Sho significa “vita” e ji significa “morte”, quindi shoji significa “vita e morte”. Sebbene le parole “vita” e “morte” esistano in tutte le lingue, il Maestro Dogen afferma che non siamo in grado di comprendere intellettualmente cosa siano la nostra vita e la nostra morte. Afferma che il loro significato è radicato nella nostra stessa vita quotidiana. In questo capitolo spiega la vita e la morte come il reale stato momentaneo del momento presente. Nella nostra vita quotidiana, vita e morte esistono entrambe in una totalità indivisa.
Dal Dizionario
jarāmaraṇa
Pronunce
In sanscrito “vecchiaia e morte”; dodicesimo e ultimo anello della catena dell’origine dipendente (pratītyasamutpāda), successivo a jāti (nascita).
In alcune formulazioni dei dodici anelli, vecchiaia e morte si collocano nell’ultima di una sequenza di tre vite: i primi due anelli (ignoranza e formazioni volitive) appartengono a una vita precedente; coscienza, nome e forma, basi sensoriali, contatto, sensazione, sete, brama e divenire alla vita presente; e ciò conduce a nascita, vecchiaia e morte nella vita immediatamente successiva.
In certi contesti, jarāmaraṇa non indica soltanto “vecchiaia e morte”, ma funge da abbreviazione per l’intero ciclo dell’esistenza umana: “nascita, vecchiaia, malattia e morte”; da qui l’uso cinese di tradurlo anche come “vita e morte” (Cinese: shengsi; Giapponese: Shōji; 生死).
La tradizione distingue due forme di jarāmaraṇa:
-
Determinativo (paricchedajarāmaraṇa), che riguarda l’esistenza fisica degli esseri ordinari, limitata in durata, aspetto e dimensioni.
-
Trasformazionale (pariṇāmikajarāmaraṇa), che riguarda i corpi mentali (manomayakāya) di Arhat, Pratyekabuddha e grandi Bodhisattva, capaci di mutare a volontà forma e durata della propria vita.
"The Princeton Dictionary of Buddhism"