“Ciò si riferisce alla natura risvegliata della nostra vita, o all’attenzione necessaria nell’insicurezza del cambiamento costante e quotidiano.”
Perché il Buddha lasciò la casa
A volte mi interrogo sul perché il Buddha Shakyamuni lasciò la casa. Ieri abbiamo parlato di qualcosa di urgente dentro di noi che ci spinge a praticare. Si potrebbe dire che è un richiamo della natura di Buddha nella vita di ogni giorno. Ciò si riferisce alla natura risvegliata della nostra vita, o all’attenzione necessaria nell’insicurezza del cambiamento costante e quotidiano. Questa attenzione ha a che fare con il mantenimento dell’equilibrio in ognuna delle nostre vite, tra tutte le esistenze, dentro e fuori.
Transitorietà
Una realizzazione che conduce alla mente della via è un sentire il cambiamento, un cambiamento rapido, che porta alla consapevolezza della natura transitoria di tutte le cose, e che ci spinge a praticare. Vogliamo trovare una sorta di Sé sottile e immutabile. Questa consapevolezza della transitorietà può giungere quando sperimentiamo la scomparsa dei nostri familiari più stretti, o quando amici se ne vanno all’improvviso senza salutarci. Non li rivediamo mai più. Così pensiamo che un giorno, un giorno qualunque, potrebbe succedere anche a noi. Forse, prima che se ne andassero, pensavamo di avere una certa chiarezza su noi stessi e sul mondo. Forse, prima di perderli, avevamo sperimentato una certa perfezione all’interno della nostra vita. Ma con questa consapevolezza della transitorietà della vita siamo spinti a cercare ciò che viene chiamato illuminazione. Vogliamo ritrovare quella sensazione di perfezione.
Bodhicitta
La spinta a cercare l’illuminazione è come un fuoco che, una volta acceso, non possiamo più fermare. In sanscrito si chiama bodhicitta. E quando arde, l’ambiente circostante, le persone che ci sono vicine, sono influenzate dal nostro modo di vivere. Se siamo troppo diversi dagli altri, ci ritroveremo in un monastero. E se trascorriamo abbastanza tempo in un monastero, potremmo poi in qualche modo uscirne. È come un albero di cachi i cui frutti cadono dopo la maturazione, e ci ritroviamo tra la gente, completamente soli. Cosa facciamo allora della nostra vita? Alcuni mantengono una vita monastica, una vita da celibe. Alcuni vivono come persone comuni, solo che custodiscono dentro di sé la mente di un monaco, ma hanno accanto la moglie, i figli sono con loro. Eppure qualcosa continua a bruciare dentro. Dunque si tratta di un continuo ardere e nutrire la mente della via. Se non la nutriamo, non possiamo trovare soddisfazione.
Questa mente della via include un riconoscimento quasi doloroso dell’indipendenza. Non necessariamente solitudine, piuttosto è “si nasce soli e si muore soli”, quel genere di realizzazione. Dipendiamo dagli altri, gli altri dipendono da noi, lo sappiamo, ma è nell’indipendenza essenziale e nella cura essenziale, che scaturisce da una persona indipendente verso un’altra persona indipendente. In questo senso ciascuno di noi è assolutamente uguale. Possiamo dire che davanti all’Assoluto tutti sono uguali, ma non ci sono due persone: c’è un’unica persona, che siamo noi.
La nascita del Buddha
È mia abitudine, quando arriva la primavera, sentirmi molto energico e felice per il compleanno del Buddha. Secondo un antico manoscritto, la nascita effettiva del Buddha avvenne intorno a maggio, secondo il nostro calendario. Sua madre aveva trentacinque anni e suo padre circa la stessa età. Il padre del Buddha era il capo di una nobile famiglia del clan degli Shakya, che governava il piccolo paese chiamato Shakya intorno alla metà del VI secolo a.C., quindi molto tempo fa. Attualmente, il luogo dove nacque il Buddha, verso la metà del V secolo a.C., si trova nel Nepal meridionale. Il clan Shakya, che apparteneva alla classe dei guerrieri, combatteva per la terra della regione, e fu in seguito conquistato mentre il Buddha era ancora in vita. La società stava attraversando molti cambiamenti in quel periodo. Questa incertezza della vita risvegliò le persone, che iniziarono a cercare la propria via alla pace. La consapevolezza dell’individualità fu uno dei nuovi modi di pensare, e oggi siamo discendenti di quell’atteggiamento iniziale, continuando a interrogarci su come prenderci cura di questa vita individuale. Cercando esempi, insegnamenti guida, scopriamo una luce preziosa come un gioiello nel passato oscuro e dimenticato.
Siddartha Gautama aveva circa trentacinque anni quando ottenne l’illuminazione sotto l’albero della Bodhi, circa quattrocento anni prima della nascita di Cristo. Mi trovo continuamente a immaginare che tipo di mente potesse avere, quali sensazioni provasse. Dopo molti anni di una vita sontuosa, con moglie e figlio, decise di seguire coloro che avevano lasciato la casa per cercare la via. Secondo varie biografie, la sua origine era un misto di popolazione ariana e di genti native che abitavano lì prima dell’arrivo degli Arii nell’India nord-occidentale. Riusciamo a malapena a immaginare che aspetto avesse, che occhi e che voce avesse.
La nascita del Buddha fu piuttosto inaspettata. Era insolito per una famiglia indiana della loro classe avere un figlio così tardi, e ne furono gioiosi. Ma, ahimè, la madre del Buddha morì per complicazioni legate al parto. Sua sorella minore, Mahapajapati, crebbe il Buddha. Nella sua biografia egli racconta di quanto bene si prese cura di lui. Da bambino, indossava seta finissima dalla testa ai piedi. Molti servitori correvano sempre ovunque, e c’era sempre musica. Quando usciva, veniva sempre sollevato un grande parasole. Come d’uso, fu chiamato un indovino, e il saggio Ashita disse: «Se questo ragazzo resta nella famiglia Shakya, diventerà un grande sovrano. Se non resterà in casa, diventerà “colui che fa girare il chakra, la ruota dell’insegnamento”». I genitori erano felici, ma un po’ preoccupati che un giorno questo ragazzo sarebbe andato via, così allestirono attorno a lui condizioni particolarmente agiate, mentre cresceva. La biografia racconta che sposò tre donne e che il suo unico figlio, Rāhula, nacque da lui e da Yasodharā.
Non sappiamo esattamente cosa accadde, ma il Buddha lasciò il palazzo per unirsi agli śramaṇa e alla fine cominciò a praticare tapas1. Praticò in questo modo per sei anni, arrivando quasi alla morte. Una delle pratiche consisteva nel trattenere il respiro a lungo, molto a lungo, tra inspirazione ed espirazione. Causa lunghi minuti senza respiro. Noi non possiamo farlo per più di dieci secondi. Inoltre, non si concedeva cibo, solo pochi chicchi al giorno, o un po’ di sterco di mucca, e non si lavava. Alla fine sembrava un ottantenne, senza carne, solo ossa e pelle come carta bagnata appesa alle ossa.
Quando leggo biografie di vario genere sulla vita del Buddha, è chiaro che era una persona molto insolita, un genio, si potrebbe dire. Quando da ragazzo crescevo in un tempio, ero curioso di comprendere che tipo di persona fosse. Dopo tutti i miei sforzi, mi è ancora sconosciuto, pieno di mistero.
Il Buddha e la sofferenza degli altri
Śramaṇa era un termine per coloro che non appartenevano alla casta dei Brahmani, ma che, come i Brahmani, lasciavano la casa per seguire un cammino spirituale. Forse il Buddha si unì a loro a causa dello shock provato dopo aver visto la gente per strada. Ricordate la storia? Fu portato in diversi luoghi e vide abitanti dei villaggi giacere sul letto di morte. Di solito gli era proibito guardarli, ma un giorno vide una persona distesa lungo la strada. Non era una sola, ma molte, e poiché era molto sensibile, si immedesimò in loro. Era giovane, ma non sopportava l’idea di invecchiare. Una volta vide nascere un bambino. In tali occasioni, la maggior parte delle persone, quando vede una persona povera in questo tipo di situazione, non pensa che stia accadendo a loro, dicendosi che sono affari altrui. Oggi, in televisione, siamo in qualche modo esposti a queste esperienze ovunque, e molte volte ne siamo profondamente toccati. Anche se noi stessi siamo sani, possiamo percepire che sta accadendo qualcosa di grave.
Recentemente, quando ho viaggiato a Nuova Delhi, Calcutta e in altri luoghi dell’India, ho sentito la vita del Buddha molto vicina. Non era solo immaginazione. Sentivo una mano sottile, sottilissima, che mi tirava, mi teneva la manica, camminava con me. La persona si muoveva ancora, ma le gambe non c’erano più. È difficile credere che un corpo simile fosse ancora vivo. Un giorno, in mezzo a una strada affollata di Calcutta, vedemmo nascere un bambino. Era una famiglia di mendicanti che aveva appena avuto il terzo figlio, una grande testa lucida e scivolosa, e un corpicino minuscolo. Aveva ancora attaccato l’enorme cordone ombelicale. Erano così felici di avere questo bambino. Non ho mai visto un volto così raggiante come quello di quel padre. La gente passava, guardava e andava oltre. Siamo tornati in albergo, ma il mio cuore batteva così forte che sono tornato indietro a guardare di nuovo. Siete mai stati in India? Dovete vederla. È davvero un paese scioccante. Vi scuote. In tasca non avevo molti soldi, ma volevo darne almeno la metà. Quel paese mi fece riflettere moltissimo. Ogni notte fissavo il soffitto e pensavo: “Che paese!”.
Ho continuato a viaggiare, ma in ogni paese, persino in Giappone, ho iniziato a pensare in modo molto simile, a quanto sia assurda la vita. Sono davvero felice di tornare qui e sedermi con voi.