Genjo significa “realizzato”, e koan è un’abbreviazione di kofu-no-antoku, una bacheca su cui, nell’antica Cina, venivano annunciate al pubblico le nuove leggi. Per questo motivo, koan esprime una legge, o un principio universale. Nello Shobogenzo, genjo koan indica la legge realizzata dell’Universo, cioè il Dharma, ovvero l’Universo reale stesso. Il fondamento del Buddhismo è la fede in questo Universo reale, e nel Genjo Koan il Maestro Dogen ci insegna il Dharma realizzato, ossia l’Universo reale. Quando fu compilata l’edizione in settantacinque capitoli dello Shobogenzo, questo capitolo fu collocato per primo, e da ciò possiamo riconoscerne l’importanza.
Dal Dizionario
kōan
Pronunce
In cinese gōng’àn, “caso pubblico” o “precedente”; meglio conosciuto in Occidente con la pronuncia giapponese kōan. Nella scuola Chán, indica sia un precedente autorevole che una storia utilizzata per l’addestramento spirituale.
Originariamente termine giuridico che designava il tavolo (an) del magistrato (gong), e per metonimia il precedente legale o il giudizio autorevole, gong’an viene a significare anche “storia” (in cinese volgare il termine indica il genere dei racconti polizieschi). L’uso del termine nella scuola Chán conserva entrambe le accezioni. Lo studio dei gong’an sembra avere avuto inizio nella tarda dinastia Tang con i commenti agli “antichi precedenti” (guce) tratti dalle storie genealogiche del Chán (come il Jingde chuandeng lu) e dai registri dei discorsi (yulu) dei maestri del passato. Il commento ai casi antichi (niangu), spesso in forma di versi (songgu), era pratica consolidata già all’inizio della dinastia Song, quando i registri dei discorsi cominciarono a includere sezioni distinte di niangu e songgu. Una delle raccolte più celebri di versi sui casi antichi è il Xuedou heshang baice songgu del maestro Chán Xuedou Chongxian, oggi conservato solo all’interno della più ampia e influente collezione di gong’an nota come Biyan lu. Altre famose raccolte, come il Congrong lu e il Wumen guan, furono compilate durante e dopo la dinastia Song, spesso con formato simile: ogni caso (bence) inizia con un’introduzione (chuishi), seguita dall’aneddoto vero e proprio intercalato da annotazioni o frasi di commento (zhuoyu/zhuyu, giapponese jakugo), quindi un commento in prosa (pingchang), un commento in versi (songgu) e un sub-commento a quest’ultimo. Tradizionalmente si afferma che nella scuola Chán circolassero 1.700 gong’an, ma il numero non fu mai fisso: ad esempio, la raccolta tardo-Qing Zongjian falin (1712) ne include 2.720, dichiarati come tutti i casi ancora in uso. Non esisteva tuttavia nelle tradizioni Chán cinesi o Sŏn coreane un curriculum sistematico che facesse uso dell’intero corpus. La creazione di un sistema pedagogico basato sulla padronanza di una serie di diversi kōan è comunemente attribuita a Hakuin Ekaku (1685–1768) della scuola giapponese Rinzai. L’ampia diffusione del riferimento a 1.700 gong’an nei materiali occidentali può derivare dai tentativi del governo giapponese, nel 1627, di regolamentare il curriculum monastico Rinzai imponendo a tutti gli abati Zen la padronanza di 1.700 casi.
L’impresa letteraria dello studio dei casi antichi diede origine anche a nuove forme di meditazione. Il maestro Chán Dahui Zonggao, nella corrente Yangqi della scuola Linji, sistematizzò una pratica centrata sul “tema meditativo” (huatou), cioè la “parola-chiave” o “frase critica” di un gong’an. Celebre è il huatou “wu” (“no”) che Dahui utilizzava come tema meditativo, tratto da un popolare gong’an attribuito a Zhaozhou Congshen: a un allievo che chiedeva «Un cane ha la natura di buddha, oppure no?», Zhaozhou rispose «wu» (“no”; letteralmente “non ce l’ha”) (cfr. Wu gong’an; Gouzi wu foxing). Questa nuova pratica fu detta “Chán dell’osservazione del tema meditativo” o, più liberamente, “meditazione di indagine” (kanhua Chán). Durante la dinastia Song gli allievi iniziarono anche a ricevere istruzioni private sui gong’an dai maestri Chán, spesso negli alloggi dell’abate (fangzhang).
Lo studio attivo dei gong’an nel Sŏn coreano comincia con Pojo Chinul e il suo discepolo Chin’gak Hyesim, che conobbero il kanhua Chán di Dahui soprattutto tramite i suoi scritti. Hyesim fu anche il primo monaco Sŏn a compilare una vasta raccolta di casi, intitolata Sŏnmun yŏmsong chip. L’uso dei casi venne poi trasmesso in Giappone da pellegrini e monaci emigrati, dove lo studio dei kōan divenne emblematico della scuola Rinzai. Poiché la memorizzazione meccanica delle frasi di commento ebbe la meglio sulla composizione letteraria in cinese classico, in Giappone furono compilate grandi raccolte di frasi (jakugo), come lo Zenrin kushū, da usare nell’addestramento.
"The Princeton Dictionary of Buddhism"