I fenomeni sono
preceduti dalla mente,
guidati dallla mente,
formati dalla mente.
Se parli o agisci
con mente serena,
la felicità ti segue—
come un’ombra
che mai si separa.
Dal Dizionario
māra
Pronunce
In sanscrito e pāli, letteralmente “Creatore della morte”; personificazione del male nel buddhismo, spesso indicato come “diavolo” o “demone”. In realtà è una potente divinità del regno del desiderio (kāmadātu), dedita a impedire agli esseri di ottenere la liberazione dalla rinascita e quindi di vincere la morte.
Nelle biografie del Buddha, Māra appare come antagonista del Buddha. Secondo i resoconti più elaborati dell’esperienza del risveglio, quando il bodhisattva siddhārtha sedeva sotto il bodhi tree, avendo fatto voto di non alzarsi finché non avesse ottenuto la liberazione dal saṃsāra, fu avvicinato da Māra, che cercò di dissuaderlo. Al suo rifiuto, Māra inviò i suoi seguaci per distruggerlo, ma le loro armi si trasformarono in fiori. Mandò poi le sue figlie — Ratī (Delizia), Aratī (Scontento) e Tṛṣṇā (Brama) — a sedurlo; il bodhisattva rimase imperturbato, in alcune versioni trasformandole in megere e poi restituendo loro la bellezza dopo il pentimento.
Quando Māra mise in discussione il diritto del bodhisattva a occupare il posto sotto il fico del risveglio, il bodhisattva dichiarò di averlo guadagnato accumulando meriti per innumerevoli eoni. Alla domanda su chi potesse attestare tali azioni, egli distese la mano destra e toccò la terra, chiamando la dea della terra, sthāvarā, a testimoniare la sua virtù; questo gesto, detto bhūmisparśamudrā (“gesto che tocca la terra”), è una delle raffigurazioni iconografiche più comuni del Buddha. La dea rese testimonianza facendo tremare la terra. In una versione sud-est asiatica, la dea è chiamata thorani: strizzò dai capelli tutta l’acqua che il bodhisattva aveva offerto in oblazioni in molte vite, creando una grande piena che travolse Māra.
In tutti i racconti, Māra è alla fine sconfitto e si ritira; l’episodio è detto “sconfitta di Māra” (māravijaya). Māra riappare poco dopo il risveglio del Buddha, esortandolo a entrare subito nel parinirvāṇa invece di insegnare ad altri. La richiesta è respinta, ma ottiene dal Buddha la promessa di entrare nel nirvāṇa quando avrà completato l’insegnamento; verso la fine della vita del Buddha, Māra riappare al cāpālacaitya per ricordargli la promessa. Māra distrae anche l’assistente del Buddha, ānanda, impedendogli di chiedere al Buddha di vivere fino alla fine dell’eone — potere che il Buddha possiede ma che deve essere sollecitato a esercitare. Ānanda viene rimproverato dal Buddha e poi dal saṃgha per la sua mancanza.
Māra compare spesso nella letteratura buddhista quando monaci e monache stanno per raggiungere l’illuminazione, tentando di distrarli. Entrerà poi anche nella polemica settaria: nei sūtra del mahāyāna, coloro che sostengono che i sūtra mahāyāna non siano parola autentica del Buddha vengono condannati come posseduti da Māra.
Nella letteratura scolastica, Māra viene ampliato metaforicamente in quattro forme: skandhamāra, il māra degli aggregati (skandha), ossia mente e corpo degli esseri non illuminati, sede della morte; kleśamāra, il māra delle afflizioni (kleśa), cioè passioni come brama, odio e illusione che generano morte e rinascita e impediscono la liberazione; mṛtyumāra, il māra della morte, cioè la morte stessa; e devaputramāra, il māra-divinità (deva) che attaccò il Buddha e che mira a impedire la sconfitta delle altre tre forme.
"The Princeton Dictionary of Buddhism"