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Riguardo a questa nostra Dottrina Zen, da quando è stata trasmessa per la prima volta, non ha mai insegnato che gli uomini dovessero cercare l’apprendimento o formare concetti. “Studiare la Via” è solo un modo di dire. È un metodo per suscitare l’interesse delle persone nelle prime fasi del loro sviluppo. In realtà, la Via non è qualcosa che può essere studiato. Lo studio porta al ritenimento di concetti e quindi la Via è completamente fraintesa. Inoltre, la Via non è qualcosa di speciale esistente; è chiamata la Mente Mahāyāna—la Mente che non si trova dentro, fuori o nel mezzo. Veramente non è situata da nessuna parte. Il primo passo è astenersi dai concetti basati sulla conoscenza. Questo implica che se seguiste il metodo empirico fino al limite estremo, raggiungendo quel limite, non riuscireste comunque a localizzare la Mente. La Via è la Verità Spirituale e originariamente non aveva nome o titolo. È solo perché le persone la cercavano empiricamente in modo ignorante che i Buddha apparvero e insegnarono loro a eradicare questo metodo di approccio. Temendo che nessuno avrebbe capito, scelsero il nome “Via”. Non dovete permettere che questo nome vi porti a formare un concetto mentale di una strada. Quindi si dice: «Quando il pesce è preso, non prestiamo più attenzione alla trappola.» Quando corpo e mente raggiungono la spontaneità, la Via è raggiunta e la Mente è compresa. Un śramana41 è così chiamato perché ha penetrato la fonte originale di tutte le cose. Il frutto del raggiungimento dello stadio di Śramana si ottiene mettendo fine a tutte le ansie; non deriva dallo studio dei libri.42
Note
41 Comunemente, la parola per “monaco”. ↩
42 Questo passaggio ha un forte sapore Taoista. La citazione è da Chuang Tzû, e la parola Tao (Via) è usata in tutto il testo. Lo Zen e il Taoismo hanno così tanto in comune che alcuni sono stati portati a credere che il primo sia una sorta di Taoismo in abiti buddhisti; ma, poiché entrambe le sette impiegano più o meno la stessa teoria e pratica, può darsi che la somiglianza sia dovuta al fatto che i maestri di entrambe le sette parlano dalla stessa esperienza trascendentale della Realtà. Il presente testo è scritto in una forma molto condensata e include sermoni tenuti in molte occasioni diverse. Non è improbabile che i paragrafi 29 e 30 siano un riassunto di un sermone tenuto a un pubblico che includeva uno o più distinti studiosi Taoisti, specialmente poiché la frase di apertura dà l’impressione che il Maestro si stesse rivolgendo a nuovi arrivati nello Zen. ↩