Tremante, instabile, difficile da proteggere, da tenere sotto controllo: la mente. Il saggio la raddrizza— come un fabbricante di frecce l’asta di una freccia.
Dal Dizionario
bodhicitta
Pronunce
In Sanscrito “Aspirazione all’illuminazione”. Una mente che aspira alla più alta Buddità. Sostanzialmente uguale alla mente di Buddha.
L’intenzione di raggiungere la completa e perfetta illuminazione (anuttarasamyaksaṃbodhi) dei buddha, al fine di liberare tutti gli esseri senzienti dell’universo dalla sofferenza. In quanto causa generativa che conduce al conseguimento finale della buddhità e a tutto ciò che essa rappresenta, bodhicitta è uno dei termini più cruciali del Buddhismo mahāyāna. Il conseguimento della bodhicitta segna l’inizio del sentiero del bodhisattva: bodhicitta si riferisce all’aspirazione che ispira il bodhisattva, l’essere che cerca la buddhità.
In alcune scuole del Buddhismo Mahāyāna, la bodhicitta è concepita come latente in tutti gli esseri senzienti in quanto “mente innatamente pura” (prakṛtipariśuddhacitta), come ad esempio nel Mahā Vairocanābhisaṃbodhi Sūtra: “Conoscere la propria mente secondo la realtà è bodhi, e bodhicitta è la mente innatamente pura che esiste originariamente”. In questo senso, la bodhicitta era intesa come un principio universale, correlato a termini come dharmakāya, tathāgata, o tathatā. Tuttavia, non tutte le scuole del Mahāyāna (per esempio, alcuni filoni degli yogācāra) sostengono che tutti gli esseri siano destinati alla buddhità e, quindi, non tutti gli esseri sarebbero dotati di bodhicitta.
Indipendentemente dal fatto che la bodhicitta sia considerata innata o meno, essa è comunque una qualità della mente che deve essere sviluppata, da cui l’importante termine bodhicittotpāda, “generazione dell’aspirazione all’illuminazione”. Sia il bodhisattva-bhūmi sia il Mahāyāna Sūtrā Laṃkāra forniscono spiegazioni dettagliate della bodhicitta. Nei trattati indiani tardivi del Mahāyāna, autori importanti come Śāntideva, Kamalaśīla e Atiśa Dīpaṃkaraśrījñāna illustrano tecniche per coltivarla. Lo sviluppo della bodhicitta occupa un posto rilevante anche nelle liturgie Mahāyāna, in particolare in quelle in cui si ricevono i precetti del bodhisattva (bodhisattvasaṃvara, Giapponese: 菩薩戒 bosatsukai).
In questa letteratura vengono enumerati due tipi di bodhicitta. In primo luogo, la “bodhicitta convenzionale” (saṃvṛtibodhicitta) si riferisce all’aspirazione mentale del bodhisattva a raggiungere l’illuminazione. In secondo luogo, la “bodhicitta ultima” (paramārthabodhicitta) si riferisce alla mente che realizza direttamente la vacuità (śūnyatā) o l’illuminazione inerente alla mente. La “bodhicitta convenzionale” è ulteriormente suddivisa in: praṇidhicittotpāda, letteralmente “creazione aspirazionale dell’attitudine” (dove “attitudine”, citta, si riferisce alla bodhicitta), in cui si rende pubblico il proprio voto (praṇidhāna) di raggiungere la buddhità; e prasthānacittotpāda, letteralmente “creazione dell’attitudine del mettersi in cammino”, in cui ci si mette effettivamente a praticare il sentiero verso la buddhità. Nel discutere questa coppia, Śāntideva nel suo Bodhicaryāvatāra paragona il primo tipo alla decisione di intraprendere un viaggio e il secondo al mettersi effettivamente in cammino. Nel caso del sentiero del bodhisattva, dunque, il primo si riferisce allo sviluppo dell’aspirazione alla buddhità per il bene degli altri, mentre il secondo all’intraprendere le varie pratiche del sentiero del bodhisattva, come le sei perfezioni (pāramitā).
L’Avataṃsaka Sūtra descrive tre tipi di bodhicitta: quella del pastore, del traghettatore e del re. Nel primo caso, il bodhisattva conduce tutti gli altri all’illuminazione prima di entrarvi lui stesso, come un pastore porta il gregge nell’ovile prima di entrare egli stesso; nel secondo caso, tutti entrano insieme nell’illuminazione, come un traghettatore e i suoi passeggeri che raggiungono insieme l’altra riva; nel terzo, il bodhisattva raggiunge per primo l’illuminazione e poi guida gli altri alla meta, come un re che ascende al trono e poi beneficia i suoi sudditi.
Una definizione standard della bodhicitta si trova all’inizio dell’Abhisamayālaṃkāra, dove essa è definita come un’intenzione o desiderio che ha due scopi: la buddhità e il benessere degli esseri a cui quella buddhità arrecherà beneficio. Lo stesso testo fornisce anche un elenco di ventidue tipi di bodhicitta, con esempi per ciascuno. Autori successivi come Ārya Vimuktisena e Haribhadra collocano i ventidue tipi di bodhicitta dell’Abhisamayālaṃkāra in differenti fasi del sentiero del bodhisattva e al momento dell’illuminazione.
All’inizio del suo Madhyamakāvatāra, Candrakīrti paragona la compassione (karuṇā) a un seme, all’acqua e ai raccolti, e afferma che essa è importante all’inizio (quando la compassione dà avvio al sentiero del bodhisattva), nel mezzo (quando sostiene il bodhisattva e lo preserva dalla caduta nel nirvāṇa limitato dell’arhat) e alla fine, quando si raggiunge la buddhità (quando spiega le azioni spontanee e inesauribili a beneficio degli altri che derivano dall’illuminazione). Karuṇā è considerata una causa della bodhicitta, poiché essa sorge inizialmente e persisterà fino alla fine solo se la mahākaruṇā, la “grande compassione per la sofferenza altrui”, è forte.
In parte a causa della sua connotazione di forza generativa, nell’Anuttarayoga Tantra, bodhicitta viene anche a riferirsi allo sperma, in particolare nella pratica dello yoga sessuale, dove il seme fisico (bīja) del risveglio (che rappresenta upāya) è posto nel loto della saggezza (prajñā).
"The Princeton Dictionary of Buddhism"
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