Il Discorso sul Grande Scioglimento Finale

Mahā Parinibbāna Sutta (DN 16)

4

Allora il Beato, di buon mattino, sistemò la veste inferiore e — presa la ciotola e la veste esterna — entrò a Vesālī per l’elemosina. Dopo aver raccolto l’elemosina a Vesālī, al termine del pasto, tornando dal giro dell’elemosina e volgendo su Vesālī uno sguardo d’elefante, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, questo è l’ultimo sguardo che il Tathāgata rivolge a Vesālī. Su, Ānanda, andiamo al villaggio di Bhaṇḍa.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Allora il Beato, insieme a una grande Saṅgha di monaci, si recò al villaggio di Bhaṇḍa. Lì, il Beato dimorò nei pressi del villaggio di Bhaṇḍa.

E lì si rivolse ai monaci: «Per non aver compreso e penetrato quattro qualità, monaci, abbiamo errato e vagato a lungo, io e voi. Quali quattro?

«Per non aver compreso e penetrato la nobile virtù, abbiamo errato e vagato a lungo, io e voi. Per non aver compreso e penetrato la nobile concentrazione… per non aver compreso e penetrato la nobile saggezza… per non aver compreso e penetrato la nobile liberazione, abbiamo errato e vagato a lungo, io e voi.

«(Ma ora) questa nobile virtù è stata compresa e penetrata, la nobile concentrazione è stata compresa e penetrata, la nobile saggezza è stata compresa e penetrata, la nobile liberazione è stata compresa e penetrata. Il desiderio di esistere è stato annientato, la guida all’esistenza [cioè la brama] è terminata. Non c’è più ulteriore divenire.»

Così disse il Beato. E, dopo averlo detto, il Maestro, il Ben Andato, proseguì:

Virtù, concentrazione, saggezza
e l’insuperabile liberazione:
queste qualità sono state realizzate
da Gotama, l’illustre.

Avendole conosciute direttamente, le mostra ai monaci—
il risvegliato,
il maestro che ha posto fine al dolore,
colui che ha gli occhi,
pienamente liberato.

Mentre si trovava presso il villaggio di Bhaṇḍa, il Beato offriva spesso questo discorso sul Dhamma ai monaci: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è la comprensione. La concentrazione coltivata con la virtù è di grande frutto, grande ricompensa. La comprensione coltivata con la concentrazione è di grande frutto, grande ricompensa. La mente coltivata con la comprensione è correttamente liberata dalle contaminazioni, cioè la contaminazione della sensualità, la contaminazione del divenire, la contaminazione dell’ignoranza.»

Poi il Beato, dopo essere rimasto nei pressi del villaggio di Bhaṇḍa finché lo desiderò, disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, andiamo al villaggio di Hatthi, al villaggio di Amba, al villaggio di Jambu, fino a Bhoganagara.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Allora il Beato, insieme a un vasto Saṅgha di monaci, si recò a Bhoganagara. Lì il Beato soggiornò nei pressi di Bhoganagara presso il santuario di Ānanda.

Lì il Beato si rivolse ai monaci: «Monaci, vi insegnerò quattro grandi criteri. Ascoltate e prestate attenta attenzione.»

«Così sia, signore», risposero i monaci al Beato.

Il Beato disse: «C’è il caso in cui un monaco dice: “Faccia a faccia con il Beato ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” La sua affermazione non va né approvata né disprezzata. Senza approvazione né disprezzo, prendete attentamente nota delle sue parole e confrontatele con i Sutta e verificatele in base al Vinaya. Se, mettendole a confronto con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che non concordano con i Sutta né con il Vinaya, potete concludere: “Questa non è parola del Beato; questo monaco l’ha fraintesa” – e dovreste rigettarla. Ma se, confrontandole con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che concordano con i Sutta e con il Vinaya, potete concludere: “Questa è parola del Beato; questo monaco l’ha compresa correttamente.”

«Poi c’è il caso in cui un monaco dice: “In un monastero laggiù risiede un Saṅgha con noti e rispettati anziani. Faccia a faccia con quel Saṅgha ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” …

«Poi c’è il caso in cui un monaco dice: “In un monastero laggiù risiedono molti monaci anziani eruditi, esperti nella tradizione, che hanno memorizzato il Dhamma, il Vinaya e la Mātikā.35 Faccia a faccia con quegli anziani ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” …

«Poi c’è il caso in cui un monaco dice: “In un monastero laggiù risiede un monaco anziano erudito, esperto nella tradizione, che ha memorizzato il Dhamma, il Vinaya e la Mātikā. Faccia a faccia con quell’anziano ho udito questo, faccia a faccia l’ho ricevuto: Questo è il Dhamma, questo è il Vinaya, questa è l’istruzione del Maestro.” La sua affermazione non va né approvata né disprezzata. Senza approvazione né disprezzo, prendete attentamente nota delle sue parole e confrontatele con i Sutta e verificatele in base al Vinaya. Se, mettendole a confronto con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che non concordano con i Sutta né con il Vinaya, potete concludere: “Questa non è parola del Beato; questo monaco l’ha fraintesa” – e dovreste rigettarla. Ma se, confrontandole con i Sutta e verificandole in base al Vinaya, trovate che concordano con i Sutta e con il Vinaya, potete concludere: “Questa è parola del Beato; questo monaco l’ha compresa correttamente.”

«Monaci, ricordate questi quattro grandi criteri.»

Mentre soggiornava lì vicino a Bhoganagara, presso il santuario di Ānanda, il Beato spesso rivolse ai monaci questo discorso sul Dhamma: «Tale è la virtù, tale è la concentrazione, tale è il discernimento. La concentrazione coltivata con la virtù ha grandi frutti, grande beneficio. Il discernimento coltivato con la concentrazione ha grandi frutti, grande beneficio. La mente coltivata con il discernimento è giustamente liberata dalle contaminazioni, ossia la contaminazione della sensualità, la contaminazione del divenire, la contaminazione dell’ignoranza.»

Poi il Beato, dopo aver soggiornato vicino a Bhoganagara presso il santuario di Ānanda quanto desiderava, disse al venerabile Ānanda: «Su, Ānanda, andiamo a Pāvā.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò a Pāvā. Lì il Beato soggiornò vicino a Pāvā, nel boschetto di mango di Cunda, il fabbro d’argento.

Cunda il fabbro d’argento udì: «Dicono che il Beato, giunto a Pāvā, stia soggiornando presso Pāvā, nel mio boschetto di mango.»

Allora Cunda si recò dal Beato e, giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Seduto lì, il Beato lo istruì, lo esortò, lo spronò e lo incoraggiò con un discorso sul Dhamma. Poi Cunda—istruito, esortato, spronato e incoraggiato dal discorso sul Dhamma del Beato—gli disse: «Signore, che il Beato acconsenta a prendere il pasto da me domani, insieme al Saṅgha dei monaci.»

Il Beato acconsentì con il silenzio.

Cunda, comprendendo l’acquiescenza del Beato, si alzò dal suo posto e, prosternandosi e girandogli attorno con rispetto, se ne andò. Poi, sul finire della notte, dopo aver fatto preparare nella propria casa squisiti cibi base e secondari—compresa una grande quantità di delizia di maiale1—fece annunciare al Beato: «È ora, signore. Il pasto è pronto.»

Allora il Beato, di primo mattino, aggiustata la sua veste inferiore e, preso il suo mantello esterno e la scodella, si recò insieme al Saṅgha dei monaci alla dimora di Cunda. Giunto là, si sedette sul sedile preparato. Seduto, disse a Cunda: «Cunda, servimi con la prelibatezza di maiale che hai preparato, e il Saṅgha dei monaci con gli altri cibi principali e non principali che hai preparato.»

Cunda, rispondendo al Beato: «Così sia, signore», servì il Beato con la prelibatezza di maiale che aveva preparato, e il Saṅgha dei monaci con gli altri cibi principali e non principali che aveva preparato. Poi il Beato gli disse: «Cunda, seppellisci in una fossa la rimanente prelibatezza di maiale. Non vedo nessuno al mondo, insieme con i suoi deva, Māra e Brahmā, in questa generazione con i suoi contemplativi e brahmani, i suoi sovrani e gente comune, in cui, una volta ingerita, essa porterebbe a una trasformazione salutare, eccetto che nel Tathāgata.»

Cunda, rispondendo al Beato: «Così sia, signore», seppellì la rimanente prelibatezza di maiale in una fossa, si recò dal Beato e, giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Seduto là, il Beato—dopo averlo istruito, esortato, spronato e incoraggiato con un discorso sul Dhamma—si alzò dal sedile e partì.

Poi, nel Beato, dopo aver consumato il pasto di Cunda, sorse una grave malattia accompagnata da emissione di sangue, con dolori intensi e mortali. Ma il Beato la sopportò—consapevole, lucido, e non sopraffatto da essa.

Poi si rivolse al venerabile Ānanda:
«Ānanda, andremo a Kusinārā.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Ho udito che,
dopo aver consumato il pasto di Cunda l’argentiere,
l’Illuminato fu colpito dalla malattia—
violenta, mortale.
Dopo aver mangiato la prelibatezza di maiale,
una grave infermità sorse nel Maestro.
Dopo esserne stato purificato,
il Beato disse:
«Alla città di Kusinārā
andrò.»

Allora il Beato, scendendo dalla strada, si recò presso un certo albero e, giunto, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore sistema il mio mantello esterno piegato in quattro. Sono stanco. Mi siederò.»

Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», il venerabile Ānanda sistemò il mantello esterno piegato in quattro. Il Beato si sedette sul sedile preparato.

Seduto, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore portami un po’ d’acqua. Ho sete. Voglio bere.»

A queste parole, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, proprio ora sono passati cinquecento carri. Il piccolo ruscello—solcato dalle ruote—scorre torbido e agitato. Ma non lontano scorre il fiume Kakudha, con acqua pura, gradevole, fresca, limpida,2 dalle rive tranquille, rinfrancante. Là il Beato potrà bere acqua potabile e rinfrescare le membra.»

Per la seconda volta, il Beato disse al venerabile Ānanda:
«Ānanda, per favore portami un po’ d’acqua. Ho sete. Voglio bere.»

Per la seconda volta, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, proprio ora sono passati cinquecento carri. L’esiguo corso d’acqua—solcato dalle ruote—scorre torbido e agitato. Ma non lontano scorre il fiume Kakudha, con acqua pura, gradevole, fresca, limpida, dalle rive tranquille, rinfrancante. Là il Beato potrà bere acqua potabile e rinfrescare le membra.»

Per la terza volta, il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore portami un po’ d’acqua. Ho sete. Voglio bere.»

Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», il venerabile Ānanda—presa una scodella—si recò al ruscello. E il piccolo ruscello che, solcato dalle ruote, scorreva torbido e agitato, al suo avvicinarsi cominciò a scorrere puro, limpido e calmo. Gli sorse il pensiero: «Straordinario! Meraviglioso!—il grande potere e la grande forza del Tathāgata!—che questo piccolo ruscello che, solcato dalle ruote, scorreva torbido e agitato, al mio avvicinarsi scorra puro, limpido e calmo!»

Attinta l’acqua con la scodella, si recò dal Beato e, giunto, disse:
«Straordinario! Meraviglioso!—il grande potere e la grande forza del Tathāgata!—che questo piccolo ruscello che, solcato dalle ruote, scorreva torbido e agitato, al mio avvicinarsi scorra puro, limpido e calmo! Beva l’acqua, o Beato! Beva l’acqua, o Bene Andato!»

In quell’occasione Pukkusa Mallaputta, discepolo di Āḷāra Kālāma, stava viaggiando sulla strada da Kusinārā a Pāvā. Vide il Beato seduto alla radice di un albero e, vedutolo, si avvicinò a lui. Giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Seduto là, disse al Beato:
«È straordinario, signore. È meraviglioso: il pacifico dimorare con cui vivono coloro che hanno lasciato la casa. Una volta, Āḷāra Kālāma, viaggiando, scese dalla strada e si sedette non lontano, alla radice di un albero, per il soggiorno diurno. Poi cinquecento carri passarono proprio accanto a lui. Allora un uomo, giungendo subito dopo quei centinaia di carri, si avvicinò ad Āḷāra Kālāma e, giunto, gli disse: “Venerabile signore, hai visto cinquecento carri passare?” “No, amico, non li ho visti.” “Ma hai udito il rumore?” “No, amico, non l’ho udito.” “Eri forse addormentato?” “No, amico, non ero addormentato.” “Ma eri cosciente?” “Sì, amico.” “Allora, venerabile signore, essendo cosciente e sveglio quando cinquecento carri sono passati proprio accanto a te, né li hai visti né hai udito alcun suono. Eppure il tuo mantello esterno è coperto di polvere!” “Sì, amico.” Allora a quell’uomo sorse il pensiero: “Straordinario! Meraviglioso: il pacifico dimorare con cui vivono coloro che hanno lasciato la casa—che, essendo cosciente e sveglio mentre cinquecento carri passano proprio accanto, non li veda né udisca alcun suono!”» Dopo aver proclamato una fede immensa in Āḷāra Kālāma, se ne andò.3

«Che ne pensi, Pukkusa? Cosa è più difficile da fare, più difficile da padroneggiare: uno che, essendo cosciente e sveglio mentre cinquecento carri passano proprio accanto, né li vede né ode alcun suono; oppure uno che, essendo cosciente e sveglio mentre il deva della pioggia sta piovendo, il deva della pioggia sta rovesciando l’acqua, i lampi guizzano e un fulmine squarcia l’aria, né li vede né ode alcun suono?»

«Signore, che sarebbero mai cinquecento carri—o seicento carri, o settecento, o ottocento, o novecento, o mille carri… o centomila carri? Più difficile sarebbe da fare, più difficile da padroneggiare: uno che, essendo cosciente e sveglio mentre il deva della pioggia sta piovendo, il deva della pioggia sta rovesciando l’acqua, i lampi guizzano e un fulmine squarcia l’aria, né li vede né ode alcun suono.»

«Una volta, Pukkusa, dimoravo nei pressi di Ātumā, in un granaio per la trebbiatura. E in quell’occasione, mentre il deva della pioggia stava piovendo, il deva della pioggia stava rovesciando l’acqua, i lampi guizzavano e un fulmine squarciava l’aria non lontano dal granaio, due agricoltori—fratelli—morirono, insieme a quattro buoi.

Allora una grande folla di persone uscì da Ātumā verso il luogo dove i due agricoltori—fratelli—erano morti, insieme ai quattro buoi. E in quell’occasione io, uscito dal granaio, stavo praticando meditazione camminata davanti alla porta del granaio. Un uomo di quella grande folla si avvicinò a me e, giunto, dopo essersi prosternato, stette a un lato. Mentre stava lì in piedi, gli dissi:
“Amico, perché si è raccolta questa grande folla di persone?”

«“Proprio ora, signore—mentre il deva della pioggia stava piovendo, il deva della pioggia stava rovesciando l’acqua, i lampi guizzavano e un fulmine squarciava l’aria—due agricoltori—fratelli—sono morti, insieme a quattro buoi. È per questo che si è radunata questa grande folla di persone. Ma tu, signore: dove ti trovavi?”»

«“Ero proprio qui, amico.”»

«“Ma hai visto qualcosa?”»

«“No, amico, non ho visto nulla.”»

«“Hai udito il rumore?”»

«“No, amico, non l’ho udito.”»

«“Eri forse addormentato?”»

«“No, amico, non ero addormentato.”»

«“Ma eri cosciente?”»

«“Sì, amico.”»

«“Allora, signore, essendo cosciente e sveglio mentre il deva della pioggia stava piovendo, il deva della pioggia stava rovesciando l’acqua, i lampi guizzavano e un fulmine squarciava l’aria, né hai visto nulla né hai udito alcun suono.”»

«“Sì, amico.”»

«Allora a quell’uomo sorse il pensiero: “Straordinario! Meraviglioso: il pacifico dimorare con cui vivono coloro che hanno lasciato la casa—che, mentre il deva della pioggia sta piovendo, il deva della pioggia sta rovesciando l’acqua, i lampi guizzano e un fulmine squarcia l’aria, egli né li veda né oda alcun suono!” Dopo aver proclamato una fede immensa in me, mi circuì con rispetto e poi se ne andò.»

A queste parole, Pukkusa Mallaputta disse al Beato: «La fiducia che avevo in Āḷāra Kālāma la disperderei dinanzi a un vento impetuoso o la lascerei trascinare via dalla corrente rapida di un fiume. Splendido, signore! Splendido! Proprio come se si raddrizzasse ciò che era rovesciato, si rivelasse ciò che era nascosto, si mostrasse il cammino a chi si era smarrito, o si portasse una lampada nell’oscurità affinché coloro che hanno occhi possano vedere le forme, allo stesso modo il Beato—attraverso molte linee di argomentazione—ha reso chiaro il Dhamma. Vado al Beato come rifugio, al Dhamma e al Saṅgha dei monaci. Possa il Beato ricordarmi come un discepolo laico che è andato a lui per rifugio, da oggi in avanti, per tutta la vita.»

Poi Pukkusa Mallaputta si rivolse a un uomo:
«Avanti, ti dico. Portami un paio di vesti color oro, pronte da indossare.»

Rispondendo a Pukkusa Mallaputta: «Così sia, signore», quell’uomo portò il paio di vesti color oro, pronte da indossare. Allora Pukkusa Mallaputta offrì al Beato quel paio di vesti color oro, pronte da indossare, dicendo:
«Possa il Beato accettare da me, per gentilezza, questo paio di vesti color oro, pronte da indossare.»

«Bene, allora, Pukkusa. Rivestimi con una, e Ānanda con l’altra.»

Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», Pukkusa Mallaputta rivestì il Beato con una delle vesti, e il venerabile Ānanda con l’altra.

Poi il Beato istruì, esortò, spronò e incoraggiò Pukkusa Mallaputta con un discorso sul Dhamma. Allora Pukkusa Mallaputta—istruito, esortato, spronato e incoraggiato dal discorso sul Dhamma del Beato—si alzò dal sedile e, dopo essersi prosternato dinanzi al Beato e averlo circondato con rispetto, se ne andò.

Poco dopo che Pukkusa Mallaputta se ne fu andato, il venerabile Ānanda posò il paio di vesti color oro, pronte da indossare, sul corpo del Beato. Ma, posate sul corpo del Beato, la loro iridescenza sembrava svanita.

Allora il venerabile Ānanda disse: «Straordinario, signore. Meraviglioso—quanto è limpido e luminoso il colore della pelle del Tathāgata! Quando questo paio di vesti color oro, pronte da indossare, è posto sul corpo del Beato, la loro iridescenza sembra svanita!»

«Così è, Ānanda. Vi sono due occasioni in cui il colore della pelle del Tathāgata è particolarmente limpido e luminoso. Quali due? La notte in cui il Tathāgata si risveglia all’incomparabile risveglio perfetto, e la notte in cui il Tathāgata giunge all’estinzione completa mediante la proprietà dell’estinzione senza residui di combustibile. Queste sono le due occasioni in cui il colore della pelle del Tathāgata è particolarmente limpido e luminoso. Oggi, nell’ultima veglia della notte, tra i due alberi di Sal, a Upavattana, nella Foresta di Sal dei Malla presso Kusinārā, avverrà l’estinzione completa del Tathāgata.

Vieni, Ānanda, andremo al fiume Kakudha.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Pukkusa offrì un paio di vesti color oro
e, rivestito con esse,
il Maestro dal color dell’oro
risplendeva luminoso.

Allora il Beato, insieme al grande Saṅgha dei monaci, si recò al fiume Kakudha e, giunto al fiume Kakudha, vi discese, si bagnò, bevve, e risalì; poi si recò in un boschetto di mango. Giunto là, il Beato disse al venerabile Cundaka:
«Cundaka, per favore sistema il mio mantello esterno piegato in quattro. Sono stanco. Mi sdraierò.»

Rispondendo al Beato: «Così sia, signore», il venerabile Cundaka sistemò il mantello esterno piegato in quattro. Il Beato, sdraiandosi sul fianco destro, assunse la postura del leone, con un piede sull’altro—consapevole, lucido, e rivolto alla percezione del risveglio. Il venerabile Cundaka si sedette di fronte a lui.

L’Illuminato,
—essendosi recato al piccolo fiume Kakudha,
dalle acque pure, gradevoli, limpide—
il Maestro, apparendo molto stanco,
il Tathāgata, senza pari nel mondo,
vi discese, si bagnò, bevve, e risalì.

Onorato, circondato,
in mezzo al Saṅgha dei monaci,
il Beato, il Maestro,
procedendo qui nel Dhamma,
il grande veggente,
si recò al boschetto di mango.

Si rivolse al monaco di nome Cundaka:
«Stendilo, piegato in quattro,
perché io possa sdraiarmi.»

Comandato da Colui dalla mente sviluppata,
Cundaka prontamente lo stese, piegato in quattro.

Il Maestro si sdraiò, apparendo molto stanco,
e Cundaka si sedette lì, davanti a lui.

Allora il Beato si rivolse al venerabile Ānanda: «Ānanda, se qualcuno cercasse di suscitare rimorso in Cunda l’argentiere, dicendo: “Non è un merito per te, amico Cunda, è stata una cattiva azione da parte tua, che il Tathāgata, dopo aver ricevuto la tua ultima offerta di elemosina, sia giunto all’estinzione completa”, allora il rimorso di Cunda dovrebbe essere placato in questo modo: “È un merito per te, amico Cunda, è stata una buona azione da parte tua, che il Tathāgata, dopo aver ricevuto la tua ultima offerta di elemosina, sia giunto all’estinzione completa. Faccia a faccia con il Beato l’ho udito, faccia a faccia l’ho appreso: ‘Queste due offerte di elemosina sono uguali tra loro per frutto, uguali tra loro per risultato, di frutto e beneficio molto maggiore rispetto a qualsiasi altra elemosina. Quali due? L’elemosina dopo la quale, avendola ricevuta, il Tathāgata si risveglia al perfetto risveglio supremo; e l’elemosina dopo la quale, avendola ricevuta, il Tathāgata giunge all’estinzione mediante la proprietà dell’estinzione senza residui di combustibile. Queste sono le due elemosine che sono uguali tra loro per frutto, uguali tra loro per risultato, di frutto e beneficio molto maggiore rispetto a qualsiasi altra elemosina. Il venerabile4 Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce a lunga vita. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce a bellezza. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce alla felicità. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce al cielo. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce al prestigio. Il venerabile Cunda l’argentiere ha accumulato kamma che conduce alla sovranità.’”

In questo modo, Ānanda, il rimorso di Cunda l’argentiere dovrebbe essere placato.»

Allora, realizzando il significato di ciò, il Beato in quell’occasione esclamò:

Per colui che dà,
il merito cresce.
Per chi si trattiene,
non si accumula ostilità.
Chi è abile
abbandona il male
e—
con la cessazione di
passione,
avversione,
illusione—
giunge all’estinzione completa.

Note


1 Il Commentario riporta un’ampia varietà di opinioni su cosa significhi «prelibatezza di maiale». L’opinione data nel Mahā Aṭṭhakathā—la fonte principale del Commentario a nostra disposizione—è che la prelibatezza di maiale fosse carne di maiale tenera. Altre opinioni includono germogli di bambù teneri o funghi di cui i maiali sono ghiotti, oppure un elisir speciale. Dato che in India esiste da lungo tempo la consuetudine di attribuire nomi fantasiosi ai cibi e agli elisir, è difficile stabilire con certezza cosa mangiò il Buddha nel suo ultimo pasto.

2 La descrizione dell’acqua da parte del venerabile Ānanda è allitterativa nel pāli: sātodakā sītodakā setodakā.

3 Āḷāra Kālāma fu il maestro da cui il Buddha, prima del suo risveglio, apprese come conseguire la dimensione del nulla, uno degli stati di assorbimento informe. Cfr. MN 26. Il Vibhaṅga al Pārājika 4 indica che la purezza della padronanza di uno qualsiasi di questi stati informi può essere misurata in base al grado in cui non si odono suoni mentre si dimora in tale stato. Lo stesso passo afferma anche che, sebbene si udissero dei suoni, ciò non implica che non si sia raggiunto quello stato, ma semplicemente che la padronanza non è pienamente pura. Precisa inoltre che “purezza”, in questo contesto, non significa assenza di contaminazioni. Infatti, nel Vibhaṅga al Pārājika 4, si dice che il raggiungimento degli stati informi da parte del venerabile Mahā Moggallāna sia impuro, eppure egli è un arahant. La “purezza” si riferisce invece alla forza della propria concentrazione.

4 Āyasmant: Questo è un termine di rispetto solitamente riservato ai monaci anziani. Il fatto che il Buddha lo usi qui è probabilmente inteso a sottolineare che l’offerta dell’ultimo pasto del Buddha da parte di Cunda dev’essere considerata un gesto altamente onorevole.


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