Qualcosa Ti Ha Portato Qui

“…Insieme a questo interrogarsi, c’è la speranza e l’infinito desiderio di vivere, qualunque cosa accada. È proprio come secoli di battaglie tra nazioni, vendetta dopo vendetta. Sta accadendo dentro di voi.”

La Vostra Battaglia Interiore

Dopo un lungo viaggio, tornare qui per unirci alla sesshin mi dà grande gioia, fondendomi con la vostra energia di “ricerca della via”. Qualcosa di profondo nella vostra mente vi ha portati fin qui, qualcosa di più complesso della semplice “mente che cerca la via”. In ciascuno può essere un fascio di domande, un bisogno urgente da colmare, un’urgenza da esprimere. Di solito ci avviciniamo a un luogo di pratica con una certa confusione, finendo per cogliere qualche indizio di possibilità: chi vedere, dove andare. Molti di voi sono partiti così, con il senso della propria confusione, del dilemma interiore. È importante ricordarlo di tanto in tanto. È una sensazione familiare per voi? C’era il bisogno di trovare un maestro, una guida nella vostra pratica? Potrebbe sembrare che siamo venuti a sederci insieme quasi per caso, ma sono stati gli innumerevoli sforzi dei vostri antenati diretti, la loro ricerca della via—che è la vostra stessa dinamica interiore—a portarvi alla pratica.

Da quando sono arrivato in questo paese, da ventun’anni sediamo in sesshin di una settimana in occasione della nascita del Buddha. La tradizione buddhista è fiorita a partire dalla suprema illuminazione del Buddha, lungo tutta la sua storia, ma abbiamo ben poche prove di quale sia stata la sua esperienza effettiva. Sappiamo del Buddha storico tanto poco quanto sappiamo di noi stessi. Questo potrebbe essere il modo più vicino per avvicinarci a lui, poiché, per quanto ne sappiamo, lo stare seduti ebbe origine dalla sua esperienza.

Come vedere l’esperienza di vita di Shakyamuni2

Il Buddha sta a voi, a ciascuno, secondo la propria comprensione. Oggi, primo giorno di sesshin, avete sperimentato, nel profondo, secoli di battaglie. Potreste mettere in questione la vostra natura—se sia essenzialmente buona, se siate o meno impotenti, incapaci di cambiare. Insieme a questo interrogarsi, c’è la speranza e l’infinito desiderio di vivere, qualunque cosa accada. È proprio come i secoli di battaglie tra nazioni, vendetta dopo vendetta. Sta accadendo dentro di voi. Le battaglie là fuori sembrano esterne, ma poiché non potete ignorarle, non possono essere separate da voi. Diventano la vostra battaglia interiore.

Avidya

L’ignoranza di base, avidya, è inevitabile, anche quando apprendiamo varie cose attraverso i nostri organi di senso. Vidya significa chiarezza e i suoi contenuti. Avidya è assenza di vidya. Anche se siete persone istruite, non potete evitare l’avidya di base, “assenza di saggezza”. Quando vivete da soli, il mondo e l’universo vi appaiono perfetti, quasi tutto è chiaro. Eppure, questa conoscenza del vostro mondo, senza sapere come appare il mondo di un altro, è come un mollusco che guarda il suo guscio. Pensate che questo sia l’universo, mentre è solo il campo interno del guscio. Non c’è necessariamente nulla di sbagliato in questo, ma permane la curiosità di come gli altri sperimentino le loro vite. Anche quando discutiamo di differenze culturali, religioni diverse, diversi ambiti accademici, restiamo comunque molto ciechi riguardo ai mondi altrui. Speriamo che tutti sperimentino le cose in modo simile, ma finiamo per constatare che ognuno le vive in modo lievemente diverso.

Anche quando camminiamo, quando guidiamo, questa avidya è ancora con noi. Significa che non sappiamo esattamente che cosa siamo, qual è l’essenza della nostra vita. Quando incontrate una persona nuova, dite: “Parlami di te”, e quella risponde: “Mi chiamo così e così, la mia storia personale è così e così”. Potete rivolgere le stesse domande a voi stessi. Ci sono state insegnate varie verità oggettive, ma in realtà sono solo supposizioni: “Forse sono un uomo”, “Forse sono una donna”, “Forse questo, negli Stati Uniti, è il miglior modo di vivere”. Anche quando la nostra conoscenza comparativa e concettuale si accumula e viene analizzata, resta sempre un “forse”. Questo tentativo di comprendere, di rendere cosciente il sé, è un sé oggettivo—che non esiste. Ahimè! La vita che viviamo non è necessariamente ciò che abbiamo studiato o discusso. Questo sé concettuale, fondato sulla conoscenza, non è che un gioco di autocoscienza creata, un’immagine dell’ignoranza, per così dire. La vita dev’essere liberata e vissuta, invece che conosciuta. Conoscere non appaga mai, sebbene il conoscere sia una delle nostre principali funzioni intellettuali. È come dire: “Oh, ho capito”, e poi andare a dormire.

Natura di Buddha

Tutti noi possediamo, nel profondo, una sanità di base, un’intuizione di come trovare il punto più sicuro da cui vedere in ogni direzione. Questa intuizione è piuttosto offuscata, per molte ragioni—fra cui vari inquinamenti e un eccesso di informazioni che quasi distruggono il senso di purezza e di chiara visione. Eppure, tutti conoscete la purezza fondamentale della vita che continuamente vi permette di sopravvivere e sentirvi bene. Avete constatato che lo stare seduti è una grande opportunità perché questo senso fondamentale di vita sempre nuova mantenga il suo stato più puro. Benché talvolta lo stare seduti sia noioso, senza che accada nulla di eccitante, so che tutti conoscete la vera natura. La chiamiamo “natura di Buddha”, ciò che vi fa sentire realmente e significativamente vivi e non morti. Avere fiducia piena nella vostra intera presenza come natura di Buddha è il primo passo per camminare sulla via del Buddha. Prima di fare quel passo, anche se possedete una conoscenza precisa del mondo, non è che un lampo di conoscenza. Questa conoscenza non aiuta a decidere in quale direzione avanzare, chi incontrare, che cosa fare, in questo mondo.

Silenzio

Nel primo Buddhismo, il silenzio—il sacro silenzio—era mantenuto da monaci, monache, laici e laiche, tutti coloro che partecipavano all’assemblea. C’erano molte cose che non si era incoraggiati a fare e argomenti di cui non si doveva parlare, inclusa la guerra. Il silenzio era incoraggiato. Oggi passiamo dalla vita quotidiana alle sesshin, e parlare è difficile da evitare. Uno inizia a parlare, l’altro si sente tenuto a rispondere. Se qualcuno vi rivolge la parola, non vi sentite a posto se restate in silenzio. Finisce che parlano tutti. Il vostro spazio di concentrazione va altrove. Parlare è una cosa buona, ma durante la sesshin, in particolare, non si parla tra di noi. Non è una regola: è qualcosa di molto importante che ciascuno deve osservare e a cui deve dedicarsi. Stiamo appena iniziando la sesshin, quindi devo dire qualcosa al riguardo. Non significa che dobbiate isolarvi durante la pausa. Quando vedete qualcuno camminare in shashu3, il mudra4 della camminata, con gli occhi a terra, a meno che non sia molto importante, non proferite parola. Soprattutto attorno alla cucina, mantenete lo spazio il più quieto possibile. Parlare disturba il cuoco, che sta lavorando sodo, e potreste ritrovarvi con del riso bruciato o qualcosa del genere. Tre luoghi, in particolare, sono silenziosi: lo zendo5, il bagno e la cucina.

Mani nella posizione del mudra della camminata, shashu
Shashu, il mudra della camminata

Il sacro silenzio è lo spazio in cui la psiche può essere totalmente libera, senza impedimenti. È come aria pulita senza polvere. La mente è catturata dalla materia, ma quando la materia non c’è, la mente recupera la sua natura, che è tempo e spazio stessi. Non è soltanto il concetto di spazio, ma spazio reale, tempo reale, senza ignoranza.

In questo tipo di incontro non c’è bisogno di parlare. Alla fine, conoscete tutti senza parlare. Ma fate sempre conversazione silenziosa. Di solito la conversazione procede orizzontalmente, verso l’altro; quando ritorna, è verticale, scendendo in profondità dentro di voi. Questa è la natura profonda della conversazione silenziosa. A un certo punto il bisogno di conversazione ordinaria cessa, e non c’è più bisogno di parlare. Mantenere il silenzio non è una regola, naturalmente: è la natura stessa di questo tipo di sforzo.

Tapas

All’inizio il Buddha studiò con due maestri di meditazione, ma non fu soddisfatto del loro insegnamento, così si rivolse a praticanti di tapas6 molto rigorosi. Le loro pratiche ascetiche includevano l’interruzione del respiro e del cibo. Sedevano giorno e notte, senza sdraiarsi. Per molti mesi non fecero il bagno nel fiume. Erano solo polvere e pelle. I bambini si avvicinavano e stuzzicavano questi praticanti con bastoni e sassolini, ma loro non si muovevano né rispondevano.

L’idea di base del tapas era dualistica: separare corpo e mente. Si credeva che lo spirito abitasse in un corpo transitorio, perciò lo scopo era liberare lo spirito da questo corpo limitato, denso, talvolta sporco e caotico. Era il visibile contro l’invisibile, la costrizione contro la libertà. Dopo sei anni di vigorosa pratica del tapas, il Buddha entrò nel fiume a fare il bagno. In seguito riuscì soltanto a strisciare fino all’ombra dell’albero. Gli offrirono del cibo: mangiò e cominciò a riacquistare le forze. Mentre sedeva lì, Māra7 venne a tentarlo, sussurrandogli all’orecchio: “Sembri così esausto. Le tue possibilità di raggiungere l’illuminazione sono solo una su cento. Faresti meglio ad alzarti e a prenderti cura del tuo corpo”. Ma egli continuò a sedere. Alla fine, ciò che il Buddha scoprì fu che corpo e mente sono inseparabili, un’unica entità inseparabile. Differiscono l’uno dall’altra, ma senza uno l’altra non può esistere. Così smise di osservare la propria esistenza come un dualismo e si volse a una pratica diligente, seria e continua, che lo guidò al fine della vita.

Un uomo del genere ci è molto familiare, perché ciascuno di noi ha dentro di sé quel tipo di ricerca della Via. La vostra mente può sentirsi sfinita e lacerata, incapace di recuperare la purezza originaria. Potreste provare pensieri come: “Non valgo nulla” o “Il mio cuore spezzato non potrà mai essere risanato”. È davvero così? Ci consola per un attimo sentire che ogni esistenza ha la natura di Buddha. Eppure, l’attimo dopo possiamo trovarci in uno stato di grande solitudine, in difficoltà, competitivi, con una coscienza in gara. Il mondo del Buddha illuminato non ci è così familiare, mentre un luogo infernale lo è molto di più. Questa è la nostra esperienza. Questo è il campo della nostra fede. Pur vivendo in questo mondo di sofferenza, continuo a credere che nulla possa macchiare la purezza di ogni esistenza. Questa è la mia comprensione. È così che mi sento quando dico che tutte le cose hanno la natura di Buddha, allo stesso modo. Ciò significa che, in senso assoluto, nessuno può nuocere alla vostra vita.

Note


1 La Mente che cerca la Via è la parte di noi che motiva la nostra ricerca, talvolta chiamata bodhicitta o bodaishin


2 Basato sul nome del clan del Buddha, “Shakya”, significa “Saggio degli Shakya”


3 Un mudra usato quando si è in piedi o si cammina in situazioni di pratica formale


4 Posizione di mani e dita durante la meditazione, letteralmente “sigillo”


5 Nello Zen, una sala in cui si pratica zazen


6 In sanscrito letteralmente “calore”, “ardore”, “bruciore”. Indica l’ardore ascetico, cioè le pratiche ascetiche che “bruciano” le impurità e producono energia spirituale.


7 Il demone che tenta gli esseri umani con lo scopo di distrarli dalla pratica