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Un giorno portai una statua del Buddha e, inginocchiandomi rispettosamente davanti al nostro Maestro, lo pregai di conferirmi un titolo onorifico sacro.
«P‘ei Hsiu!» gridò.
«Sì, Maestro?»
«Come mai ti preoccupi ancora dei nomi?»
Tutto ciò che potei fare fu prostrarmi in silenzio.
E ci fu un’altra volta in cui offrii al nostro Maestro una poesia che avevo scritto. La prese tra le mani, ma presto si sedette e la mise da parte.
«Capisci?» mi chiese.
«No, Maestro.»
«Ma PERCHÉ non capisci? Riflettici un po’! Se le cose potessero essere espresse così con inchiostro e carta, quale sarebbe lo scopo di una setta come la nostra?»
La mia poesia diceva così:
Quando il suo Maestro gli trasmise l’Intuizione della Mente,
Lui, di grande statura con una perla sulla fronte,
Dimorò per dieci anni lungo il fiume nel Szech‘uan.
Ora, come un calice trasportato dalle acque,
È giunto a riposare sulle rive dello Chang.
Mille discepoli lo seguono,
Con volti gloriosi come draghi, portando la fragranza
Di fiori da lontano. Questi sono aspiranti Buddha,
Eppure desiderano servirlo umilmente come allievi.
Chi sa su chi cadrà la Trasmissione?
Il nostro Maestro rispose in seguito con un’altra poesia:
La Mente è un possente oceano, un mare senza confini.
Le parole sono solo loti scarlatti per curare i mali minori.
Anche se ci sono momenti di ozio in cui entrambe le mie mani riposano,
Non è per accogliere oziosi che le alzo al petto!22
Note
22 Le implicazioni di questo aneddoto sono molteplici. L’ultima osservazione di Huang Po implica, tra le altre cose, l’impossibilità di INSEGNARE lo Zen, che può essere compreso solo attraverso una comprensione intuitiva che sorge da noi stessi. Un’altra implicazione, che riecheggia il silenzio dell’amministratore del monastero, è che l’esistenza degli INDIVIDUI, Maestri Zen o altro, è di ordine puramente transitorio. L’assorbimento nello Zen porta a un’esperienza di unità in cui “uno” e “altro” non sono più validi. L’Uno non è né un Maestro Zen né altro. ↩