti di lino nuove. Dopo averlo avvolto in vesti di lino nuove, lo avvolgono in cotone cardato. Dopo averlo avvolto in cotone cardato, lo avvolgono in vesti di lino nuove. Avendo fatto ciò cinquecento volte, pongono il corpo in una vasca d’olio di ferro, lo coprono con un coperchio di ferro, costruiscono una pira composta interamente da sostanze profumate, e cremano il corpo. Poi costruiscono un tumulo funerario per il monarca che fa girare la ruota in un grande incrocio a quattro vie. Questa è la procedura che si segue riguardo al corpo del monarca che fa girare la ruota. La procedura che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota, o Vāsiṭṭha, è la procedura che dovrebbe essere seguita riguardo al corpo del Tathāgata. Un tumulo funerario per il Tathāgata deve essere costruito in un grande incrocio a quattro vie. E coloro che vi offrono una ghirlanda, un profumo o una polvere aromatica, o che si inchinano lì, o che rallegrano la propria mente lì: ciò sarà per il loro benessere e felicità a lungo termine.» Allora i Mallā di Kusinārā ordinarono ai loro uomini: «In tal caso, dico, raccogliete il cotone cardato dei Mallā.» Poi avvolsero il corpo del Beato in vesti di lino nuove. Dopo averlo avvolto in vesti di lino nuove, lo avvolsero in cotone cardato. Dopo averlo avvolto in cotone cardato, lo avvolsero in vesti di lino nuove. Avendo fatto ciò cinquecento volte, posero il corpo in una vasca d’olio di ferro, lo coprirono con un coperchio di ferro, costruirono una pira composta interamente da sostanze profumate e vi posero il corpo. Allora i Mallā di Kusinārā dissero al Venerabile Ānanda: «Venerabile signore, quale procedura dovremmo seguire riguardo al corpo del Tathāgata?» «La procedura che seguono per il corpo di un sovrano universale, o Vāsiṭṭhas, è quella che dovrebbe essere seguita per il corpo del Tathāgata.» «E quale, venerabile signore, è la procedura che seguono per il corpo di un sovrano universale?» «O Vāsiṭṭhas, avvolgono il corpo del sovrano universale in un panno di lino nuovo. Dopo averlo avvolto in un panno di lino nuovo, lo avvolgono in ovatta di cotone cardato. Dopo averlo avvolto in ovatta di cotone cardato, lo avvolgono nuovamente in un panno di lino nuovo. Dopo aver ripetuto questo processo per cinquecento volte, pongono il corpo in un’urna di ferro colma d’olio, la coprono con un coperchio di ferro, costruiscono una pira composta interamente di sostanze profumate e cremano il corpo. Poi erigono un tumulo funerario per il sovrano universale a un grande incrocio. Questa è la procedura che seguono per il corpo di un sovrano universale. La procedura che seguono per il corpo di un sovrano universale, o Vāsiṭṭhas, è quella che dovrebbe essere seguita per il corpo del Tathāgata. Un tumulo funerario per il Tathāgata deve essere eretto a un grande incrocio. E coloro che offrono una ghirlanda, un profumo o una polvere aromatica, o che si inchinano o purificano la mente in quel luogo, otterranno beneficio e felicità duraturi.» Allora i Mallā di Kusinārā ordinarono ai loro uomini: «In tal caso, dico, raccogliete l’ovatta di cotone cardato dei Mallā.» Poi avvolsero il corpo del Beato in un panno di lino nuovo. Dopo averlo avvolto in un panno di lino nuovo, lo avvolsero in ovatta di cotone cardato. Dopo averlo avvolto in ovatta di cotone cardato, lo avvolsero nuovamente in un panno di lino nuovo. Dopo aver ripetuto questo processo per cinquecento volte, poggiarono il corpo in un’urna di ferro colma d’olio, la coprirono con un coperchio di ferro, costruirono una pira composta interamente di sostanze profumate e posero il corpo sulla pira. In quel momento, il Venerabile Mahā Kassapa stava viaggiando sulla strada maestra da Pāvā a Kusinārā con un grande Saṅgha di monaci, circa 500 in tutto. Lasciando la strada, si sedette ai piedi di un albero. Nel frattempo, un certo asceta Ājīvakan, portando un fiore di corallo da Kusinārā, stava viaggiando sulla strada maestra verso Pāvā. Il Venerabile Mahā Kassapa vide da lontano l’asceta Ājīvakan avvicinarsi e, vedendolo, gli disse: «Conosci il nostro maestro, amico?» «Sì, amico, lo conosco. Sette giorni fa il contemplativo Gotama si è completamente liberato. È così che ho ottenuto questo fiore di corallo.» A queste parole, alcuni dei monaci presenti che non erano privi di passione piansero, alzando le braccia. Come se i loro piedi fossero stati tagliati, caddero a terra e si rotolarono avanti e indietro, piangendo: «Troppo presto il Beato si è completamente liberato! Troppo presto il Perfetto si è completamente liberato! Troppo presto Colui che ha gli Occhi è scomparso dal mondo!» Ma quei monaci che erano liberi dalla passione accettarono la notizia, consapevoli e vigili: «Incostanti sono le formazioni. Cos’altro ci si può aspettare?» In quel momento, un monaco di nome Subhadda, che aveva preso i voti in tarda età, era seduto tra il gruppo. Disse ai monaci: «Basta, amici. Non affliggetevi. Non lamentatevi. Siamo finalmente liberi dal Grande Contemplativo. Siamo stati tormentati dal suo dire: “Questo è permesso. Questo non è permesso.” Ma ora faremo ciò che vogliamo fare e non faremo ciò che non vogliamo fare.» Allora il Venerabile Mahā Kassapa si rivolse ai monaci: «Basta, amici. Non affliggetevi. Non lamentatevi. Il Beato non ha già insegnato lo stato di diversità per tutte le cose care e attraenti, lo stato di separazione, lo stato di alterazione? Cos’altro ci si può aspettare? È impossibile impedire che ciò che è nato, esistente, costruito e soggetto a disintegrazione si disintegri.» Poi quattro capi Mallā, dopo aver lavato i loro capi e indossato un panno di lino nuovo, pensando: «Accenderemo la pira del Beato», non riuscirono ad accenderla. Così i Mallā di Kusinārā chiesero al Venerabile Anuruddha: «Qual è la ragione, Venerabile Anuruddha, quale la causa per cui questi quattro capi Mallā, dopo aver lavato i loro capi e indossato un panno di lino nuovo, pensando: “Accenderemo la pira del Beato”, non riescono ad accenderla?» «La vostra intenzione, o Vāsiṭṭhas, è una cosa. L’intenzione dei deva è un’altra.» «Ma qual è, Venerabile Anuruddha, l’intenzione dei deva?» «L’intenzione dei deva, o Vāsiṭṭhas, è: “Questo Venerabile Mahā Kassapa sta viaggiando sulla strada maestra da Pāvā a Kusinārā con un grande Saṅgha di monaci, circa 500 in tutto. La pira del Beato non si accenderà finché il Venerabile Mahā Kassapa non avrà venerato i piedi del Beato con il capo lavato.”» «Allora sia, venerabile signore, secondo l’intenzione dei deva.» Così il Venerabile Mahā Kassapa si recò alla pira del Beato a Makuṭa-bandhana, il memoriale dei Mallā vicino a Kusinārā. Al suo arrivo, sistemando la veste su una spalla, giunse le mani sul cuore, circumnavigò la pira tre volte, scoprì i piedi del Beato e li venerò con il capo. E i 500 monaci, sistemando le vesti su una spalla, giunsero le mani sul cuore, circumnavigarono la pira tre volte e venerarono i piedi del Beato con il capo. Non appena fu venerata dal Venerabile Mahā Kassapa e dai 500 monaci, la pira del Beato si accese da sola. Nel bruciare del corpo del Beato, non si poté discernere alcuna cenere o residuo della pelle esterna, della pelle interna, della carne, dei tendini o dell’olio delle articolazioni. Rimasero solo le reliquie ossee. Così come nel bruciare del burro chiarificato o dell’olio non si può discernere alcuna cenere o residuo, allo stesso modo, nel bruciare del corpo del Beato, non si poté discernere alcuna cenere o residuo della pelle esterna, della pelle interna, della carne, dei tendini o dell’olio delle articolazioni. Rimasero solo le reliquie ossee. E dei cinquecento doppi involucri, solo due furono bruciati: quello più interno e quello più esterno Quando il corpo del Beato fu consumato, una cascata d’acqua cadde dal cielo e spense la pira del Beato. Anche l’acqua che sgorgava da un albero di Sal spense la pira del Beato. I Mallā di Kusinārā, con ogni tipo di acqua profumata, spensero la pira del Beato. Poi, per sette giorni, i Mallā di Kusinārā conservarono le reliquie ossee nella loro sala di ricevimento – disponendole in cerchio con una grata di lance circondata da bastioni di archi – venerandole, onorandole, rispettandole e celebrandole con danze, canti, musica, ghirlande e profumi. Poi re Ajātasattu Vedehiputta di Magadha sentì dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviò un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era un nobile guerriero. Anch’io sono un nobile guerriero. Merito una parte delle reliquie ossee del Beato. Anch’io costruirò un tumulo funerario e celebrerò una cerimonia per esse.» I Licchavi di Vesālī sentirono dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviarono un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era un nobile guerriero. Anche noi siamo nobili guerrieri. Meritiamo una parte delle reliquie ossee del Beato. Anche noi costruiremo un tumulo funerario e celebreremo una cerimonia per esse.» Gli Śākya di Kapilavatthu sentirono dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviarono un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era il più grande dei nostri parenti. Meritiamo una parte delle reliquie ossee del Beato. Anche noi costruiremo un tumulo funerario e celebreremo una cerimonia per esse.» I Buli di Allakappa… I Koḷiya di Rāmagāma sentirono dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviarono un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era un nobile guerriero. Anche noi siamo nobili guerrieri. Meritiamo una parte delle reliquie ossee del Beato. Anche noi costruiremo un tumulo funerario e celebreremo una cerimonia per esse.» Il bramino dell’Isola di Veṭṭha sentì dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviò un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era un nobile guerriero. Io sono un bramino. Merito una parte delle reliquie ossee del Beato. Anch’io costruirò un tumulo funerario e celebrerò una cerimonia per esse.» I Mallā di Pāvā sentirono dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviarono un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era un nobile guerriero. Anche noi siamo nobili guerrieri. Meritiamo una parte delle reliquie ossee del Beato. Anche noi costruiremo un tumulo funerario e celebreremo una cerimonia per esse.» A queste parole, i Mallā di Kusinārā dissero ai gruppi e alle fazioni: «Il Beato si è completamente liberato entro i confini della nostra città. Non cederemo una parte delle reliquie ossee del Beato.» A queste parole, il bramino Doṇa si rivolse ai gruppi e alle fazioni: «Ascoltate, buoni signori, una parola da parte mia. Il nostro Risvegliato era un maestro di sopportazione. Non è bene che ci sia conflitto sulla spartizione delle reliquie della persona più elevata. Uniamoci, maestri, in concordia, in termini amichevoli, e facciamo otto parti. Che vi siano tumuli funerari nelle varie direzioni, e molte persone trovino fiducia in Colui che ha gli Occhi.» «In tal caso, bramino, dividi tu stesso le reliquie ossee del Beato in otto parti uguali.» Rispondendo: «Come dite, buoni signori», ai gruppi e alle fazioni, il bramino Doṇa divise le reliquie ossee del Beato in otto parti uguali e poi disse ai gruppi e alle fazioni: «Buoni signori, datemi quest’urna. Costruirò un tumulo funerario e celebrerò una cerimonia per l’urna.» Gli diedero l’urna. Poi i Moriyā di Pipphalivana sentirono dire: «Il Beato, dicono, si è completamente liberato a Kusinārā.» Così inviarono un messaggero ai Mallā di Kusinārā: «Il Beato era un nobile guerriero. Anche noi siamo nobili guerrieri. Meritiamo una parte delle reliquie ossee del Beato. Anche noi costruiremo un tumulo funerario e celebreremo una cerimonia per esse.» «Non c’è più alcuna parte delle reliquie ossee del Beato. Sono state divise. Prendete le ceneri da qui.» Presero le ceneri da lì. Poi re Ajātasattu Vedehiputta di Magadha costruì un tumulo funerario e celebrò una cerimonia per le reliquie del Beato a Rājagaha. I Licchavi di Vesālī costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le reliquie del Beato a Vesālī. Gli Śākya di Kapilavatthu costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le reliquie del Beato a Kapilavatthu. I Buli di Allakappa costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le reliquie del Beato ad Allakappa. I Koḷiya di Rāmagāma costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le reliquie del Beato a Rāmagāma. Il bramino dell’Isola di Veṭṭha costruì un tumulo funerario e celebrò una cerimonia per le reliquie del Beato sull’Isola di Veṭṭha. I Mallā di Pāvā costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le reliquie del Beato a Pāvā. I Mallā di Kusinārā costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le reliquie del Beato a Kusinārā. Il bramino Doṇa costruì un tumulo funerario e celebrò una cerimonia per l’urna. I Moriyā di Pipphalivana costruirono un tumulo funerario e celebrarono una cerimonia per le braci a Pipphalivana. Così vi furono otto tumuli funerari per le reliquie ossee, un nono per l’urna e un decimo per le braci. Così fu nel passato. Otto porzioni erano le reliquie di Colui che ha gli Occhi, il più elevato, il primo tra gli uomini: sette onorate in Jambudīpa, e una a Rāmagāma onorata dai re dei nāga. Un dente i Deva dei Trentatré venerano; una è onorata a Gandhārapura; una nel regno del re di Kāliṅga; un’altra è onorata dai re dei nāga. Queste, con il loro splendore, i loro doni eccellenti, abbelliscono questa terra portatrice di ricchezze. Così le reliquie di Colui che ha gli Occhi sono onorate da coloro che sono onorati da coloro che sono onorati. Egli è venerato dai re dei deva, dai re dei nāga, dai re umani, e allo stesso modo è venerato dalle persone più eccellenti. Rendete dunque omaggio a lui, con le mani giunte sul cuore, poiché i Risvegliati si incontrano raramente nel corso di cento eoni.