Così ho udito: Una volta il Bhagavan dimorava vicino a Shravasti nel Giardino di Anathapindada, nella Foresta di Jeta, insieme all’intera assemblea di 1250 bhikshu e a un gran numero di intrepidi bodhisattva. Un giorno, prima di mezzogiorno, il Bhagavan indossò la sua veste rattoppata, prese la sua ciotola ed entrò nella capitale di Shravasti…
Dal Dizionario
piṇḍapāta
In sanscrito e pāli, “cibo d’elemosina” (secondo altre etimologie, “ciotola dell’elemosina”); il cibo ricevuto nella ciotola (pātra) di un monaco o di una monaca; per estensione, il “giro dell’elemosina” che monaci e monache compiono ogni mattina per ricevere le offerte dei laici. In tutte le tradizioni buddhiste esistono numerose regole che disciplinano le modalità corrette di ricezione e consumo del cibo d’elemosina. Nel vinaya pāli, ad esempio, tale cibo deve essere ricevuto e consumato tra l’alba e mezzogiorno e può consistere in cinque tipi: riso cotto, farina cotta o tostata, legumi e riso, pesce e carne. Il monaco non può, di propria iniziativa, far intendere al donatore di desiderare del cibo o un tipo specifico di cibo; in genere non esprime quasi alcun segno di riconoscimento per l’offerta ricevuta, ma accetta semplicemente ciò che viene donato e prosegue lungo il suo percorso.
In Asia orientale, e in particolare in Giappone, il takuhatsu (“portare la ciotola”) è spesso praticato da piccoli gruppi di monaci che percorrono le strade con bastoni da pellegrinaggio (khakkhara) e campanelli che segnalano la loro presenza. Poiché il buddhismo dell’Asia orientale si è sviluppato prevalentemente come tradizione cenobitica autosufficiente, non dipendente dal cibo d’elemosina per i pasti quotidiani, durante il giro dell’elemosina i monaci ricevono di norma denaro o riso non cotto come offerte dei laici.
Il giro dell’elemosina costituiva uno dei principali punti di contatto tra la comunità monastica e i laici, in una relazione di reciproco sostegno: monaci e monache ricevevano il loro sostentamento accettando le offerte, mentre i laici avevano l’opportunità di accumulare merito (puṇya) per sé e per le proprie famiglie attraverso l’atto del donare (dāna). Una delle sanzioni più severe che il saṃgha può infliggere ai laici consiste nel rifiutare le loro offerte; questo atto di censura è chiamato “rovesciare la ciotola” (pātranikubjana).
"The Princeton Dictionary of Buddhism"