Dhammapada II: Vigilanza

21-24

La vigilanza:

il sentiero verso l’Immortale.1

La non-vigilanza2:

il sentiero verso la morte.

I vigilanti non muoiono.

I non-vigilanti sono come

già morti.

Sapendo che questa è la vera distinzione,

i saggi,

radicati nella vigilanza,

si rallegrano

nella vigilanza,

godendo dell’ambito dei nobili.

Gli illuminati, costantemente

assorti nello jhana,

perseveranti,

saldi nel loro impegno:

essi toccano il Dislegarsi3,

il riposo insuperabile

dal giogo.

Coloro che hanno iniziativa,

consapevoli,

puri nell’agire,

agendo con attenta considerazione,

vigilanti, disciplinati,

vivendo il Dhamma:

la loro gloria

cresce.

25

Attraverso iniziativa, vigilanza,

disciplina e dominio di sé,

il saggio costruisce

un’isola

che nessuna piena

può sommergere.

26

Sono assuefatti alla non-vigilanza

—ottusi, stolti—

mentre il saggio

custodisce la vigilanza

come la sua ricchezza suprema.

27

Non abbandonarti alla non-vigilanza,

né all’intimità

con il piacere sensuale—

poiché chi è vigilante,

assorto nello jhana,

consegue un ampio benessere.

28

Quando il saggio scaccia

la non-vigilanza

con la vigilanza,

dopo aver scalato l’alta torre

del discernimento,

libero dal dolore,

osserva la folla sofferente—

come l’illuminato,

dopo aver raggiunto

una vetta,

osserva gli stolti nella pianura sottostante.4

29

Vigilante tra i non-vigilanti,

sveglio tra coloro che dormono,

come un cavallo veloce che avanza

lasciando indietro i deboli:

così è il saggio.

30

Attraverso la vigilanza, Indra conquistò

la sovranità su i dèva.

La vigilanza è lodata,

la non-vigilanza è condannata—

sempre.

31-32

Il monaco che gioisce nella vigilanza,

vedendo il pericolo nella non-vigilanza,

avanza come un fuoco,

bruciando i vincoli

grandi e piccoli.

Il monaco che gioisce nella vigilanza,

vedendo il pericolo nella non-vigilanza

—incapace di regredire—

si trova proprio sull’orlo

del Dislegarsi.

Note


1 In originale pāli: amata, letteralmente “senza-morte”. Il termine indica ciò che non è soggetto a nascita e morte. Non allude a una permanenza eterna, ma a ciò che è oltre il ciclo del divenire.


2 In originale pāli: pamāda, termine che indica negligenza, incuria, disattenzione abituale, ma soprattutto una mancanza di presenza mentale e discernimento rispetto alle conseguenze delle proprie azioni. In opposizione diretta a appamāda (“vigilanza”). Pamāda, la non-vigilanza, non è la semplice distrazione momentanea, bensì una disposizione radicata che sostiene il ciclo della sofferenza.


3 In originale pāli: nibbāna (sanscrito: nirvāṇa), ossia cessazione, scioglimento dai legami.


4 La vera compassione non consiste nel condividere l’illusione — ossia nel farsi partecipi di un dolore che nasce da una visione erronea — ma nel non alimentarla. Nisargadatta Maharaj, in Io Sono Quello, afferma: «La compassione è evitare di soffrire per cause illusorie.» In questo senso, la vigilanza (appamāda) non implica distacco o superiorità personale, ma la chiarezza necessaria per essere di reale aiuto. Alla luce di ciò, il verso va inteso così: “chi non soffre più vede chiaramente chi soffre per errore.”