Un Profondo Senso del Valore Umano

Nella storia buddhista la parola silenzio corrisponde alla retta visione: vedere l’impermanenza, la verità che tutto appare, scompare e muta di momento in momento. L’impermanenza non è qualcosa che si osserva oggettivamente: è qualcosa che si gusta direttamente. Allora l’impermanenza ti rende silenzioso, perché l’impermanenza è molto quieta. Quel silenzio ti connette con un profondo senso di valore umano.

Il silenzio non è semplicemente tacere. Sei silenzioso, ma allo stesso tempo vi sono molte parole, molte spiegazioni e molte rappresentazioni. Vi sono azioni dinamiche, sia fisiche che mentali. In altre parole, il silenzio è qualcosa di profondo e anche molto attivo. In giapponese la parola per questo silenzio è mokurai (黙雷). Moku (黙) significa “silenzio” e rai (雷) significa “tuono”. Quindi il silenzio è quiete, ma in esso vi è una voce enorme come un tuono.

Il Buddha Shakyamuni rimase in silenzio quando il suo discepolo Malunkyaputta gli chiese se il Buddha sarebbe esistito per sempre, se il mondo fosse eterno e se il mondo fosse strutturato da forze spirituali o materiali. Molti fraintendono questo silenzio. Per ascoltare l’insegnamento del Buddha sul silenzio, dobbiamo esaminare il silenzio che Shakyamuni mantenne in risposta alle domande metafisiche di Malunkyaputta.

La prima caratteristica del silenzio del Buddha è il vuoto. Tutto è prodotto dalla co-originazione interdipendente, il che significa che non c’è nulla a cui aggrapparsi, perché tutto è strettamente interconnesso, apparendo e scomparendo a una velocità straordinaria. Non c’è altro che attività-dinamica in funzione. Questo si chiama vuoto. Quando recitiamo il Maha Prajnaparamita Hridaya Sutra (Sutra del Cuore della Perfetta Saggezza), diciamo: “Né occhi, né orecchie, né naso, né lingua, né corpo, né mente”. Nel Buddhismo usiamo le parole no o non per indicare che nulla possiede un’esistenza separata: tutto è interconnesso e prodotto dalla co-originazione interdipendente.

La seconda caratteristica del silenzio è l’unità. L’unità è realizzare la totalità dell’esistenza invece di accontentarsi di conoscerne solo un piccolo aspetto. Il silenzio come unità si manifesta riflettendo su se stessi con un cuore aperto che accoglie e rispetta gli altri. Per esempio, per comprendere la tua opinione devi vederla in relazione a quella degli altri. Poi, quando consideri la tua opinione e quella altrui come un tutto unico, diventa piuttosto difficile entrare in conflitto. Così, alla fine, sei silenzioso. Quando vedi profondamente chi sei e gusti profondamente il dolore e la sofferenza umana, non puoi dire nulla. Comprendi il tuo dolore, quello degli altri, come ciascuno sia connesso all’altro, come la sofferenza sia legata alla felicità, e come tutto sia correlato alla tua vita passata, presente e futura. Se comprendi veramente questa unità, puoi gustare il silenzio, puoi vedere il silenzio. Quando? Dove? Come? Dipende dalla tua pratica. Devi esercitarti a stare quieto. Così, invece di discutere o litigare sempre, sii silenzioso. Non intendo dire che tu debba sempre tacere; sto parlando di trovare un silenzio profondo. Il silenzio è un grande spazio in cui puoi accogliere ogni cosa.

La terza caratteristica del silenzio è la devozione. Il silenzio è piena devozione: la tua vita egocentrica viene abbandonata alla totalità. Una vita intera è caratterizzata dall’impegno nell’amore, nella saggezza e nella preghiera. La preghiera non è qualcosa che va da un soggetto particolare a un oggetto particolare con l’aspettativa di un risultato particolare. La preghiera è assenza di ego, sostenuta da un profondo amore per tutti gli esseri: una profonda aspirazione estesa a tutte le vite. È l’energia fondamentale e profonda della vita. Dobbiamo prenderci la massima cura di questa energia e dedicarci pienamente e profondamente ad essa.

La quarta caratteristica del silenzio è la magnanimità. La magnanimità è una forma di generosità, di elasticità. Visioni ristrette impediscono a questa elasticità di operare nella nostra vita e in quella degli altri. Per esempio, se mi dici: “Katagiri, sei giapponese. Non capisco da dove vieni, quindi il tuo Buddhismo non fa per me”, questa non è elasticità. Devi essere generoso; devi essere magnanimo. Cerca dunque di essere presente proprio nel mezzo della magnanimità, della generosità. Allora puoi fare un respiro profondo e realizzare la vita pacifica.

Nel Buddhismo si trovano molti insegnamenti: impermanenza, non-sé, co-originazione interdipendente e così via. Ma se intendi l’impermanenza come qualcosa di separato dal non-sé o dalla co-originazione interdipendente, non ha senso. L’impermanenza può essere viva solo se è sostenuta dal non-sé e dalla co-originazione interdipendente. L’insegnamento del Buddha è molto interessante perché, se studi il non-sé, l’impermanenza o qualsiasi altro singolo insegnamento, qualunque esso sia, gli altri insegnamenti vi sono già inclusi. In altre parole, gli altri insegnamenti diventano il contenuto di quell’unico insegnamento. Per questo diciamo che il Buddhismo è molto vasto. La vastità è una caratteristica del Buddhismo. È vasto e profondo: non c’è nulla da fissare definitivamente.

Il silenzio del Buddha è molto importante per noi. Siediti dunque in zazen. Collocati proprio al centro della totalità dell’universo e lì diventa padrone di te stesso. Assapora il silenzio con tutto il corpo ed entra in quella totalità insieme ad alberi, rocce e cielo. In quel momento, ogni singola forma di esistenza appare, viva nell’energia di una profonda aspirazione.

Più pratichi, più meravigliosi sapori sgorgano dal tuo studio, dal tuo impegno, dalla tua vita. Sono molto gustosi, ma è difficile dire agli altri quanto lo siano, perché l’impermanenza non è qualcosa che si possa afferrare. Puoi parlarne, ma parlare non tocca esattamente il cuore della tua vita. Parlare è come appoggiarsi a un paravento giapponese credendo che sia un muro. Quando il paravento cade, cadi anche tu. Come il paravento, parole e forme sono impermanenti, ma le persone vi si appoggiano sempre.

Per esempio, se rientri dal freddo e immergi corpo e mente in un bagno caldo, esclami immediatamente: “Aaahhh!”. Poi ti affidi al piacere dell'”Aaahhh” e dimentichi completamente l’esperienza immediata che lo ha generato. Cosa c’è prima che tu dica “Aaahhh”? Cosa sta accadendo lì? Il tuo corpo non esiste come qualcosa di separato dalla vasca, dall’inverno e da tutte le cose. Tutti gli esseri sono il contenuto della tua vita. Sperimentare questo è unità. Poi dici “Aaahhh!”. Nel momento in cui dici “Aaahhh”, la tua mente dualistica è già apparsa.

Se ti affidi al dualistico “Aaahhh” invece che all’esperienza diretta dell’unità, la tua vita sarà sempre inquieta. Guardi il silenzio, la verità, il Buddha o Dio, ma vedi tutto in termini dualistici. Puoi sentirti felice praticando l’insegnamento del Buddha, ma rimane comunque qualcosa di insoddisfacente. Vi è un sapore sconsolato, qualcosa di malinconico che non puoi eliminare. Questa è la profonda sofferenza chiamata duḥkha. Ogni volta che cerchi la verità o indaghi chi sei, vedi sempre questa sofferenza perché possiedi una coscienza umana. La maggior parte delle persone cerca di cancellare o scacciare tristezza e malinconia, ma non può riuscirci. Non puoi cancellarle. Più ci provi, più tristezza e malinconia vedrai.

Pittori e poeti cercano di esprimere il silenzio usando materiali o parole, ma non riescono mai a farlo completamente. Qualunque cosa facciano, provano sempre una mancanza di completa soddisfazione, perché il silenzio non è qualcosa che possa essere espresso del tutto da un dipinto o da una poesia. Così un pittore o un poeta non sono mai pienamente soddisfatti. Ripetutamente cercano di toccare la verità e poi di esprimere il significato profondo della natura del loro soggetto. Lo fanno per mostrare, nelle loro opere, il significato della vita umana. Questa è la loro pratica. Ma vi è sempre un sapore sconsolato. Non possono farci nulla, possono solo riconoscerlo.

Un sapore profondo e sconsolato è sempre presente nella vita umana. In fondo alla tua vita vi è qualcosa come un lamento; emetti soltanto un suono, “Ooooooh!”. Non puoi fermare quella sofferenza. Ma puoi andare oltre e vedere la vita umana in un altro modo. Se vedi l’aspetto del corpo e della mente che è al di là dei tuoi sentimenti, emozioni e idee dualistiche, puoi realizzare la libertà dalla sofferenza.

Per farlo, tutto ciò che devi fare è sistemarti sul terreno della vita umana, affidarti a quella tristezza e accettarla. Affronta la tristezza, o la felicità, con pazienza, zelo e comprensione. In altre parole, cerca di approfondire ancora e ancora la tua esperienza della vita. Se parli, scegliendo un aspetto, il tuo discorso è già rumore. Anche se parli di unità, quel discorso è rumore. Quindi pratica semplicemente lo stare seduto, proprio ora, proprio qui, in silenzio. Questo è l’insegnamento completo del Buddha.

Come essere umano, hai il profondo desiderio di essere libero dalla sofferenza e di conoscere l’unità. Ma la vera unità non è qualcosa che puoi comprendere oggettivamente; devi diventare tutt’uno con essa. Attraverso la tua vita puoi toccare la profondità dell’esistenza. L’insegnamento Zen enfatizza il qui e ora, perché hai sempre l’opportunità di toccare il silenzio proprio dove sei, in questo preciso istante.

Quando sei semplicemente seduto in zazen non c’è nulla da dire, vi è solo silenzio. Quel silenzio è la tua vita e anche la vita degli altri, che sono diventati il contenuto della tua vita. Tutti sono interconnessi e compenetrati. Quando assapori questo, molto naturalmente la tua vita diventa pienamente viva. Allora comprendi veramente la tua vita, la esprimi e aiuti gli altri. Il sapore profondo e sconsolato si trasformerà completamente e troverai la gioia.