GENJO-KOAN 現成公案

L'Universo Realizzato

Genjo significa “realizzato”, e koan è un’abbreviazione di kofu-no-antoku, una bacheca su cui, nell’antica Cina, venivano annunciate al pubblico le nuove leggi. Per questo motivo, koan esprime una legge, o un principio universale. Nello Shobogenzo, genjo koan indica la legge realizzata dell’Universo, cioè il Dharma, ovvero l’Universo reale stesso. Il fondamento del Buddhismo è la fede in questo Universo reale, e nel Genjo Koan il Maestro Dogen ci insegna il Dharma realizzato, ossia l’Universo reale. Quando fu compilata l’edizione in settantacinque capitoli dello Shobogenzo, questo capitolo fu collocato per primo, e da ciò possiamo riconoscerne l’importanza. Quando tutti i dharma sono [visti come] il Buddha-Dharma, allora vi sono illusione e realizzazione, vi è pratica, vi è vita e vi è morte, vi sono buddha e vi sono esseri ordinari. Quando le miriadi di dharma non appartengono al sé, non vi è illusione né realizzazione, né buddha né esseri ordinari, né vita né morte. La verità del Buddha è originariamente al di là dell’abbondanza e della scarsità, e così vi sono vita e morte, illusione e realizzazione, esseri e buddha. E sebbene sia così, è semplicemente che i fiori, pur essendo amati, cadono; e le erbacce, pur essendo odiate, prosperano. Spingerci a praticare e a sperimentare le miriadi di dharma è illusione. Quando le miriadi di dharma praticano e sperimentano attivamente noi stessi, quello è lo stato di realizzazione. Coloro che realizzano pienamente l’illusione sono buddha. Coloro che sono profondamente illusi riguardo alla realizzazione sono esseri ordinari. Ci sono persone che giungono a una ulteriore realizzazione sulla base della realizzazione. Ci sono persone che accrescono la loro illusione nel mezzo dell’illusione. Quando i buddha sono davvero buddha, non hanno bisogno di riconoscersi come buddha. E tuttavia, sono buddha nello stato dell’esperienza, e continuano a sperimentare lo stato di buddha. Quando usiamo l’intero corpo-e-mente per osservare le forme, e quando usiamo l’intero corpo-e-mente per ascoltare i suoni, anche se li percepiamo direttamente, non è come il riflesso di un’immagine in uno specchio, né come l’acqua e la luna. Mentre stiamo facendo esperienza di un lato, siamo ciechi all’altro. Imparare la verità del Buddha significa imparare noi stessi. Imparare noi stessi significa dimenticare noi stessi. Dimenticare noi stessi significa essere sperimentati dalle miriadi di dharma. Essere sperimentati delle miriadi di dharma significa lasciar cadere il nostro corpo-e-mente e il corpo-e-mente del mondo esterno. Esiste uno stato in cui le tracce della realizzazione vengono dimenticate; e manifesta le tracce della realizzazione dimenticata per molto, molto tempo. Quando per la prima volta si cerca il Dharma, siamo molto lontani dai confini del Dharma. Ma non appena il Dharma ci viene autenticamente trasmesso, siamo un essere umano nel nostro elemento originario. Quando un uomo naviga su una barca e sposta lo sguardo verso la riva, fraintende che sia la riva a muoversi. Se tiene lo sguardo fisso sulla barca, comprende che è la barca a muoversi in avanti. Allo stesso modo, quando cerchiamo di comprendere le miriadi di dharma sulla base di presupposti confusi riguardo al corpo e alla mente, fraintendiamo che la nostra mente o la nostra essenza possano essere permanenti. Se invece ci familiarizziamo con l’azione e ritorniamo a questo luogo concreto, diventa chiaro che le miriadi di dharma non sono il sé. La legna da ardere diventa cenere; non può mai tornare ad essere legna. Tuttavia, non dovremmo pensare che la cenere sia il suo futuro e la legna il suo passato. Ricorda: la legna da ardere dimora nel posto della legna da ardere nel Dharma. Ha un passato e ha un futuro. Sebbene abbia un passato e un futuro, il passato e il futuro sono interrotti. La cenere dimora nel posto della cenere nel Dharma. Ha un passato e ha un futuro. La legna, dopo essere diventata cenere, non torna a essere legna. Allo stesso modo, gli esseri umani, dopo la morte, non rivivono. Allo stesso tempo, è consuetudine stabilita nel Buddha-Dharma non dire che la vita si trasforma in morte. Per questo parliamo di non apparizione. Ed è l’insegnamento del Buddha, stabilito nel girare della ruota del Dharma, che la morte non si trasforma in vita. Per questo parliamo di non scomparsa La vita è una situazione istantanea, e anche la morte è una situazione istantanea. È lo stesso, ad esempio, per l’inverno e la primavera. Non pensiamo che l’inverno diventi primavera, e non diciamo che la primavera diventi estate. Una persona che realizza la Via è come la luna riflessa nell’acqua: la luna non si bagna e l’acqua non si infrange. Sebbene la luce [della luna] sia vasta e immensa, essa si riflette in un piede o in un pollice d’acqua. L’intera luna e l’intero cielo si riflettono in una goccia di rugiada su un filo d’erba e si riflettono in una singola goccia d’acqua. La realizzazione non spezza l’individuo, proprio come la luna non trapassa l’acqua. L’individuo non ostacola lo stato della realizzazione, proprio come una goccia di rugiada non ostacola cielo e luna. La profondità [della realizzazione] può essere come l’altezza concreta [della luna]. La durata del suo momento, lunga o breve che sia, va indagata nelle grandi e piccole masse d’acqua, e osservata nella larghezza e nella ristrettezza del cielo e della luna. Quando il Dharma non ha ancora colmato corpo-e-mente, ci sentiamo già ricolmi di Dharma. Quando il Dharma riempie corpo-e-mente, sentiamo che un lato manca. Per esempio, navigando oltre le montagne e in mare aperto, quando ci guardiamo intorno nelle quattro direzioni, [l’oceano] ci appare soltanto come rotondo; non sembra avere alcun’altra forma. Tuttavia, questo grande oceano non è rotondo, né è quadrato. Le altre qualità dell’oceano sono innumerevoli: [per i pesci] è come un palazzo, [per gli dèi] è come una collana di perle. Ma per quanto possono vedere i nostri occhi, sembra soltanto rotondo. Come accade per [l’oceano], così è per le miriadi di dharma. Nella polvere e fuori dalla cornice, [le miriadi di dharma] abbracciano molteplici situazioni, ma noi vediamo e comprendiamo solo fino a dove possono arrivare i nostri occhi di apprendimento nella pratica. Se desideriamo ascoltare come le miriadi di dharma sono nella loro realtà naturale, dobbiamo ricordare che, oltre alla loro apparenza rotonda o quadrata, le qualità degli oceani e quelle delle montagne sono numerose e inesauribili; e che vi sono mondi nelle quattro direzioni. Non solo la periferia è così: ricorda, anche il presente immediato e una singola goccia [d’acqua] sono così. Quando i pesci si muovono nell’acqua, per quanto si muovano, non c’è fine all’acqua. Quando gli uccelli volano nel cielo, per quanto volino, non c’è fine al cielo. Eppure, fin dall’antichità, pesci e uccelli non hanno mai lasciato l’acqua o il cielo. Semplicemente, quando l’attività è grande, l’uso è grande; quando la necessità è piccola, l’uso è piccolo. Agendo in questo stato, nessuno manca di realizzare i propri limiti a ogni istante, e nessuno manca di capovolgersi liberamente in ogni luogo; ma se un uccello abbandona il cielo, muore all’istante, e se un pesce abbandona l’acqua, muore all’istante. Così possiamo comprendere che l’acqua è vita, e che il cielo è vita. Gli uccelli sono vita, e i pesci sono vita. Forse la vita è uccelli, e la vita è pesci. E oltre questo, potrebbe esserci ancora ulteriore progresso. L’esistenza della loro pratica ed esperienza, e l’esistenza del loro tempo vitale e della loro vita, sono di questo genere. Stando così le cose, un uccello o un pesce che volesse muoversi nell’acqua o nel cielo [solo] dopo aver raggiunto il fondo dell’acqua o dopo aver penetrato del tutto il cielo, non troverebbe mai la propria via né il proprio posto nell’acqua o nel cielo. Quando troviamo questo luogo, quell’azione si realizza inevitabilmente come l’Universo. Quando troviamo questa via, quell’azione è inevitabilmente l’Universo realizzato [in sé]. Questa via e questo luogo non sono né grandi né piccoli, né soggettivi né oggettivi; non sono esistiti nel passato né appaiono nel presente; eppure sono presenti così. Quando un essere umano pratica ed esperisce la verità del Buddha in questo stato, ottenere un dharma è penetrare un dharma, e incontrare un’azione è compiere un’azione. In questo stato, il luogo esiste e la via è pienamente vissuta, e quindi l’ambito della conoscenza non è evidente. Questo avviene perché questa conoscenza e la perfetta realizzazione del Buddha-Dharma appaiono insieme e sono esperite insieme. Non supporre che ciò che è realizzato diventerà inevitabilmente autocosciente e sarà riconosciuto dall’intelletto. L’esperienza dello stato ultimo si realizza istantaneamente. Allo stesso tempo, la sua misteriosa esistenza non è necessariamente una realizzazione manifesta. La realizzazione è lo stato stesso dell’ambiguità. Il Maestro Zen Hotetsu del monte Mayoku-zan sta usando un ventaglio. Un monaco si avvicina e chiede: «La natura dell’aria è quella di essere onnipresente, e non c’è luogo che [l’aria] non possa raggiungere. Perché dunque il Maestro usa un ventaglio?» Il Maestro risponde: «Hai soltanto compreso che la natura dell’aria è di essere onnipresente, ma non conosci ancora la verità che non c’è luogo che [l’aria] non possa raggiungere.» Il monaco chiede: «Qual è la verità del fatto che non c’è luogo che [l’aria] non possa raggiungere?» A questo punto, il Maestro continua semplicemente a usare il ventaglio. Il monaco si prostra. La reale esperienza del Buddha-Dharma, la via vigorosa della trasmissione autentica, è così. Chi dice che, poiché [l’aria] è onnipresente, non serve usare un ventaglio, oppure che anche senza [un ventaglio] possiamo comunque percepire l’aria, non conosce l’onnipresenza, né conosce la natura dell’aria. Poiché la natura dell’aria è quella di essere onnipresente, il comportamento dei buddhisti ha fatto sì che la Terra si manifestasse come oro, e ha fatto fermentare il Lungo Fiume in cagliata e siero di latte. Shōbōgenzō Genjō-kōan Fu scritto a metà autunno del primo anno di Tenpuku, e fu presentato al discepolo laico Yō Kōshū di Chinzei. Rivisto nel [quarto] anno di Kenchō.