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Ho udito che in una certa occasione il Beato soggiornava nei pressi di Rājagaha sul Monte del Picco dell’Avvoltoio. E in quell’occasione, Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, voleva attaccare i Vajjiani. Disse: «Sterminerò questi Vajjiani—così potenti, così forti! Distruggerò questi Vajjiani! Porterò questi Vajjiani alla rovina—questi Vajjiani!»
Poi si rivolse a Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha: «Vieni, brāhmano. Va’ dal Beato e, una volta giunto, rendigli omaggio con il capo ai suoi piedi a mio nome e chiedigli se è libero da malattia e sofferenza, sereno, forte e nel benessere, (dicendo:) “Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, signore, rende omaggio con il capo ai piedi del Beato e chiede se egli è libero da malattia e sofferenza, sereno, forte e nel benessere.” E poi di’: “Signore, Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, desidera attaccare i Vajjiani. Dice: ‘Sterminerò questi Vajjiani—così potenti, così forti! Distruggerò questi Vajjiani! Porterò questi Vajjiani alla rovina—questi Vajjiani!’” Qualunque sia la risposta del Beato, comprendila bene e riferiscimela. Poiché i Tathāgata non parlano falsità.”»1
Rispondendo: «Così sia, sire», ad Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha, fece aggiogare i veicoli propizi, salì su un veicolo propizio, lasciò Rājagaha con i veicoli propizi e si diresse verso il Monte del Picco dell’Avvoltoio. Proseguendo col veicolo fin dove il terreno lo permetteva, scese dal veicolo e si avvicinò al Beato a piedi. Una volta arrivato, scambiò saluti rispettosi con il Beato. Dopo aver condiviso parole amichevoli e cortesi, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, disse al Beato: «Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, Maestro Gotama2, mostra reverenza con il capo ai piedi del Maestro Gotama e chiede se lei è libero da malattia e sofferenza, sereno, forte e nel benessere. Maestro Gotama, Ajātasattu Vedehiputta, il re del Magadha, desidera attaccare i Vajjiani. Dice: “Sterminerò questi Vajjiani—così potenti, così forti! Distruggerò questi Vajjiani! Porterò questi Vajjiani alla rovina—questi Vajjiani!”»
Ora, in quell’occasione, il venerabile Ānanda stava dietro al Beato, sventolandolo. Allora il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani si riuniscono spesso e con grande frequenza?»
«L’ho sentito dire, signore, che i Vajjiani si riuniscono spesso e con grande frequenza.»
«Finché i Vajjiani si riuniscono spesso e con grande frequenza, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani si riuniscono in armonia, si sciolgono in armonia e conducono gli affari dei Vajjiani in armonia?»
«L’ho sentito dire, signore.…»
«Finché i Vajjiani si riuniscono in armonia, si sciolgono in armonia e conducono gli affari dei Vajjiani in armonia, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani non decretano ciò che non è stato decretato né abrogano ciò che è stato decretato, ma si comportano seguendo le antiche leggi dei Vajjiani così come sono state stabilite?»
«L’ho sentito dire, signore.…»
«Finché i Vajjiani non decretano ciò che non è stato decretato né abrogano ciò che è stato decretato, ma si comportano seguendo le antiche leggi dei Vajjiani così come sono state stabilite, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio agli anziani dei Vajjiani, considerandoli degni di essere ascoltati?»
«L’ho sentito dire, signore.…»
«Finché i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio agli anziani dei Vajjiani, considerandoli degni di essere ascoltati, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani non rapiscono con brutalità donne e fanciulle di buone famiglie per farle prigioniere?»
«L’ho sentito dire, signore.…»
«Finché i Vajjiani non rapiscono con brutalità donne e fanciulle di buone famiglie per farle prigioniere, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio ai santuari dei Vajjiani, sia all’interno (della città) che all’esterno, e che non lasciano decadere le offerte meritorie compiute in passato e donate in passato a quei santuari?»
«L’ho sentito dire, signore.…»
«Finché i Vajjiani onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio ai santuari dei Vajjiani, sia all’interno (della città) che all’esterno, e non lasciano decadere le offerte meritorie compiute in passato e donate in passato a quei santuari, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Hai sentito dire, Ānanda, che i Vajjiani forniscono adeguata protezione, sorveglianza e custodia per gli arahant (con il pensiero): “Se vi sono arahant che non sono ancora giunti nel nostro territorio, possano venire; e possano gli arahant che sono giunti nel nostro territorio vivere nel benessere”?»
«L’ho sentito dire, signore.…»
«Finché viene fornita adeguata protezione, sorveglianza e custodia per gli arahant da parte dei Vajjiani (con il pensiero): “Se vi sono arahant che non sono ancora giunti nel nostro territorio, possano venire; e possano gli arahant che sono giunti nel nostro territorio vivere nel benessere”, Ānanda, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
Allora il Beato si rivolse a Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha: «Una volta, brāhmano, mi trovavo nei pressi di Vesālī, presso il santuario di Sārandada. Lì insegnai ai Vajjiani queste sette condizioni che conducono al non declino. Finché queste sette condizioni permangono tra i Vajjiani, e finché i Vajjiani restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
A queste parole, Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha, disse al Beato: «Maestro Gotama, anche se i Vajjiani fossero dotati di una sola di queste condizioni che conducono al non declino, ci si potrebbe comunque aspettare la loro prosperità, non il loro declino—per non parlare di tutte e sette. Nulla può essere fatto ai Vajjiani da parte del re Ajātasattu Vedehiputta, re del Magadha, con la forza delle armi—eccetto che tramite l’amicizia e la semina della discordia (fra di loro).3
«Ebbene, Maestro Gotama, dobbiamo andare ora. Molti sono i nostri doveri, molte le nostre responsabilità.»
«Allora fa’, brāhmano, ciò che ritieni sia ora il momento di fare.»
Allora Vassakāra il brāhmano, ministro capo del Magadha, compiacendosi e approvando le parole del Beato, si alzò dal suo posto e se ne andò.
Non molto tempo dopo la sua partenza, il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Va’, Ānanda. Fa’ radunare nella sala delle assemblee tutti i monaci che vivono in dipendenza da Rājagaha.»
Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il venerabile Ānanda—dopo aver fatto radunare nella sala delle assemblee tutti i monaci che vivevano in dipendenza da Rājagaha—si avvicinò al Beato. Una volta arrivato, dopo essersi prosternato davanti a lui, rimase in piedi a un lato. Mentre stava lì in piedi, disse al Beato: «Il Saṅgha dei monaci si è riunito, signore. Che il Beato faccia ciò che ritiene sia ora il momento di fare.»
Allora il Beato, alzandosi dal suo posto, si recò alla sala delle assemblee e, una volta arrivato, si sedette sul seggio preparato. Sedutosi, si rivolse ai monaci:
«Monaci, vi insegnerò le sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.»
«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.
Il Beato disse:
«Monaci, finché i monaci si riuniscono spesso, si riuniscono con grande frequenza, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché i monaci si riuniscono in armonia, si sciolgono in armonia e conducono gli affari del Saṅgha in armonia, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché i monaci non decretano ciò che non è stato decretato né abrogano ciò che è stato decretato, ma si comportano seguendo le regole di addestramento così come sono state stabilite, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché i monaci onorano, rispettano, venerano e rendono omaggio ai monaci anziani—coloro che hanno lunga anzianità di ordinazione, i padri del Saṅgha, le guide del Saṅgha—considerandoli degni di essere ascoltati, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché i monaci non si lasciano dominare da alcuna brama sorta che conduca al divenire ulteriore, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché i monaci vedono il proprio beneficio nel dimorare in luoghi selvaggi, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
E finché ciascun monaco tiene fermamente a mente: “Se vi sono nobili compagni nella vita santa che non sono ancora giunti, possano venire; e possano i nobili compagni nella vita santa che sono giunti vivere nel benessere”, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
«Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.»
«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.
Il Beato disse:
«Monaci, finché i monaci non sono infatuati del lavoro (di costruzione), non si compiacciono del lavoro di costruzione e non si dedicano con attaccamento al lavoro di costruzione, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché i monaci non sono infatuati delle chiacchiere…
«Finché i monaci non sono infatuati del dormire…
«Finché i monaci non sono infatuati dell’intrigo…
«Finché i monaci non sono infatuati della cattiva ambizione e non cadono sotto il potere delle cattive ambizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché i monaci non hanno cattivi amici, cattivi compagni e cattivi compagni di pratica, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«E finché i monaci non si arrestano a metà cammino, accontentandosi di realizzazioni e distinzioni inferiori, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
«Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.»
«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.
Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci possiedono fiducia… senso del pudore… scrupolo… conoscenza… energia risvegliata… presenza mentale stabilita… discernimento, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
«Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.»
«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.
Il Beato disse:
«Monaci, finché i monaci coltivano la consapevolezza come fattore del risveglio… l’analisi dei fenomeni come fattore del risveglio… l’energia come fattore del risveglio… l’estasi come fattore del risveglio… la calma come fattore del risveglio… la concentrazione come fattore del risveglio… l’equanimità come fattore del risveglio, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
«Monaci, vi insegnerò altre sette condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.»
«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.
Il Beato disse: «Monaci, finché i monaci coltivano la percezione dell’impermanenza… la percezione del non-sé… la percezione della non-attrattività… la percezione degli svantaggi… la percezione dell’abbandono… la percezione del distacco… la percezione della cessazione, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
Finché queste sette condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sette condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
«Monaci, vi insegnerò altre sei condizioni che conducono al non declino. Ascoltate e prestate molta attenzione. Parlerò.»
«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.
Il Beato disse:
«Finché i monaci sono orientati ad atti corporei di benevolenza nei confronti dei loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché i monaci sono orientati ad atti verbali di benevolenza nei confronti dei loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle…
«Finché i monaci sono orientati ad atti mentali di benevolenza nei confronti dei loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle…
«Finché i monaci, qualunque guadagno retto possano ottenere in modo retto—anche solo le elemosine nelle loro ciotole—non li consumano da soli, ma li consumano dopo averli condivisi con i loro virtuosi compagni nella vita santa…
«Finché i monaci—riguardo alle virtù che sono integre, non infrante, senza macchia, non contaminate, liberanti, lodate da chi osserva, non afferrate, e che conducono alla concentrazione—vivono in armonia con quelle stesse virtù insieme ai loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle…
«E finché i monaci—riguardo alla visione che è nobile, rivolta all’uscita, e che conduce coloro che vi agiscono in accordo al giusto termine della sofferenza e del disagio—vivono in accordo con quella visione insieme ai loro compagni nella vita santa, sia in loro presenza che alle loro spalle, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.
«Finché queste sei condizioni permangono tra i monaci, e finché i monaci restano saldi in queste sei condizioni, ci si può aspettare la loro prosperità, non il loro declino.»
Durante il soggiorno nei pressi di Rājagaha, sul Monte del Picco dell’Avvoltoio, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dalle efflussi, cioè l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.»
Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Rājagaha finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso Ambalaṭṭhikā.»
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«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.
Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò ad Ambalaṭṭhikā. Lì soggiornò nei pressi di Ambalaṭṭhikā, presso il Padiglione Reale. Durante il soggiorno nei pressi di Ambalaṭṭhikā, presso il Padiglione Reale, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.»
Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Ambalaṭṭhikā finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso Nāḷandā.»
«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.
Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò a Nāḷandā. Lì soggiornò nei pressi di Nāḷandā, presso il boschetto di mango di Pāvārika.
Poi il venerabile Sāriputta si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato davanti a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, il venerabile Sāriputta disse al Beato: «Signore, ho fiducia nel Beato: che non vi sia stato, né vi sarà, né vi è ora alcun contemplativo o brāhmano la cui conoscenza diretta del risveglio sia superiore a quella del Beato!»
«Grandiosa è questa tua dichiarazione taurina, Sāriputta; categorico è questo tuo ruggito leonino: “Signore, ho fiducia nel Beato: che non vi sia stato, né vi sarà, né vi è ora alcun contemplativo o brāhmano la cui conoscenza diretta del risveglio sia superiore a quella del Beato!”
Ebbene, Sāriputta, hai forse abbracciato con la tua consapevolezza la consapevolezza di tutti i degni, i perfettamente risvegliati che ci sono stati nel passato, conoscendo: “Tale era la loro virtù, tale il loro Dhamma, tale il loro discernimento, tale la loro dimora (meditativa), tale la loro liberazione”?»
«No, signore.»
«Hai allora abbracciato con la tua consapevolezza la consapevolezza di tutti i degni, i perfettamente risvegliati che vi saranno nel futuro, conoscendo: “Tale sarà la loro virtù, tale il loro Dhamma, tale il loro discernimento, tale la loro dimora (meditativa), tale la loro liberazione”?»
«No, signore.»
«Hai allora abbracciato con la tua consapevolezza la mia consapevolezza — la consapevolezza del degno, del perfettamente risvegliato nel presente — conoscendo: “Tale è la sua virtù, tale il suo Dhamma, tale il suo discernimento, tale la sua dimora (meditativa), tale la sua liberazione”?»
«No, signore.»
«E allora, Sāriputta, se non possiedi la conoscenza della consapevolezza dei degni, dei perfettamente risvegliati del passato, del futuro e del presente, come mai hai appena pronunciato questa grandiosa dichiarazione taurina e ruggito questo categorico ruggito leonino: “Signore, ho fiducia nel Beato: che non vi sia stato, né vi sarà, né vi è ora alcun contemplativo o brāhmano la cui conoscenza diretta del risveglio sia superiore a quella del Beato”?»
«Signore, non ho conoscenza della consapevolezza dei degni, dei perfettamente risvegliati del passato, del futuro e del presente, ma ho conosciuto la coerenza del Dhamma. È come se vi fosse una città reale di confine con forti bastioni, solide mura e archi, e un’unica porta. E in essa vi fosse un portinaio saggio, abile e intelligente, che lascia entrare solo coloro che conosce ed esclude coloro che non conosce. Camminando lungo il sentiero che circonda la città, egli non vedrebbe crepe né aperture nelle mura, nemmeno abbastanza grandi da farvi passare un gatto. E gli sorgerebbe questo pensiero: “Qualunque grande creatura entri o esca dalla città, tutte entrano o escono attraverso questa porta.”»
«Allo stesso modo, ho conosciuto la coerenza del Dhamma: “Tutti coloro che nel passato furono degni, perfettamente risvegliati, hanno raggiunto il perfetto, insuperabile risveglio dopo aver abbandonato i cinque ostacoli — quelle impurità della consapevolezza che indeboliscono il discernimento —, dopo aver ben stabilito la mente nei quattro fondamenti della consapevolezza, e dopo aver sviluppato, così come realmente sono, i sette fattori del risveglio. Tutti coloro che in futuro saranno degni, perfettamente risvegliati, raggiungeranno il perfetto, insuperabile risveglio dopo aver abbandonato i cinque ostacoli — quelle impurità della consapevolezza che indeboliscono il discernimento —, dopo aver ben stabilito la mente nei quattro fondamenti della consapevolezza, e dopo aver sviluppato, così come realmente sono, i sette fattori del risveglio. Il Beato, che ora è il degno, il perfettamente risvegliato, ha raggiunto il perfetto, insuperabile risveglio dopo aver abbandonato i cinque ostacoli — quelle impurità della consapevolezza che indeboliscono il discernimento —, dopo aver ben stabilito la mente nei quattro fondamenti della consapevolezza, e dopo aver sviluppato, così come realmente sono, i sette fattori del risveglio.”»
Durante il soggiorno nei pressi di Nāḷandā, presso il boschetto di mango di Pāvārika, il Beato spesso offriva questo discorso di Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione nutrita dalla virtù porta grande frutto, grande beneficio. Il discernimento nutrito dalla concentrazione porta grande frutto, grande beneficio. La mente nutrita dal discernimento è giustamente liberata dagli efflussi, cioè: l’efflusso della sensualità, l’efflusso del divenire, l’efflusso dell’ignoranza.»
Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi di Nāḷandā finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, ci dirigeremo verso il villaggio di Pāṭali.»
«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.
Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò al villaggio di Pāṭali. I laici seguaci del villaggio di Pāṭali sentirono dire: «Si dice che il Beato sia giunto al villaggio di Pāṭali.» Così si recarono dal Beato e, una volta arrivati, dopo essersi prosternati dinanzi a lui, si sedettero a un lato. Mentre erano seduti lì, dissero: «Signore, possa il Beato acconsentire all’uso della sala del rifugio.»
Il Beato acconsentì con il silenzio. Intuendo il suo consenso, i laici del villaggio di Pāṭali si alzarono dai loro posti e, prosternatisi davanti a lui e circumambulandolo, si recarono alla sala del rifugio. Una volta arrivati, la ricoprirono interamente con stuoie di feltro, disposero dei sedili, sistemarono un recipiente d’acqua e accesero una lampada a olio. Poi si recarono dal Beato e, una volta arrivati, dopo essersi prosternati dinanzi a lui, rimasero in piedi a un lato. Mentre stavano lì in piedi, dissero: «Signore, la sala del rifugio è stata ricoperta interamente con stuoie di feltro, i sedili sono stati disposti, un recipiente d’acqua è stato sistemato e una lampada a olio accesa. Possa il Beato fare ciò che ritiene sia ora il momento di fare.»
Così il Beato, la sera, dopo aver sistemato la sua veste inferiore e preso la ciotola e la veste esterna, si recò insieme al Saṅgha dei monaci alla sala del rifugio. Una volta arrivato, si lavò i piedi, entrò nella sala e si sedette con la schiena rivolta al pilastro centrale, guardando verso est. Il Saṅgha dei monaci si lavò i piedi, entrò nella sala e si sedette con la schiena rivolta al muro occidentale, guardando verso est, disposti attorno al Beato.
I laici del villaggio di Pāṭali si lavarono i piedi, entrarono nella sala e si sedettero con la schiena rivolta al muro orientale, guardando verso ovest, disposti attorno al Beato.
Allora il Beato si rivolse ai laici del villaggio di Pāṭali: «Capifamiglia, vi sono questi cinque svantaggi derivanti dal difetto di virtù in una persona non virtuosa. Quali cinque?
«C’è il caso in cui una persona non virtuosa, difettosa nella virtù, per via della sua negligenza subisce la perdita o la confisca di grandi ricchezze. Questo è il primo svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa.
«E inoltre, la cattiva reputazione della persona non virtuosa, difettosa nella virtù, si diffonde ovunque. Questo è il secondo svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa.
«E inoltre, qualunque assemblea la persona non virtuosa, difettosa nella virtù, frequenti—che si tratti di nobili guerrieri, brāhmani, capifamiglia o contemplativi—vi si reca senza fiducia e con imbarazzo. Questo è il terzo svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa.
«E inoltre, la persona non virtuosa, difettosa nella virtù, muore confusa. Questo è il quarto svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa.
«E inoltre, la persona non virtuosa, difettosa nella virtù—alla dissoluzione del corpo, dopo la morte—riappare in un piano di privazione, in una cattiva destinazione, in un regno inferiore, all’inferno. Questo è il quinto svantaggio derivante dal difetto di virtù in una persona non virtuosa.
«Questi, capifamiglia, sono i cinque svantaggi derivanti dal difetto di virtù in una persona non virtuosa.
«Capifamiglia, vi sono questi cinque benefici derivanti dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa. Quali cinque?
«C’è il caso in cui una persona virtuosa, perfetta nella virtù, per via della sua diligenza ottiene una grande ricchezza. Questo è il primo beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.
«E inoltre, la buona reputazione della persona virtuosa, perfetta nella virtù, si diffonde ovunque. Questo è il secondo beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.
«E inoltre, qualunque assemblea la persona virtuosa, perfetta nella virtù, frequenti—che si tratti di nobili guerrieri, brāhmani, capifamiglia o contemplativi—vi si reca con fiducia e senza imbarazzo. Questo è il terzo beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.
«E inoltre, la persona virtuosa, perfetta nella virtù, muore senza confusione. Questo è il quarto beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.
«E inoltre, la persona virtuosa, perfetta nella virtù—alla dissoluzione del corpo, dopo la morte—riappare in una buona destinazione, in un mondo celeste. Questo è il quinto beneficio derivante dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.
«Questi, capifamiglia, sono i cinque benefici derivanti dalla perfezione nella virtù di una persona virtuosa.»
Allora il Beato—dopo aver istruito, esortato, ispirato e incoraggiato con un discorso di Dhamma i laici del villaggio di Pāṭali per buona parte della notte—li congedò dicendo: «La notte è ormai inoltrata, capifamiglia. Fate ciò che ritenete sia ora il momento di fare.»
Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, i laici del villaggio di Pāṭali si alzarono dai loro posti e, prosternandosi davanti a lui e circumambulandolo, se ne andarono. Allora il Beato, non molto tempo dopo la loro partenza, entrò in un edificio vuoto.
Ora, in quell’occasione, Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, stavano costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali per prevenire i Vajjiani. E in quell’occasione, migliaia di deva stavano occupando dei luoghi nel villaggio di Pāṭali. Nelle aree in cui deva di grande influenza occupavano dei siti, lì le menti dei ministri reali del re, di grande influenza, erano inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree in cui deva di media influenza occupavano dei siti, lì le menti dei ministri reali del re, di media influenza, erano inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree in cui deva di bassa influenza occupavano dei siti, lì le menti dei ministri reali del re, di bassa influenza, erano inclini a costruire le loro dimore.
Il Beato, con l’occhio divino—purificato e che trascende l’umano—vide quei deva a migliaia occupare siti nel villaggio di Pāṭali.
Poi, alzandosi nell’ultima veglia della notte, il Beato si rivolse al venerabile Ānanda:
«Ānanda, chi sta costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali?»
«Signore, Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, stanno costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali per prevenire i Vajjiani.»
«Ānanda, è come se avessero consultato i Deva dei Trentatré: proprio così Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, stanno costruendo una città presso il villaggio di Pāṭali per prevenire i Vajjiani.
«Poco fa, Ānanda—con l’occhio divino, purificato e che trascende l’umano—ho visto molti deva, a migliaia, occupare siti nel villaggio di Pāṭali. Nelle aree dove i deva di grande influenza occupano siti, lì le menti dei ministri reali del re, di grande influenza, sono inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree dove i deva di media influenza occupano siti, lì le menti dei ministri reali del re, di media influenza, sono inclini a costruire le loro dimore. Nelle aree dove i deva di bassa influenza occupano siti, lì le menti dei ministri reali del re, di bassa influenza, sono inclini a costruire le loro dimore.
«Ānanda, per quanto si estenda la sfera degli Ariya, per quanto si estendano le vie dei mercanti, questa sarà la città suprema: Pāṭaliputta4, dove i baccelli della pianta di pāṭali si schiudono. Tre saranno i pericoli per Pāṭaliputta: dal fuoco, dall’acqua, o dalla rottura delle alleanze.»
Allora Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, si recarono dal Beato e, una volta arrivati, scambiarono con lui saluti rispettosi. Dopo uno scambio di parole amichevoli e di cortesia, si fermarono a un lato. Mentre stavano lì in piedi, dissero: «Possa il maestro Gotama acconsentire al nostro pasto di oggi, insieme al Saṅgha dei monaci.»
Il Beato acconsentì con il silenzio.
Allora Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha, comprendendo il consenso del Beato, si recarono alla loro sala del rifugio. Una volta arrivati, dopo aver fatto preparare nella loro sala un raffinato cibo solido e non solido, annunciarono al Beato che era giunto il momento: «È ora, maestro Gotama. Il pasto è pronto.»
Allora il Beato, di primo mattino, sistemata la veste inferiore e—presa la ciotola e la veste esterna—si recò insieme al Saṅgha dei monaci alla sala del rifugio di Sunidha e Vassakāra, i ministri capi del Magadha. Una volta arrivato, si sedette sul seggio preparato. Sunidha e Vassakāra, con le proprie mani, servirono e soddisfecero il Saṅgha dei monaci, con il Buddha alla testa, con raffinato cibo solido e non solido. Poi, quando il Beato ebbe terminato il pasto e si fu sciacquato ciotola e mani, Sunidha e Vassakāra, prendendo un sedile basso, si sedettero a un lato. Mentre erano seduti lì, il Beato espresse il suo compiacimento con questi versi:
In qualunque luogo
una persona saggia stabilisca la sua dimora,
—lì offrendo cibo
ai virtuosi,
ai disciplinati,
alle guide della vita santa—
egli dovrebbe dedicare quell’offerta
ai deva di quel luogo.Essi, ricevendo onore, lo onoreranno;
essendo rispettati, gli mostreranno rispetto.
Come risultato, proveranno per lui simpatia,
come quella di una madre per il suo bambino, suo figlio.Una persona per cui i deva provano simpatia
incontra sempre cose propizie.
Allora il Beato, dopo aver espresso il suo compiacimento a Sunidha e Vassakāra con quei versi, si alzò dal suo posto e se ne andò. E in quell’occasione, Sunidha e Vassakāra lo seguirono immediatamente, (pensando:)
«Attraverso qualunque porta Gotama il contemplativo parta oggi, quella sarà chiamata Porta di Gotama. E attraverso qualunque guado egli attraversi il fiume Gange, quello sarà chiamato Guado di Gotama.»
Così, la porta da cui il Beato partì fu chiamata Porta di Gotama. Poi si recò al fiume Gange. Ora, in quell’occasione, il fiume Gange era colmo fino alle sponde, tanto che un corvo avrebbe potuto berne. Alcune persone cercavano barche; alcune cercavano zattere; alcune legavano insieme tronchi, sperando di attraversare da questa riva all’altra. Allora il Beato—così come un uomo forte potrebbe estendere il braccio piegato o piegare il braccio esteso—scomparve dalla riva vicina del fiume Gange e riapparve sulla riva opposta insieme al Saṅgha dei monaci. Vide che alcune persone stavano cercando barche; alcune stavano cercando zattere; alcune stavano legando insieme tronchi, sperando di passare da questa riva all’altra.
Poi, realizzando il significato di ciò, il Beato in quell’occasione esclamò:
Coloro
che attraversano la schiumosa piena,
avendo costruito un ponte, evitando le paludi
—mentre altri legano zattere—
le persone sagge
hanno già attraversato.
Note
1 C’è un gioco di parole in questa frase, tra Tathāgata («colui che è realmente andato» o «colui che è divenuto vero») e vi-tathaṁ, che significa “in modo non veritiero” o “falsamente”. ↩
2 Si noti che Vassakāra, rivolgendosi al Buddha con l’appellativo «Maestro Gotama», mostra un grado di rispetto inferiore rispetto a quello che il re Ajātasattu gli aveva chiesto di esprimere. ↩
3 Secondo il Commentario, è proprio ciò che Vassakāra fece, permettendo così al re Ajātasattu di sconfiggere i Vajjiani senza spargimento di sangue. Oltre ad avere un tono ironico — mostrando quanto fosse ottenebrato Ajātasattu, nel cercare consigli militari dal Buddha — questo passaggio assume un significato toccante per il Saṅgha. Come mostra il brano successivo, le condizioni di non declino per il Saṅgha non sono molto diverse da quelle stabilite per i Vajjiani. E sebbene tali condizioni possano regnare all’interno del Saṅgha, l’esempio dei Vajjiani mostra quanto facilmente possano essere abbandonate. Questo passo serve dunque da monito a non cadere nella negligenza. ↩
4 Pāṭaliputta divenne in seguito la capitale dell’impero del re Asoka. L’“aprirsi dei baccelli (pūṭa-bhedana)” è un gioco di parole sull’ultima parte del nome della città. Le evidenze archeologiche di quella che potrebbe essere stata una parte del palazzo di Asoka a Pāṭaliputta mostrano pali di legno bruciati sepolti nel fango—forse un segno che il palazzo fu incendiato e poi sommerso da un’inondazione. ↩