Lo Zen e L’Occidente

Zen E Cristianesimo

Le altre religioni sono compatibili con lo Zen?

Certo. Lo Zen è al di là della religione. Cristiani, suore e preti praticano lo zazen.

Quali sono le principali differenze tra Cristianesimo e Buddhismo?

Se pensi che esistano differenze, allora esistono. Se pensi che non ci siano differenze, non ce ne sono. La fonte è la stessa; ma gli esseri umani cercano sempre di creare categorie.

Se li guardi dall’esterno, sembrano completamente diversi. Ma nel loro spirito più profondo non trovo differenze. Sono interdipendenti. Il Buddhismo ha esercitato una forte influenza su alcuni teologi cristiani e viceversa: ci sono preti e pastori che hanno influenzato il Buddhismo. Entrambe le influenze sono state profonde. In sostanza, si tratta di una sola e medesima religione.

Padre Lassalle non tiene mai conferenze sul Cristianesimo; parla di Zen. Molti altri cristiani fanno lo stesso. A volte, nelle mie conferenze, parlo di Cristianesimo; a volte dimentico Buddha e parlo soltanto di Dio e di Cristo. Secondo alcuni autori, i fondatori di Buddhismo, Cristianesimo, Islam, Ebraismo e Taoismo furono cinque grandi Iniziati. Perciò bisogna comprendere le radici. Zen significa cercare di comprendere le radici di tutte le religioni. Tutto il resto è decorazione.

Lo Zen è pura esperienza e non può essere semplicemente identificato con il Buddhismo, sebbene si sia sviluppato al suo interno. Finora la “filosofia” che ha cercato di esprimerne qualcosa (dato che bisogna pur parlare un po’, anche se le parole non sono adatte) lo ha fatto in un contesto buddhista. Crede che, se i cristiani praticassero lo Zen, un giorno potrebbero arrivare a esprimerne qualcosa in una forma che possa essere “filosoficamente” diversa, in modo significativo, da quella buddhista — ad esempio riguardo al rapporto tra la vita presente e l’aldilà, o al rapporto tra Dio Creatore e l’essenza delle cose?

Lo Zen non è filosofia, non è psicologia, non è dottrina. È al di là delle filosofie, dei concetti, delle forme. L’essenza dello Zen non si esprime con le parole. Naturalmente esiste il Buddhismo Zen, che è una cornice tradizionale con discipline, riti e regole. Ma c’è anche lo Zen aperto a tutti, nel suo insegnamento dell’universalità della coscienza, nella pratica della meditazione, nella postura perfetta dello zazen. E anche nei mezzi che offre per coltivare la presenza a se stessi come arte del vivere qui e ora, nella perfezione dell’istante; e per imparare a liberare e dominare le energie dentro di noi e, così facendo, partecipare pienamente alla creazione che si compie attraverso di noi e per mezzo della nostra attività quotidiana.

La filosofia viene dopo la pratica.

Ma è importante ricollegare lo Zen alle sue origini e conoscerle bene: la sua fonte in India, poi il Ch’an in Cina, e poi il lignaggio di tutti i maestri fino a oggi. Altrimenti si rischia di diffondere qualsiasi cosa, ma non il vero Zen.

Se sei fedele nella pratica, lo Zen diventa creazione continua.

Attraverso una profonda conoscenza dello spirito e della sorgente, anche gli occidentali potranno a loro volta creare uno Zen originale, il loro.

Come si dovrebbe parlare di Dio?

Nella nostra civiltà moderna le persone hanno bisogno di una giustificazione scientifica per credere in un Essere Supremo. Ci sono troppi buddha, troppi dei. La gente non comprende più cosa rappresentino queste parole. Per i cristiani autentici esse evocano qualcosa, come per i buddhisti autentici, anche se, in definitiva, nel Buddhismo, l’unione con Buddha non è un obiettivo e si parla di ku, vuoto, vacuità. È più scientifico.

In Europa ciò che dico su questo punto sembra semplice, perché Dio è l’assoluto. Ma in Giappone e in Estremo Oriente ci sono così tante sette buddhiste, così tante religioni, che tutto diventa estremamente complicato a causa delle troppe categorie.

In Giappone, quando una persona muore, si dice che diventa Buddha, e così la parola Buddha assume una connotazione di morte. I giovani non possono capire.

Qual è la differenza tra la Passione di Cristo e la Compassione di Buddha?

Cristo si oppose al governo del suo tempo. Un vero uomo di religione dovrebbe opporsi a una cattiva politica. Egli si sacrifica per gli altri. Se Cristo non fosse stato crocifisso, il Cristianesimo non si sarebbe sviluppato; per questo la Croce è importante. In seguito, gli apostoli diffusero e organizzarono il suo insegnamento e coltivarono uno spirito di compassione di fronte alla sua morte crudele. La morte di Cristo creò la forza della loro missione. Per Cristo e per Buddha l’amore universale è fondamentale. Compassione significa amore e comprensione della mente dell’altro: se qualcuno soffre bisogna essere compartecipi della sua sofferenza. La maggior parte delle persone, però, è invidiosa, e questo è l’opposto della compassione. Se qualcuno è felice o ha successo, siamo felici con lui; se è triste, lo siamo anche noi.

In fondo, passione e compassione non sono diverse. Buddha era anziano, provava compassione; Cristo era giovane e ciò che viveva era una passione. Cristo aveva meno esperienza di vita; questa è l’unica differenza.

Quando si legge la Bibbia, tutto appare molto morale. Quando i giovani leggono i sūtra trovano molte contraddizioni, perché vi è incluso di tutto, lato sinistro, lato destro.

Cristo è bellezza, purezza, emozione; il lato moralizzante del Cristianesimo è molto duro, molto forte. Anche nel Buddhismo lo è, ma alla fine tutte le illusioni diventano satori.

Buddha ebbe molte esperienze: la vita di palazzo, molte donne, poi sei anni di mortificazione. Alla fine era mezzo morto. Sotto l’albero della Bodhi fu tentato e assalito da ogni sorta di demoni interiori. Quando di lui non rimaneva altro che pelle e ossa, Sujata si prese cura di lui e gli diede ogni giorno del latte; grazie a questa donna, poco a poco, Buddha recuperò l’amore per la vita autentica, il suo corpo tornò alla condizione normale e anche la sua mente: satori.

L’equilibrio è importante. Troppo piacere e troppa mortificazione sono entrambi negativi.

Dopo aver sperimentato la vera vita e la vera libertà, fondò il Buddhismo, che non concordava con le religioni tradizionali di allora, troppo ascetiche o moralistiche.

I kai, i precetti, vennero dopo; e quando il Buddhismo Hīnayāna divenne troppo formalistico, il Buddhismo Mahāyāna creò una nuova saggezza, che però alla fine si radicò anch’essa troppo nella tradizione. Le religioni devono essere sempre vive, non devono creare categorie che restringono e complicano la mente. La religione non è scienza, non ha bisogno di categorie.

San Paolo disse che l’intera creazione soffre e attende la redenzione. Cosa significa questo dal punto di vista della compassione?

Il Buddhismo tibetano parla sempre di compassione, ma è necessaria anche la saggezza. L’una senza l’altra non può essere autentica. Bisogna saper unire compassione e saggezza.

Un padre e una madre hanno bisogno di compassione nell’educare il figlio, ma anche di saggezza, che insegna loro a dosare severità e gentilezza, tenerezza. Mi piace l’esempio dell’aquilone: per farlo volare bene non bisogna tirare troppo forte e non bisogna lasciargli troppo filo. L’equilibrio è importante.

La compassione del Buddha è per tutti, e non distingue tra ricchi e poveri. Non riguarda la soluzione dei problemi politici o delle guerre. La religione salva gli esseri umani a un livello superiore. Il problema è cambiare la mente delle persone.

Quella di cui parlo non è una rivoluzione politica, ma una rivoluzione interiore. Se le persone non cambiano dentro di sé, nulla può cambiare. La crisi della nostra civiltà attuale è causata dal fatto che la mente della maggior parte delle persone non è normale. Se la mente cambia, cambia la civiltà. Cambiare la mente potrebbe risolvere il problema della scarsità di petrolio. Le persone parteciperebbero ai sesshin invece di guardare la televisione. Il tuo comportamento influenza quello degli altri.

L’anno scorso ero all’Eihei-ji e, alla fine di una lunga conversazione, un monaco Zen mi disse: «Nello Zen, quando hai il satori, puoi dire: “Io sono Dio!”». Una simile affermazione può essere interpretata come quella di San Paolo quando disse: «Non sono io che vivo, ma Cristo vive in me»?

Zazen è la stessa cosa di Dio o di Buddha. Dōgen, il maestro della trasmissione, disse: «Lo zazen stesso è Dio». Con ciò intendeva che durante lo zazen si è in armonia con il cosmo.

Nella coscienza hishiryō non rimane più nulla. È la coscienza del satori. Il sé è caduto e si è dissolto. È la coscienza di Dio. È Dio.

Le persone hanno un Dio personale. Non siamo separati. Non c’è dualità tra Dio, Buddha e noi stessi.

Se dico: «Io sono Dio o Buddha», sono un po’ pazzo. Il mushotoku è importante. Se pensi coscientemente a Dio o a Buddha, non va bene. Se dico che tu sei Dio o Buddha mentre pratichi zazen, non è affatto la stessa cosa che se tu lo dicessi di te stesso. Nello Zen non bisogna avere alcun obiettivo.

Nella coscienza hishiryō il sé personale, per quanto illuminato, è ancora presente. Meister Eckhart disse: «Se ti svuoti, Dio entra in te».

Nello Zen l’ego entra in Dio. Dio entra nell’ego. Entrambi.

Credo che la meditazione Zen conduca a una conoscenza più profonda di sé, attraverso il corpo, attraverso una postura corretta, attraverso una percezione del corpo che dia la consapevolezza di appartenere al cosmo. Ma per me questa non è coscienza cosmica. È la consapevolezza di essere, attraverso il mio corpo, un partecipante al cosmo. Non credo che il cosmo stesso abbia una coscienza specifica.

È impossibile sperimentarlo coscientemente. Ecco perché i maestri usano parabole, poesie o dipinti. Nella filosofia cinese, la terra e l’io hanno la stessa radice. Se oggi continuiamo a ripetere “Dio, Dio, Dio”, la gente non capisce di cosa stiamo parlando e non riesce a credere. Nel Buddhismo è lo stesso con Buddha.

Ma dov’è Dio? Non possiamo vederlo. Il sistema cosmico, la coscienza cosmica: questo possiamo comprenderlo. Esiste fisicamente, è energia. Oggi la scienza cerca di capire che cos’è l’energia cosmica.

Riceviamo quell’energia in noi stessi, respirando, mangiando, attraverso la pelle. Ma non è tutto. Abbiamo anche un ego, una coscienza personale, e anche questa riceve energia dal cosmo.

I fisiologi hanno studiato la questione e lo hanno confermato. Se la nostra coscienza individuale, il nostro ego, è troppo forte, riceviamo male l’energia. Ecco perché dobbiamo abbandonare la nostra coscienza personale per ricevere Dio. Se entriamo dentro noi stessi attraverso la concentrazione, diventiamo ricettivi. Durante lo zazen, nel corso di una sesshin, la coscienza individuale viene purificata dalla meditazione e i neuroni si calmano. Allora possiamo ricevere pienamente l’energia cosmica.

Credo anche che la coscienza si svuoti delle sue impressioni abituali, di tutti gli eventi che ci colpiscono e ci toccano, e raggiunga un livello di coscienza più profondo, che è il senso di appartenenza a qualcosa di più grande di noi stessi, all’ordine cosmico.

In virtù di questo vuoto possiamo ricevere facilmente l’energia cosmica, perché non viviamo solo per noi stessi. L’ordine cosmico ci guida e ci dirige. I nostri nervi autonomi, per esempio, non sono azionati dalla nostra volontà. Sono diretti dalla vita cosmica. Nella vostra religione dite: «Dio dispone». Non siamo soli; le nostre vite sono disposte da Dio, da Buddha, dalla manifestazione dell’energia.

Forse ciò che si cela dietro la mia esitazione è l’espressione “coscienza cosmica”. Teilhard de Chardin parlava di “senso cosmico”: quando scendiamo in noi stessi sentiamo di appartenere al cosmo. Non è forse lo stesso che attribuire una coscienza al cosmo stesso?

La coscienza coincide con la vita. I medici giapponesi dicono: «Tutto ha una coscienza, tutto è coscienza». Persino le piante hanno coscienza; se allunghi la mano per strappare un fiore dal suo stelo, esso si ritrae. La scienza sta facendo ricerche in questo campo.

Ogni esistenza ha una coscienza. Alla fine le cose sono difficili da spiegare, ed è per questo che diciamo “Dio”. Sono molto interessato a questa domanda, perché nello Zen dobbiamo sempre trovare una spiegazione ed essere realistici. Così a volte lo Zen nega Buddha.

Che cos’è il sistema cosmico? Che cos’è la verità cosmica? Alla fine diciamo “Dio” o “Buddha”. Questo è il termine ultimo. Se le persone credono in Dio o in Buddha, il livello della loro comprensione è più profondo. Ma non bisogna creare categorie, e per questo cerco di spiegare talvolta scientificamente, talvolta con la poesia. Non create categorie. Se lo fate, quello non è il vero Dio, il vero Buddha.

Io dico che la nostra coscienza è più rapida del cosmo. Ciò significa che Dio è più grande del cosmo. Nel Buddhismo, ku, il vuoto, è più grande del cosmo.

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