Coloro che hanno iniziativa, consapevoli, puri nell’agire, agendo con attenta considerazione, vigilanti, disciplinati, vivendo il Dhamma: la loro gloria cresce.
Dal Dizionario
amṛta
Pronunce
Amṛta significa letteralmente “senza morte”, “immortale”. Nel buddhismo antico e classico il termine è usato in senso eminentemente soteriologico per indicare il “fine” (niṣṭhā) del cammino di pratica e quindi la liberazione (vimokṣa). In questo senso, amṛta designa la condizione del “non-morire”, ossia ciò che è al di là della nascita e della dissoluzione.
Il termine indica anche il “nettare” o “ambrosia” degli dèi, la bevanda del cielo dei Trentatré (trāyastriṃśa), che conferisce immortalità ai deva. Per questa ragione amṛta diviene epiteto del nirvāṇa, poiché tale stato è paragonato a un elisir che produce effetti anche sul piano fisico, come la serenità dell’aspetto e la limpidezza della presenza dell’illuminato. Nei testi si afferma infatti che l’adepto “tocca l’elemento del senza-morte con il proprio corpo”.
Poiché l’amṛta è dolce, il termine è usato anche come metafora degli insegnamenti del Buddha, come nell’espressione “la dolce pioggia del Dharma” (dharmavarṣaṃ amṛtaṃ). In ambito più concreto, amṛta può indicare genericamente sostanze medicinali: le “cinque amṛta” (pañcāmṛta) sono i cinque alimenti divini — latte, ghee, burro, miele e zucchero — utilizzati a fini terapeutici e rituali.
Nel buddhismo tantrico, Amṛtarāja (“Re del Nettare”) è uno dei cinque tathāgata ed è identificato con amitābha. Nei sistemi di anuttarayogatantra, l’amṛta è parte centrale dell’”offerta interiore”: cinque tipi di amṛta e cinque tipi di carne sono trasformati in una coppa cranica (kapāla) in una sostanza rituale chiamata nang mchod. In pratiche visualizzative, come quelle di vajrasattva, il meditante immagina un flusso di amṛta che discende dall’alto del capo, purificando le afflizioni (kleśa) e le impronte karmiche residue (vāsanā).
"The Princeton Dictionary of Buddhism"