Il Discorso sul Grande Scioglimento Finale

Mahā Parinibbāna Sutta (DN 16)

6

Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Vieni, Ānanda, andremo sull’altra riva del fiume Hiraññavatī, a Upavattana, la Foresta di alberi di Sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Allora il Beato, insieme a un grande Saṅgha di monaci, si recò sull’altra riva del fiume Hiraññavatī, a Upavattana, la Foresta di alberi di Sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā. Una volta giunto, disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, per favore prepara per me un letto tra i due alberi di Sal gemelli, con la testa rivolta a nord. Sono stanco e mi coricherò.»

Rispondendo «Così sia, signore» al Beato, il venerabile Ānanda preparò un letto tra i due alberi di Sal gemelli, con la testa rivolta a nord. Allora il Beato si coricò sul fianco destro nella postura del leone, con un piede sull’altro, consapevole e vigile1.

In quell’occasione, i due alberi di Sal gemelli erano in piena fioritura, sebbene non fosse la stagione dei fiori. Essi riversarono, sparsero e spruzzarono fiori sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. Dal cielo caddero fiori celesti dell’albero corallo, che si riversarono, si sparsero e si spruzzarono sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. Dal cielo cadde polvere di sandalo celeste, che si riversò, si sparse e si spruzzò sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. In cielo si udiva musica celeste, in omaggio al Tathāgata. In cielo si udivano canti celesti, in omaggio al Tathāgata.

Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ānanda, i due alberi di Sal gemelli sono in piena fioritura, sebbene non sia la stagione dei fiori. Essi riversano, spargono e spruzzano fiori sul corpo del Tathāgata in omaggio a lui. Dal cielo cadono fiori celesti dell’albero corallo… Dal cielo cade polvere di sandalo celeste… In cielo si ode musica celeste… In cielo si odono canti celesti, in omaggio al Tathāgata. Ma non è in questa misura che un Tathāgata è onorato, riverito, rispettato, venerato o omaggiato. Piuttosto, il monaco, la monaca, il laico o la laica che continua a praticare il Dhamma in accordo con il Dhamma, che continua a praticare con padronanza, che vive in accordo con il Dhamma: costui rende omaggio, onora, riverisce, rispetta e venera il Tathāgata con il più alto omaggio. Dovete dunque esercitarvi così: “Continueremo a praticare il Dhamma in accordo con il Dhamma, continueremo a praticare con padronanza, vivremo in accordo con il Dhamma.” Così dovete esercitarvi.»

In quell’occasione il venerabile Upavāṇa stava in piedi davanti al Beato, sventolandolo. Allora il Beato lo congedò, dicendo: «Vattene, monaco. Non stare davanti a me.» Allora sorse questo pensiero nel venerabile Ānanda: «Da lungo tempo ormai, questo venerabile Upavāṇa è stato assistente del Beato, dimorando vicino a lui e viaggiando con lui. Ma ora, nella sua ora finale, lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me.” Qual è ora la ragione, qual è la causa per cui il Beato lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me”?»

Allora il venerabile Ānanda disse al Beato: «Da lungo tempo ormai, questo venerabile Upavāṇa è stato assistente del Beato, dimorando vicino a lui e viaggiando con lui. Ma ora, nella sua ora finale, lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me.” Qual è ora la ragione, qual è la causa per cui il Beato lo congeda dicendo: “Vattene, monaco. Non stare davanti a me”?»

«Ānanda, la maggior parte delle devatā da dieci sistemi di mondi si sono radunate per vedere il Tathāgata. Per dodici leghe tutt’intorno a Upavattana, la Foresta di alberi di Sal dei Mallā nei pressi di Kusinārā, non vi è nemmeno lo spazio della punta di un crine di coda di cavallo che non sia occupato da eminenti devatā. Le devatā, Ānanda, si lamentano dicendo: “Abbiamo percorso una lunga distanza per vedere il Tathāgata.2 Solo una volta, in lunghissimo tempo, sorge nel mondo un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé. Questa notte, nell’ultima veglia della notte, avverrà la completa estinzione del Tathāgata. E questo eminente monaco sta in piedi davanti al Beato, ostruendo la vista. Non riusciamo a vedere il Beato nella sua ora finale.”»

«Ma, signore, quale è lo stato delle devatā a cui il Beato presta attenzione?»

«Ānanda, vi sono devatā che percepiscono lo spazio come terra. Strappandosi i capelli, piangono. Sollevando le braccia, piangono. Come se i loro piedi fossero stati recisi da sotto di loro, cadono a terra e si rotolano avanti e indietro, gridando: “Troppo presto il Beato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto il Ben Andato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto Colui che ha la Visione scomparirà dal mondo!” Poi vi sono devatā che percepiscono la terra come terra. Strappandosi i capelli, piangono. Sollevando le braccia, piangono. Come se i loro piedi fossero stati recisi da sotto di loro, cadono a terra e si rotolano avanti e indietro, gridando: “Troppo presto il Beato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto il Ben Andato giungerà alla completa estinzione! Troppo presto Colui che ha la Visione scomparirà dal mondo!” Ma quelle devatā che sono libere dalla passione acconsentono, consapevoli e vigili: “Impermanenti sono le formazioni. Cos’altro ci si può aspettare?”»

«In passato, signore, i monaci di tutte le direzioni, terminato il ritiro delle Piogge, venivano a vedere il Tathāgata. Così avevamo l’occasione di vedere e di prenderci cura dei monaci che ispirano il cuore. Ma ora, dopo la dipartita del Beato, non potremo più vedere né prenderci cura dei monaci che ispirano il cuore.»

«Ānanda, vi sono questi quattro luoghi che meritano di essere visti da un uomo di famiglia con fede, che meritano il suo senso di urgenza e sgomento [saṁvega]. Quali quattro? “Qui è nato il Tathāgata” è un luogo che merita di essere visto da un uomo di famiglia con fede, che merita il suo senso di urgenza e sgomento. “Qui il Tathāgata ha conseguito il supremo risveglio perfetto da sé”… “Qui il Tathāgata ha messo in moto la ruota insuperabile del Dhamma”… “Qui il Tathāgata è giunto alla completa estinzione, nell’elemento della estinzione senza residui” è un luogo che merita di essere visto da un uomo di famiglia con fede, che merita il suo senso di urgenza e sgomento. Questi sono i quattro luoghi che meritano di essere visti da un uomo di famiglia con fede, che meritano il suo senso di urgenza e sgomento. Verranno, spinti dalla fede, Ānanda — monaci, monache, laici e laiche — nei luoghi dove “Qui è nato il Tathāgata”, “Qui il Tathāgata ha conseguito il supremo risveglio perfetto da sé”, “Qui il Tathāgata ha messo in moto la ruota insuperabile del Dhamma”, “Qui il Tathāgata è giunto alla completa estinzione, nell’elemento della estinzione senza residui”. E chiunque muoia facendo pellegrinaggio a questi luoghi sacri con una mente luminosa e fiduciosa, apparirà — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — in una destinazione felice, in un mondo celeste.»

«Signore, quale condotta dobbiamo seguire riguardo alle donne?»

«Il non-vedere, Ānanda.»

«Ma quando vi è visione, signore, quale condotta si deve seguire?»

«Il non-parlare, Ānanda.»

«E quando siamo interpellati, quale condotta si deve seguire?»

«Si deve stabilire la consapevolezza, Ānanda.»

«E, signore, quale condotta dobbiamo seguire riguardo al corpo del Tathāgata?»

«Non dovete occuparvi del funerale del Tathāgata. Ānanda, per favore, sforzati per il vero fine, dedicati al vero fine, dimora diligente, ardente e risoluto per il bene del vero fine. Vi sono nobili saggi, brahmani saggi e capifamiglia saggi che hanno profonda fiducia nel Tathāgata. Saranno loro a occuparsi del funerale del Tathāgata.»

«Ma, signore, quale condotta si deve seguire riguardo al corpo del Tathāgata?»

«La condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota, Ānanda, è la condotta che si deve seguire riguardo al corpo del Tathāgata.»

«E quale, signore, è la condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota?»

«Ānanda, avvolgono il corpo del monarca che fa girare la ruota in un nuovo lenzuolo di lino. Dopo averlo avvolto in un nuovo lenzuolo di lino, lo avvolgono in cotone cardato. Dopo averlo avvolto in cotone cardato, lo avvolgono in un nuovo lenzuolo di lino. Così facendo per cinquecento volte, pongono il corpo in una vasca d’olio di ferro, lo coprono con un coperchio di ferro, preparano una pira composta interamente di sostanze profumate, e cremano il corpo. Poi erigono un tumulo funerario per il monarca che fa girare la ruota in un grande incrocio a quattro vie. Questa è la condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota. La condotta che si segue riguardo al corpo di un monarca che fa girare la ruota, Ānanda, è la condotta che si deve seguire riguardo al corpo del Tathāgata. Un tumulo funerario per il Tathāgata deve essere costruito in un grande incrocio a quattro vie. E coloro che offrono una ghirlanda, un profumo o una polvere profumata in quel luogo, o si inchinano lì, o elevano la mente lì: ciò sarà per il loro benessere e felicità a lungo termine.

«Vi sono questi quattro che sono degni di un tumulo funerario. Quali quattro? Un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé, è degno di un tumulo funerario. Un Buddha Solitario… un discepolo di un Tathāgata… un monarca che fa girare la ruota è degno di un tumulo funerario.

E per quale ragione un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé, è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste. Per questa ragione un Tathāgata, degno e pienamente risvegliato da sé, è degno di un tumulo funerario.

E per quale ragione un Buddha Solitario è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un Buddha Solitario”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste…

E per quale ragione un discepolo di un Tathāgata è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un discepolo di un Tathāgata”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste…

E per quale ragione un monarca che fa girare la ruota è degno di un tumulo funerario? (Al pensiero:) “Questo è il tumulo funerario di un monarca che fa girare la ruota”, molte persone eleveranno la propria mente. Avendo elevato la propria mente lì, poi — alla dissoluzione del corpo, dopo la morte — rinasceranno in una destinazione felice, in un mondo celeste. Per questa ragione un monarca che fa girare la ruota è degno di un tumulo funerario.

Questi sono i quattro che sono degni di un tumulo funerario.»

Allora il venerabile Ānanda, entrato in un edificio lì vicino, si fermò appoggiandosi allo stipite della porta, piangendo: «Eccomi qui, ancora in addestramento, con del lavoro da compiere, e sta per avvenire l’estinzione totale del mio Maestro—il Maestro che ha avuto tanta compassione per me!»

Allora il Beato disse ai monaci: «Monaci, dov’è Ānanda?»

«Signore, il venerabile Ānanda, entrato in quell’edificio, sta appoggiato allo stipite della porta, piangendo: “Eccomi qui, ancora in addestramento, con del lavoro da compiere, e sta per avvenire l’estinzione totale del mio Maestro—il Maestro che ha avuto tanta compassione per me!”»

Allora il Beato disse a un certo monaco: «Vieni, monaco. In mio nome, chiama Ānanda dicendo: ‘Il Maestro ti chiama, amico mio.’»

Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il monaco andò dal venerabile Ānanda e, giunto lì, disse: «Il Maestro ti chiama, amico mio.»

Rispondendo: «Così sia, amico mio», al monaco, il venerabile Ānanda si recò dal Beato e, una volta giunto, dopo essersi prosternato dinanzi a lui, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, il Beato gli disse: «Basta, Ānanda. Non affliggerti. Non lamentarti. Non ti ho forse già insegnato lo stato del mutare riguardo a tutte le cose care e piacevoli, lo stato del separarsi, lo stato del divenire altrimenti? Cos’altro ci si può attendere? È impossibile impedire che qualcosa che è nato, esiste, è condizionato e soggetto alla disgregazione, non si disgreghi.

Da lungo tempo, Ānanda, tu hai servito il Tathāgata con atti fisici di benevolenza—utili, lieti, devoti, senza limite; con atti verbali di benevolenza… con atti mentali di benevolenza—utili, lieti, devoti, senza limite. Tu sei uno che ha accumulato merito. Dedicati con impegno, e presto sarai senza influssi.»

Poi il Beato si rivolse ai monaci: «Monaci, quei Beati che, nel passato, erano degni, pienamente risvegliati da sé, avevano assistenti principali, proprio come io ho avuto Ānanda. Quei Beati che, nel futuro, saranno degni, pienamente risvegliati da sé, avranno assistenti principali, proprio come io ho avuto Ānanda. Ānanda è saggio. Egli sa: “Questo è il momento di avvicinarsi per vedere il Tathāgata. Questo è il momento per i monaci, questo il momento per le monache, questo il momento per i laici devoti, questo il momento per le laiche devote, questo il momento per i re e i loro ministri, questo il momento per i settari, questo il momento per i seguaci dei settari.”»

«Ci sono queste quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda. Se un gruppo di monaci si avvicina per vedere Ānanda, essi sono appagati alla sua vista. Se egli espone loro il Dhamma, sono appagati da ciò che dice. Prima che siano sazi, egli cade nel silenzio. Se un gruppo di monache si avvicina per vedere Ānanda… Se un gruppo di laici devoti si avvicina per vedere Ānanda… Se un gruppo di laiche devote si avvicina per vedere Ānanda, esse sono appagate alla sua vista. Se egli espone loro il Dhamma, sono appagate da ciò che dice. Prima che siano sazie, egli cade nel silenzio. Queste sono le quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda.

Vi sono queste quattro qualità straordinarie e meravigliose in un monarca che fa girare la ruota. Se un gruppo di nobili guerrieri si avvicina per vederlo… Se un gruppo di brahmani si avvicina per vederlo… Se un gruppo di capifamiglia si avvicina per vederlo… Se un gruppo di contemplativi si avvicina per vederlo, essi sono appagati alla sua vista. Se egli parla loro, sono appagati da ciò che dice. Prima che siano sazi, egli cade nel silenzio. Allo stesso modo, monaci, vi sono queste quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda. Se un gruppo di monaci… un gruppo di monache… un gruppo di laici devoti… un gruppo di laiche devote si avvicina per vedere Ānanda, essi sono appagati alla sua vista. Se egli espone loro il Dhamma, sono appagati da ciò che dice. Prima che siano sazi, egli cade nel silenzio. Queste sono le quattro qualità straordinarie e meravigliose in Ānanda.»

Quando ciò fu detto, il venerabile Ānanda disse al Beato: «Signore, possa il Beato non giungere all’estinzione totale in questa cittadina, in questa cittadina polverosa, in questo villaggio remoto. Ci sono altre grandi città: Campā, Rājagaha, Sāvatthī, Sāketa, Kosambī, Bārāṇasī. Possa il Beato giungere all’estinzione totale lì. In quelle città vi sono molti nobili guerrieri, brahmani e capifamiglia ricchi che nutrono grande fiducia nel Tathāgata. Essi celebreranno le esequie del Tathāgata.»

«Non dire così, Ānanda. Non dire: “questa cittadina, questa cittadina polverosa, questo villaggio remoto.” In passato, Ānanda, vi fu un re di nome Mahā Sudassana, un monarca che faceva girare la ruota, un re retto che governava rettamente, conquistatore delle quattro direzioni, stabilizzatore del suo regno, dotato dei sette tesori. Questa Kusinārā era la sua capitale, chiamata Kusāvatī: lunga dodici leghe da est a ovest, larga sette leghe da nord a sud. Kusāvatī era potente, ricca e densamente popolata, affollata da gente e prospera. Proprio come la capitale dei deva chiamata Ālakamandā è potente, ricca e densamente popolata, affollata da yakkha e prospera; allo stesso modo Kusāvatī era potente, ricca e densamente popolata, affollata da gente e prospera. Di giorno o di notte, non mancavano mai dieci suoni: il suono degli elefanti, il suono dei cavalli, il suono dei carri, il suono dei tamburi, il suono dei tamburelli, il suono dei liuti, il suono dei canti, il suono dei cimbali, il suono dei gong, con le grida “Mangia! Bevi! Gusta!” come decimo.

Ora, Ānanda, entra a Kusinārā e annuncia ai Mallā di Kusinārā: “Stanotte, o Vāsiṭṭha, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del Tathāgata. Uscite, o Vāsiṭṭha! Uscite, o Vāsiṭṭha! Non abbiate poi a pentirvi dicendo: ‘L’estinzione totale del Tathāgata è avvenuta entro i confini della nostra stessa città, e noi non abbiamo potuto vederlo nella sua ultima ora!’”»

Rispondendo: «Così sia, signore», al Beato, il venerabile Ānanda si aggiustò la veste inferiore e—prendendo la ciotola e la veste esterna—entrò non accompagnato a Kusinārā. In quel momento i Mallā di Kusinārā si erano radunati per un affare nella loro sala di ricevimento. Il venerabile Ānanda si recò alla sala di ricevimento e, una volta giunto, annunciò loro: «Stanotte, o Vāsiṭṭha, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del Tathāgata. Uscite, o Vāsiṭṭha! Uscite, o Vāsiṭṭha! Non abbiate poi a pentirvi dicendo: “L’estinzione totale del Tathāgata è avvenuta entro i confini della nostra stessa città, e noi non abbiamo potuto vederlo nella sua ultima ora!”»

Udendo il venerabile Ānanda, i Mallā, insieme ai loro figli, figlie e mogli, furono scossi, addolorati, le menti colme di tristezza. Alcuni piansero, strappandosi i capelli; piansero, levando le braccia. Come se i piedi fossero stati tagliati loro da sotto, caddero a terra e si rotolarono avanti e indietro, gridando: «Troppo presto, il Beato giungerà all’estinzione totale! Troppo presto, il Ben Andato giungerà all’estinzione totale! Troppo presto, Colui che ha gli Occhi sparirà dal mondo!»

Allora i Mallā, insieme ai loro figli, figlie e mogli—scossi, addolorati, le menti colme di tristezza—si recarono dal venerabile Ānanda a Upavattana, la Foresta di Sal dei Mallā, nei pressi di Kusinārā. Al venerabile Ānanda sorse questo pensiero: «Se permetto ai Mallā di rendere omaggio al Beato uno alla volta, la notte sarà finita prima che abbiano terminato. E se invece li disponessi famiglia per famiglia, annunciando: “Signore, il Mallā chiamato tal dei tali, insieme ai suoi figli e mogli, servi e attendenti, si prostra con la testa ai piedi del Beato”?»

Così il venerabile Ānanda, disponendo i Mallā famiglia per famiglia, li fece rendere omaggio al Beato, dicendo: «Signore, il Mallā chiamato tal dei tali, insieme ai suoi figli e mogli, servi e attendenti, si prostra con la testa ai piedi del Beato.»

In tal modo il venerabile Ānanda fece rendere omaggio al Beato ai Mallā entro la prima veglia della notte.

In quel tempo, un asceta errante di nome Subhadda si trovava nei pressi di Kusinārā. Udì dire: «Stanotte, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del contemplativo Gotama.» Allora gli sorse questo pensiero: «Ho sentito i vecchi asceti erranti anziani, maestri dei maestri, dire che solo una volta ogni molto, molto tempo appaiono nel mondo i Tathāgata—i degni, pienamente risvegliati da sé. Stanotte, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del contemplativo Gotama. Ora è sorto in me un dubbio, ma ho fiducia che il contemplativo Gotama possa insegnarmi il Dhamma in modo tale che io possa abbandonare questo dubbio.»

Allora egli si recò a Upavattana, la Foresta di Sal dei Mallā e, una volta giunto, disse al venerabile Ānanda: «Ho sentito i vecchi asceti erranti anziani, maestri dei maestri, dire che solo una volta ogni molto, molto tempo appaiono nel mondo i Tathāgata—i degni, pienamente risvegliati da sé. Stanotte, nell’ultima veglia della notte, avverrà l’estinzione totale del contemplativo Gotama. Ora è sorto in me un dubbio, ma ho fiducia che il contemplativo Gotama possa insegnarmi il Dhamma in modo tale che io possa abbandonare questo dubbio. Sarebbe bene, venerabile Ānanda, se mi permettessi di vederlo.»

A queste parole, il venerabile Ānanda gli disse: «Basta così, amico Subhadda. Non disturbare il Beato. Il Beato è stanco.»

Per una seconda volta… Per una terza volta, l’asceta errante Subhadda disse al venerabile Ānanda: «…Sarebbe bene, venerabile Ānanda, se mi permettessi di vederlo.»

Per una terza volta, il venerabile Ānanda gli disse: «Basta così, amico Subhadda. Non disturbare il Beato. Il Beato è stanco.»

Ora, il Beato udì lo scambio tra il venerabile Ānanda e l’asceta errante Subhadda, e così disse al venerabile Ānanda: «Basta, Ānanda. Non ostacolarlo. Lascialo vedere il Tathāgata. Qualunque cosa egli mi chieda sarà tutta per il bene della conoscenza, e non per arrecare disturbo. E qualunque cosa io risponda alle sue domande, egli la comprenderà prontamente.»

Allora il venerabile Ānanda disse all’asceta errante Subhadda: «Avanti, amico Subhadda. Il Beato ti concede udienza.»

Allora Subhadda si recò dal Beato e scambiò con lui cortesi saluti. Dopo lo scambio di amichevoli convenevoli e saluti, si sedette a un lato. Mentre era seduto lì, disse al Beato:

«Maestro Gotama, questi contemplativi e brahmani, ciascuno con il proprio gruppo, ciascuno con la propria comunità, ciascuno maestro del proprio gruppo, guida rispettata, ben considerata dalla gente in generale—cioè Pūraṇa Kassapa, Makkhali Gosāla, Ajita Kesakambalin, Pakudha Kaccāyana, Sañjaya Velaṭṭhaputta e il Nigaṇṭha Nāṭaputta: hanno tutti la conoscenza diretta, come essi stessi affermano, o non ce l’hanno? Oppure alcuni hanno la conoscenza diretta e altri no?»

«Basta, Subhadda. Metti da parte questa domanda: “Hanno tutti la conoscenza diretta, come essi stessi affermano, o non ce l’hanno? Oppure alcuni hanno la conoscenza diretta e altri no?” Ti insegnerò il Dhamma, Subhadda. Ascolta e presta molta attenzione. Ti parlerò.»

«Così sia, signore», rispose Subhadda al Beato.

Il Beato disse:

«In ogni dottrina e disciplina in cui il nobile ottuplice sentiero non è stabilito, non si trova alcun contemplativo della prima… seconda… terza… quarta categoria [colui che è entrato nel flusso, colui che ritorna una sola volta, colui che non ritorna, o arahant]. Ma in ogni dottrina e disciplina in cui il nobile ottuplice sentiero è stabilito, si trovano contemplativi della prima… seconda… terza… quarta categoria. In questa dottrina e disciplina il nobile ottuplice sentiero è stabilito, e proprio qui vi sono contemplativi della prima… seconda… terza… quarta categoria. Le altre dottrine sono vuote di contemplativi dotati di conoscenza. E se i monaci dimorano rettamente, questo mondo non sarà privo di arahant.»

All’età di ventinove anni lasciai la casa, Subhadda,
in cerca di ciò che potesse essere salutare,
e da quando lasciai la casa, Subhadda,
sono passati più di cinquant’anni.
Al di fuori del dominio
del Dhamma ben tracciato,
non vi è contemplativo.

«Non vi è contemplativo della seconda categoria; non vi è contemplativo della terza categoria; non vi è contemplativo della quarta categoria. Le altre dottrine sono vuote di contemplativi dotati di conoscenza. E se i monaci dimorano rettamente, questo mondo non sarà privo di arahant.»

Allora l’asceta errante Subhadda disse:
«Meraviglioso, signore! Meraviglioso! Proprio come se uno raddrizzasse ciò che era rovesciato, svelasse ciò che era nascosto, mostrasse la via a chi si era smarrito, o accendesse una lampada nell’oscurità affinché coloro che hanno occhi possano vedere le forme, allo stesso modo il Beato—attraverso molti ragionamenti—ha reso chiaro il Dhamma. Vado in rifugio al Beato, al Dhamma e al Saṅgha dei monaci. Possa io ottenere l’uscita dalla vita laica in presenza del Beato, possa ottenere l’accettazione.»

«Chiunque, Subhadda, abbia precedentemente appartenuto a un’altra setta e desideri l’uscita dalla vita laica e l’accettazione in questo Dhamma e Vinaya, deve prima sottoporsi a un periodo di prova di quattro mesi. Se, al termine dei quattro mesi, i monaci lo ritengono opportuno, gli concedono l’uscita dalla vita laica e lo accettano nello stato di monaco. Ma io conosco le differenze tra gli individui in questo.»

«Signore, se è così, sono disposto a sottopormi a un periodo di prova di quattro anni. Se, al termine dei quattro anni, i monaci lo riterranno opportuno, mi concedano l’uscita dalla vita laica e mi accettino nello stato di monaco.»

Allora il Beato disse al venerabile Ānanda: «Ebbene, Ānanda, concedi a Subhadda l’uscita dalla vita laica.»

«Così sia, signore», rispose il venerabile Ānanda al Beato.

Allora Subhadda disse al venerabile Ānanda: «È un guadagno per te, Ānanda, un grande guadagno, l’essere stato unto qui, faccia a faccia con il Maestro, con l’unzione del discepolo.»3

Allora l’asceta errante Subhadda ottenne l’uscita dalla vita laica in presenza del Beato, ottenne l’accettazione. E non molto tempo dopo l’accettazione—dimorando solo, appartato, diligente, ardente e risoluto—egli, in breve tempo, entrò e dimorò nella meta suprema della vita santa, per la quale i figli di buona famiglia lasciano giustamente la casa per la vita senza casa, conoscendola e realizzandola direttamente per sé, qui e ora. Egli comprese: «La nascita è finita, la vita santa è stata compiuta, ciò che andava fatto è stato fatto. Nulla rimane per il bene di questo mondo.» E così il venerabile Subhadda divenne un altro degli arahant, l’ultimo dei discepoli testimoni diretti del Beato.

Note


1 Fino a questo punto del sutta, la formula standard che descrive l’atto del Buddha di coricarsi per riposare termina con l’espressione: «dopo aver preso nota mentale di rialzarsi». Qui, tuttavia, il Buddha si corica per l’ultima volta e raggiungerà il parinibbāna in questa postura, quindi non prende alcuna nota mentale di rialzarsi.

2 Fin dai tempi vedici, in India è stato considerato di buon auspicio contemplare un essere sacro o celeste, e riceverne a propria volta lo sguardo. Qui, il fatto che siano proprio gli esseri celesti a desiderare di contemplare il Buddha indica la grande stima che nutrono per lui; l’espressione che compare più avanti in questo paragrafo, «Colui che ha gli Occhi», indica che anche il suo sguardo era per loro altamente di buon auspicio. Passaggi successivi di questo discorso indicano che anche gli esseri umani provano sentimenti simili riguardo all’auspiciosità dello sguardo del Buddha e al considerarlo come oggetto della propria contemplazione. Gran parte della successiva storia del Buddhismo in India — comprese la devozione, la buddhologia, la pratica meditativa e persino l’architettura dei monasteri — si sviluppò dal desiderio continuo di vedere il Buddha e di essere visti da lui, anche dopo il suo parinibbāna. Talvolta si presume, sulla base di un passaggio nel Vakkali Sutta, che il Canone Pāli sia uniformemente negativo nei confronti di questo aspetto della tradizione buddhista. In quel passo, il venerabile Vakkali, gravemente malato, afferma: «È da lungo tempo che desidero venire a vedere il Beato, ma non ho avuto la forza fisica per farlo», e il Buddha lo conforta dicendo: «Basta, Vakkali. Perché vuoi vedere questo corpo impuro? Chi vede il Dhamma vede me; chi vede me vede il Dhamma». Va tuttavia notato che il modo in cui il Buddha tratta questo argomento è sensibile al contesto. Nel Vakkali Sutta egli si rivolge a un monaco che (1) è troppo malato per venire a vederlo con le proprie forze; e (2) è prossimo all’arahantship. Qui, invece, il Buddha congeda il venerabile Upavāṇa per onorare il desiderio dei deva che vogliono vederlo nella sua ultima ora; e invia il venerabile Ānanda a Kusinārā per informare i laici, affinché anche loro possano vederlo nella sua ultima ora. Il suo intento qui potrebbe essere simile a quello espresso nel raccomandare l’edificazione di uno stūpa in sua memoria: contemplarlo aiuterà gli esseri umani e celesti a rasserenare la mente, e ciò sarà per il loro benessere e felicità duraturi. Le attitudini espresse su questo tema nel Canone Pāli, dunque, se considerate nella loro interezza, risultano più complesse di quanto comunemente si riconosca.

3 Il commentario osserva che Subhadda fa questa affermazione basandosi sulle pratiche non buddhiste che conosceva dalla sua precedente affiliazione settaria.


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